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a cura dell’Istituto Storico dell’Insorgenza e per l’Identità Nazionale


26 settembre 2008


Crimini, morale sociale e novissimi


Le occasioni non mancherebbero. Le cronache non cessano di offrirne, fin troppe e tutti i giorni. Occasioni, intendo, per capire meglio il mondo in cui viviamo e per dire qualcosa di appropriato, di utile.

Qualche decennio fa, precisamente nel 1971, il filosofo Augusto Del Noce (1910-1989) presagiva acutamente che «un atto o un giudizio ispirato a una concezione falsa della vita […] può essere l’occasione perché si risveglino i mostri che sonnecchiano in tanta parte dell’umanità (e perché non dire in ognuno?). Non si ha che da scorrere le cronache: da una parte i bollettini del progresso, vuoi contro l’integralismo cattolico, visto come radice dell’intolleranza, vuoi contro la mentalità vittoriana, considerata come l’ultima ipocrita diga del puritanesimo repressivo, vuoi contro non so quale altra cosa; dall’altra l’elenco di crimini mostruosi presto dimenticati o addebitati alla società […]; si sta effettivamente costituendo una società in cui i mostri possono apparire in piena luce». Ecco, sembra che l’opera sia stata completata (anche se va osservato che al peggio non v’è mai limite): la società dei «mostri in piena luce» si è costituita, e le cronache ne registrano le imprese. Ma non ne registrano – o quanto meno ne sottovalutano – le cause: quel nesso tra le false concezioni della vita – di fatto legittimate dal relativismo –, il progressismo nichilista – nemico di ogni religione e soprattutto del cattolicesimo «integrale» –, il permissivismo libertario e attivistico mascherato da tolleranza, e l’elenco dei crimini mostruosi.

Eppure, le occasioni per capire – e quindi per dire qualcosa di utile e appropriato – come dicevo, non mancano, ma le auctoritates non sembra vogliano approfittarne.

Per esempio, l’orrenda strage di Castelvolturno è stata occasione solo per ripetere la stanca litania politicamente corretta che lamenta il razzismo, l’emarginazione degli extracomunitari «di colore» e la persistenza di una camorra violenta, assassina e impunita.

Ma si poteva fare di più, si poteva andare un po’ più in profondità.

Si poteva, cioè, cominciare a rendersi conto che fra gli stessi neri si sono formate società criminali che vessano, intimidiscono e uccidono chi non si sottometta, quale che sia il colore della sua pelle (e quindi il razzismo c’entra poco o punto). Società che sono entrate in feroce competizione con quelle «tradizionali» e autoctone. Società che proliferano e si arricchiscono speculando sul vizio, quasi imponendo su di esso una tassa, cioè organizzando l’offerta per rispondere alla crescente e sfrenata domanda di sesso, droga e altri piaceri «proibiti» (le virgolette sono d’obbligo). E quanto più prospero è tale turpe mercato, tanto più feroce è la determinazione con la quale viene difeso da altrui intrusioni e concorrenza, o si cerca di espanderlo.

Il problema, dunque, è via via sempre meno di ordine pubblico – o non solo di ordine pubblico – e sempre più di morale sociale. Cioè, è sempre più chiaro che è questione della diffusione nella società di concezioni meno false della vita e di ricupero di un’idea meno relativista e più certa e definita di quel che è bene e quel che è male, fino a riprendere contatto con il fondamento di ogni tradizione religiosa, e cioè l’esistenza di valori e principi permanenti, che vale la pena conservare e trasmettere, cioè vivere, perché benefici per tutti e per l’intera società, e la cui violazione non rimarrà sempre impunita.

Ecco perché ci saremmo aspettati dai vescovi, che pure si sono spesi sulla questione, meno un riferimento alla Costituzione repubblicana e più una diretta, franca, esplicita e – a questo punto va detto – coraggiosa memoria del giudizio finale e dell’inferno, dove, già secondo Platone (427-347 a.C.), i malvagi sono destinati se perseverano.

E ce lo saremmo aspettati non solo perché è vero e perché è sempre più questo il problema. Lo aveva ben compreso anche Hannah Arendt (1906-1975), difficilmente sospettabile di clericalismo o integralismo cattolico: «Nulla forse distingue tanto radicalmente le masse moderne da quelle dei secoli passati quanto la perdita della fede nel giudizio finale: i peggiori hanno perduto la paura e i migliori la loro speranza. Incapaci come sono di vivere senza paura e speranza, queste masse sono attratte da ogni sforzo che sembri promettere una fabbricazione artificiale del paradiso che desideravano e dell’inferno che temevano».

Ce lo saremmo aspettati anche perchè se non le ricordano loro queste verità – i cosiddetti «novissimi»: morte, giudizio, inferno e paradiso – chi deve farlo? Il mondo ha bisogno del sale delle verità ultime – poi vedrà che farne –, ma se chi ha il compito di distribuirlo, anzi di essere lui stesso quel sale, quasi incarnandolo, non «sala» più, a che serve? Di sociologi e apologeti della Costituzione ne abbiamo fin troppi.

Naturalmente, c’è chi obietterà che criminali capaci di sparare con tanta freddezza e animalesca ferocia nel mucchio per fare strage delle proprie vittime non sarebbero scossi più di tanto dall’evocazione dell’inferno. Mentre, però, mi permetto di dubitare che invece il richiamo alla Costituzione possa averli scossi, osservo che in fondo non si sa mai, e intanto il richiamo potrebbe far bene a chiunque in qualunque modo ne venisse a conoscenza.

Infine, in attesa del giudizio finale, sarebbe il caso di chiedersi, davvero e senza temere di violare tabù ormai diffusi e accettati, se il giudizio degli uomini, necessario per quanto fallibile, punisca con pene proporzionate e adeguate alla loro mostruosità simili crimini, anche quando applica quelle massime previste dal nostro ordinamento…

Giovanni Formicola




Politicamente scorretto







a cura di
Giovanni Formicola


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