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a cura dell’Istituto Storico dell’Insorgenza e per l’Identità Nazionale


giugno 2006  


Giorgio Rumi al convegno Isiin
"Il cattolicesimo lombardo fra Rivoluzione francese,
Impero e Unità" (Milano, ottobre 2003)




Oscar Sanguinetti

Un ricordo di Giorgio Rumi

(1938-2006)

N

on sono un amico in senso proprio di Giorgio Rumi, né un collega, cioè uno storico ac­cademico, e neppure un coetaneo: sono nato più di vent’anni dopo di lui. Non l’ho frequentato se non per intervalla e sempre con una certa distante reverenza. Lo conosco meno di persona, un po’ più abbondantemente attraverso i suoi libri e i suoi scritti. Ho avuto la ventura di vederlo per l'ultima volta venti giorni prima che morisse, fermo davanti all’ingresso principale dell’Università Statale, nel suo consueto cappotto di loden verde, attorniato dai suoi collaboratori, mentre contempla­va l’andirivieni dei suoi studenti. Lo salutai: mi disse che aveva avuto dei problemi clinici — dovuti allo sbaglio di alcune analisi mediche —, ma che ora si sentiva bene.

Non intendo quindi assolutamente fornirne un cenno biografico, né tanto meno fare una qualsiasi considerazione di carattere scientifico o accademico che abbia con lui relazione.

Voglio solo mettere su carta qualche scheggia di ricordo non banale, del tutto personale, che forse può essere non inutile condividere con altri.

Se la familiarità con lui era oggettivamente poca, condividevo tuttavia con lui almeno tre cose: la milanesità, un’appartenenza cristiana non meramen­te anagrafica e la passione per la storia e per la storia di Milano e della Lombardia.

Sotto il profilo dello storico ne apprezzavo senz’altro alcune doti di infre­quente raffinatezza. In primo luogo la straordinaria capacità di penetrare i fatti del passato, di coglierne i nessi meno evidenti, e, sopratutto, di saperli raccontare con alta padronanza della nostra lingua — dote che si va spe­gnendo sempre più fra gli storici — e una rara maestria nella prosa. Sapeva affrontare temi grandi, svolgere analisi come si dice oggi ad ampio raggio o spettro, senza però perdere di vista gli snodi concreti attraverso i quali i grandi fatti venivano ad accadere: un personaggio, magari locale, una fa­miglia, un intreccio parentale, un elemento di dettaglio descritto con gusto, e non di rado con humor, attraverso il quale guidava il lettore al quadro più elevato e a cogliere più facilmente lo svolgersi degli eventi.

Uno stile, in conclusione, piacevole ed efficace, che ho avuto modo di ri­scontrare in altri “grandi” della storiografia, come, per esempio, in Jean Tulard.

Persona dalla vita semplice e riservata — che contrastava con la sua sempre più ampia notorietà e crescente autorevolezza, non solo scientifica —, come idee passava per un clerico-moderato o un cattolico-liberale: ma egli si au­todefiniva — lo attesta in un recente articolo-necrologio il giornalista della Rai Paolo Giuntella — un “conservatore, piuttosto aristocratico” e un “con­servatore democratico”. Forse in quest’ultimo auto-appellativo si può rinvenire la spiegazione del suo atteggiamento e del suo stile, apparente­mente un po’ ondivago, che lo caratterizzava in forma permanente. L’istin­to intellettuale, le sue radici, la formazione, l’età lo facevano propendere verso un rifiuto di una condizione di vita intellettuale e civile generale og­gettivamente decaduta rispetto a un passato più o meno vicino, che comun­que nella sua Lombardia aveva sempre presentato un volto forse meno vol­gare che altrove.

L’altro polo del suo sentire, che potremmo intravedere sotto l’aggettivo “democratico”, era la nazione, l’Italia unita e moderna, di cui non mise mai in discussione la realtà e la necessità, limitandosi da cattolico e da sto­rico a evidenziarne i limiti, il più marcato dei quali gli pareva proprio quel­lo di aver tenuto ai margini il cattolicesimo. Né era esente da critiche a come quest’ultimo aveva vissuto il Risorgimento, soprattutto il suo decen­nio conclusivo, critiche che poteva permettersi a seguito e a margine di un’abbondante ricerca — basti pensare al suo volume su Vincenzo Gioberti — costantemente orientata a rivalutare il contributo dei cattolici alla costru­zione dello Stato unitario e anche della “nazione”, così come al suo svilup­po nel Novecento, dal primo dopoguerra fino al loro accesso, anche se “controllato” e selettivo, alla guida del Paese dopo il secondo conflitto mondiale.

Ed era qui su questo punto che la comune appartenenza trovava un ostaco­lo: se entrambi “stavamo col Papa” — si trattasse di Pio IX o di Giovanni Paolo II —, nelle valutazioni sue e nostre sul Risorgimento e sul ruolo dei cattolici nell’Italia contemporanea emergevano differenze di vedute, forse non radicali, ma reali. Giorgio Rumi non era un cattolico “democristiano”. Forse gli toccò la stessa sorte di Rosmini di passare per un cattolico-libera­le, mentre era solo un cattolico “nazionale”, che, come tanti cattolici e del tutto legittimamente, voleva unire l’Italia. E democristiani non eravamo né lo siamo noi: tuttavia il suo giudizio ricalcava sempre, ostinatamente potrei dire, le stesse linee. Sia che si esprimesse non sempre in termini positivi sulle insorgenze, sia che rivelasse una scarsa simpatia per le classi dirigenti pre-unitarie o assegnasse un ruolo negativo all’Austria o si dicesse convinto dell’impossibile sopravvivenza di uno Stato del Papa, tale giudizio sembrava fondarsi su premesse, che a noi parevano più pre-giudiziali di matrice volontaristica — volte a “salvare” lo svolgersi “svolto” degli eventi —, che non acquisizioni storiche comuni e incontestate.

La comune collocazione cattolica aveva agevolato l’incontro con il piccolo sodalizio di ricerche storiche intitolato all’Insorgenza, che ho la ventura di dirigere. Ma essa non comportava identità di vedute.

Eppure, nella vicinanza e nella diversità, si collaborava e si discuteva vo­lentieri: di movimento cattolico, di nascita dell’Italia moderna, di santi mi­lanesi, di Milano in generale, di avvenimenti curiali, di professori, di temi di politica.

Di quando in quando andavamo a trovarlo, nel suo piccolissimo studio uni­versitario appollaiato sui tetti della Ca’ Granda e sempre assediato da col­leghi e da studenti in attesa di colloquio, per presentargli le idee di conve­gni e di pubblicazioni in programma per averne un consiglio, una valida­zione scientifica e, perché no?, anche un benestare di circostanza. S’inten­de: non nel senso di benestare “di facciata”, ma che fosse dato dopo aver tenuto conto delle “opportunità” nel duplice senso di “occasioni da coglie­re” e di regole “di società” da osservare. Che tenesse cioè conto delle cir­costanze concrete dell’ambiente culturale in cui l’evento avrebbe avuto luogo e impatto: e in questo lo aiutava un acuto senso di cautela e di deli­catezza verso un po’ tutti i soggetti, anche verso gli avversari ideali. A questo lo aveva allenato di certo la pluridecennale frequentazione di un ambiente accademico come la Statale di Milano, tradizionalmente “laico”, se non fortemente “laico”, in cui era d’obbligo per uno studioso cattolico muoversi con avvedutezza.

Ricevevamo i suoi suggerimenti ma anche le sue critiche e i suoi, non in­frequenti ma sempre bonari, rimbrotti — per presunte nostalgie asburgiche e canosiane — non “canossiane” — ci chiamava scherzosamente i suoi “reazio­nari” — e si correggeva, s’inseriva, si limava.

Giorgio Rumi è stato invitato d’obbligo a tutte le nostre manifestazioni pubbliche e non ci ha mai negato — fino al novembre dell’anno scorso — la sua presenza, che oggettivamente dava lustro a quanto venivamo facendo e ne agevolava il compimento. Così fu per i primi incontri sulle insorgenze, così — fianco a fianco con Cesare Mozzarelli — al convegno ristretto di Mi­lano in cui domenica 18 marzo del 2000 nasceva l’Isiin, così ancora nel convegno sul cattolicesimo lombardo della Restaurazione e il conte Giaco­mo Mellerio nel 2003 fino al recente convegno su Napoleone e il Regno d’Italia del novembre scorso.

Grazie anche a lui — e al compianto comune amico Cesare Mozzarelli — il nostro Istituto è riuscito a muovere i primi passi, anche se non privi di difficoltà, nell’ambiente culturale ambrosiano.

Il “regalo” più grosso che ci ha fatto è forse, nel corso dell’ultimo nostro convegno, quello del novembre del 2005 — aveva premesso di essersi strappato un po’ a malincuore, in quel pomeriggio di sabato, dal suo ruolo di nonno —, quello di aver confermato, con tutta la sua autorità di storico accademico e davanti a un pubblico non indifferente alle distinzioni concettuali, l’esistenza e la centralità del fenomeno dell’Insorgenza nella storia italiana. Abbiamo conservato in linea il testo della tavola rotonda di chiusura cui ha partecipato e a cui rimando.

Di questo lo ringraziamo e di questo serberemo il ricordo, un ricordo che per chi è cristiano non può non tradursi in pietà e in suffragio.


"Alunni di Clio"



Oscar Sanguinetti
Nobiltà del «mestiere» di storico. Ricordo di Marco Tangheroni

Oscar Sanguinetti
Un ricordo di
Giorgio Rumi
(1938-2006)


Francesco Pappalardo
Giacinto de’ Sivo
(1814-1867):
appunti per una biografia



IL LIBRO DEL MOMENTO

Gonzague de Reynold,
La casa Europa. Costruzione, unità, dramma e necessità.

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Giovanni Cantoni

D’Ettoris Editori, Crotone 2015,
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Metodo e storia. Princìpi, criteri e suggerimenti di metodologia per la ricerca storica

Ateneo Pontificio Regina Apostolorum, Roma 2016
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Oscar Sanguinetti,
Pio X. Un pontefice santo alle soglie del «secolo breve»,

con una prefazione di Roberto Spataro S.D.B.,
Sugarco Edizioni, Milano 2014,
336 pp., € 24,80



Oscar Sanguinetti,
Alle origini del conservatorismo americano. Orestes Augustus Brownson: la vita, le idee,

con una prefazione di Antonio Donno,
in appendice: Orestes Augustus Brownson, De Maistre sulle costituzioni politiche Biblioteca del pensiero conservatore,
D'Ettoris Editori, Crotone 2013,
282 pp., € 17,90



Marco Tangheroni,
Della storia.
In margine ad aforismi di Nicolás Gómez Dávila

Sugarco Edizioni, Milano 2008,
144 pp., € 15,00


Giovanni Cantoni,
Per una civiltà cristiana nel terzo millennio. La coscienza della Magna Europa e il quinto viaggio di Colombo

Sugarco Edizioni, Milano 2008,
264 pp., € 18,50


Oscar Sanguinetti,
Cattolici e Risorgimento. Appunti per una biografia di don Giacomo Margotti
con una prefazione di Marco Invernizzi

D'Ettoris Editori, Crotone 2012,
160 pp., € 15,90


Christopher Dawson,
La crisi dell'istruzione occidentale
trad. e cura di Paolo Mazzeranghi

D'Ettoris Editori, Crotone 2012,
218 pp., € 19,90


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THOMAS E. WOODS JR.
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prefazione di Marco Invernizzi,
a cura dell'Istituto Storico dell'Insorgenza e per l'Identità Nazionale,
3a ristampa,
D'Ettoris,
Crotone 2010,
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ROBERTO MARCHESINI,
Il paese più straziato. Disturbi psichici dei soldati italiani della Prima Guerra Mondiale,

prefazione di Oscar Sanguinetti,
presentazione di Ermanno Pavesi,
D'Ettoris,
Crotone 2011,
152 pp., € 15,90.





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