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a cura dell’Istituto Storico dell’Insorgenza e per l’Identità Nazionale



Massimo Introvigne



Sta finendo il XX secolo


(Articolo apparso su il Domenicale. Settimanale di cultura, anno 5, n. 48, 2-12-2006; per genitle concessione dell’Autore)



P arigi, novembre. Ti svegli a Parigi, in una mattina di novembre baciata da un sole primaverile, e la radio ti comunica che sta finendo il XX secolo. Ci sarebbero molte altre notizie per animare l’attualità, eppure i giornali radio si aprono parlando della morte di Maurice Floquet (1894-2006), che avrebbe festeggiato 112 anni a Natale. Floquet non attira l’attenzione perché è vissuto più a lungo del normale, ma perché — morto lui — rimangono in Francia solo quattro ex-combattenti della Prima guerra mondiale, il più giovane — si fa per dire — dei quali (l’unico che può partecipare, al fianco di Chirac e di tutto il governo, al funerale di Floquet) si chiama René Riffaud e ha 107 anni. In Europa i veterani di quella che per i nostri vecchi era l’unica vera Grande Guerra sono solo una decina. Quando morirà l’ultimo — e hanno tutti più di 106 anni — sarà davvero finito il XX secolo.

Sento Chirac affermare, così di prima mattina, che la Prima guerra mondiale è stata la pagina più gloriosa della storia francese dell’ultimo secolo, e provo un senso di disagio. Devo dire che non ho niente contro gli ex-combattenti della Grande Guerra, non solo perché — per quanto forse un po’ abbellite dai media — le gesta di Floquet, due volte ferito gravemente e due volte tornato in prima linea, sembrano proprio quelle di un bravo e valoroso soldato, ma anche perché mio nonno paterno fu tra quei discendenti di immigrati italiani, con passaporto argentino, che anziché rimanere tranquillamente in Sudamerica, forse entusiasmati anche dagli spettacoli patriottici dove danzatrici vestite — anche qui si fa per dire — con il solo tricolore invitavano i giovani di origine italiana ad arruolarsi, decise di venire a combattere come volontario e per poco non lasciò la pelle a Caporetto.

Il valore individuale dei combattenti non è in questione, né mi sognerei mai di offendere il nonno. Tuttavia ancora una volta la retorica di Chirac mostra una nozione della storia europea profondamente sbagliata. Per capire perché basta confrontarla con la speciale attenzione alla Prima guerra mondiale del cardinale Ratzinger, prima e dopo di diventare Benedetto XVI, un nome che tra l’altro ha scelto sia in omaggio a san Benedetto (480-543) — perché si tratta, come ai tempi del santo di Norcia, di ricostruire una civiltà sulle rovine di un vecchio mondo che sta morendo — sia a Benedetto XV (1854-1922), che insieme a Carlo d’Asburgo (1887-1922), l’ultimo imperatore d’Austria proclamato beato da Papa Giovanni Paolo II il 3 ottobre 2004, cercò di fermare quella che chiamava «l’inutile strage». Il fatto che il Papa e l’erede del Sacro Romano Impero non fossero presi sul serio quando avanzavano obiezioni morali contro quella guerra (non contro le guerre in genere, così che sarebbe improprio presentarli come antenati del pacifismo), dà già di per sé una misura di quanto fosse grave la crisi morale dell’Europa.

Per Benedetto XVI la Prima guerra mondiale non solo è molto più importante della Seconda per capire le radici della crisi dell’Europa ma è anche alle origini della Seconda e delle altre guerre mondiali, che derivano tutte da cambiali non pagate della Grande Guerra. Il risentimento delle popolazioni di lingua tedesca dopo la Prima guerra mondiale porta al potere Adolf Hitler (1889-1945) e genera la Seconda guerra mondiale. Le vicende della Prima guerra mondiale consentono ai comunisti di prendere il potere in Russia e di scatenare, dopo la Seconda, la Terza guerra mondiale, la cosiddetta Guerra fredda. Né ha torto chi sostiene che l’abolizione del califfato da parte di Kemal Atatürk (1881-1938) nel 1924 dopo il crollo dell’Impero Ottomano — un altro «prodotto» della Prima guerra mondiale — ha un ruolo decisivo nella nascita del moderno fondamentalismo islamico e quindi nelle cause remote della Quarta guerra mondiale, quella scatenata dall’ultra-fondamentalismo islamico contro l’Occidente.

Nel suo Il cubo e la cattedrale, il teologo cattolico americano — amico di Benedetto XVI come lo fu di Giovanni Paolo II — George Weigel ricorda le parole, pronunciate all’inizio della Prima guerra mondiale, dal ministro degli Esteri britannico sir Edward Grey (1862-1933): «Le lampade si stanno spegnendo in tutta Europa, e nella nostra vita non le vedremo mai più accese». E quelle di Winston Churchill (1874-1965) in una lettera alla moglie: «Un’ondata di follia ha sconvolto la mente della Cristianità». Per Weigel, come per Benedetto XVI, la domanda cruciale non è solo «Perché la guerra comincia?» ma «Perché nessuno la ferma? Perché non c’è nessuno con la volontà, l’autorità, o l’immaginazione morale e il coraggio necessari per tirare il freno d’emergenza quando è chiaro che il treno della civiltà europea sta marciando verso uno scontro di dimensioni catastrofiche?». Eppure, come argomentavano Benedetto XV e il beato Carlo d’Asburgo, qualunque scopo ragionevole invocato dalle nazioni per continuare il conflitto avrebbe potuto essere raggiunto per altra via, evitando milioni di morti.

Mentre un «complottismo» di bassa lega riduce l’estrema complessità della storia a un unico grande macrocomplotto, esistono certamente nella storia microcomplotti con obiettivi specifici. Una vasta letteratura cattolica attribuisce l’ostinazione nel promuovere e continuare la Prima guerra mondiale alla volontà dei nazionalismi e delle massonerie di orientamento anticlericale di volere non solo sconfiggere, ma eliminare per sempre dalla carta geografica quanto sopravvive dell’ultimo impero sovranazionale e cattolico, l’Impero Austro-Ungarico. Una parallela letteratura diffusa nel mondo islamico attribuisce più o meno alle stesse forze — i nazionalisti (questa volta arabi) e le società segrete — l’uso strumentale e tragico della Prima guerra mondiale per distruggere nell’area a maggioranza musulmana l’ultimo impero sopranazionale e religioso, quello Ottomano, con conseguente fine del califfato. Il discredito in cui sono giustamente cadute le teorie sui macrocomplotti non esclude che vi siano elementi di verità nella ricostruzione storica dei microcomplotti. E tuttavia la domanda che pongono il regnante Pontefice e autori come Weigel va oltre, e potrebbe essere così riformulata: ammesso che vi siano complotti, perché nascono e perché si servono di uno strumento così intrinsecamente perverso come la Prima guerra mondiale?

La risposta deve andare indietro nel tempo, e risalire alla nascita dei nazionalismi europei come apologie della nazione che si costruiscono separandola dalla religione (considerata pericoloso fermento di sentimenti di appartenenza a comunità più ampie di quelle nazionali, in specie la Cristianità), anzi combattendo la religione. Nazionalismo e laicismo in Europa sono indissolubilmente legati, fin dalla Rivoluzione francese, nonostante l’esistenza di pensatori — minoritari — che cercano di fondare nazionalismi su basi religiose. Il nazionalismo francese e tedesco che è alla base della Prima guerra mondiale (e la sua versione un po’ parodistica dell’Italia nazional-massonica di Francesco Crispi, 1819-1901) avanza strettamente legato alla laïcité e al Kulturkampf, tentativi di espellere la religione dall’agone pubblico, in teoria confinandola alla sfera privata ma in pratica inseguendola e combattendola tramite l’educazione e la scuola laicista anche in quella sfera. Con la Prima guerra mondiale maturano le conseguenze inevitabili del laicismo. Aveva ragione Benedetto XV: un’Europa senza Cristo non è in grado di fermare la guerra, per ragioni anche politiche ma anzitutto morali. Il nazionalismo, continuando a procedere abbracciato al laicismo come fanno due storpi che cercano di sostenersi a vicenda, è diventato nazionalismo senza nazione, dunque — nei termini di Benedetto XVI — nichilismo.

Per questo, la Prima guerra mondiale — se nella vita individuale di tanti nostri nonni è stata un momento di coraggio e di gloria che li ha segnati per tutta l’esistenza — per la storia collettiva dell’Europa non è stata quella promessa dolorosa ma ultimamente feconda di pace e di felicità permanente che una certa propaganda esaltava, ma una strage inutile e non necessaria, che ha preparato i grandi crimini del XX e del XXI secolo: il nazional-socialismo, il comunismo, l’ultra-fondamentalismo islamico. Ancora una volta, ha torto Chirac e ha ragione Benedetto XVI. La morte degli ultimi combattenti della Prima guerra mondiale, la vera fine del XX secolo, dovrebbe essere l’occasione perché, oltre che in linea di fatto, un secolo denso di crimini e di stragi, dai gas asfissianti della Grande Guerra fino ai lager e ai GULag, finisca finalmente anche in via di principio.





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