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a cura dell’Istituto Storico dell’Insorgenza e per l’Identità Nazionale









«L’età moderna
XVI-XVIII secolo»


Francesco Pappalardo



L’ aggettivo «moderno» nasce con il significato neutrale di «recente» o «contemporaneo» e indicava all’origine soltanto l’attualità, ma nel tempo, in particolare dal Rinascimento, è stato caricato di una valenza ideologica, definendo con una connotazione positiva e ottimistica ciò che è «nuovo» e che, per questo solo motivo, è necessariamente «buono» in sé e rispetto a ciò che è accaduto prima. In questo senso la «modernità» non è la qualificazione di ciò che è recente bensì una categoria di giudizio, un valore. Di conseguenza l’«età moderna» — quale definita in Italia dalla storiografia laica e liberale del secolo XIX sulla scia della storiografia illuministica — è letta generalmente come il superamento dell’oscurantismo e della stagnazione e l’inizio di un periodo di conquiste progressive.

Più di recente, però, ha cominciato ad affermarsi un’altra interpretazione, che intende la modernità come un processo non di liberazione ma di graduale coercizione, contrassegnato da una presenza dello Stato sempre più invasiva e da un crescente condizionamento politico dei comportamenti sociali o, in altri termini, da un maggior «disciplinamento sociale», secondo la dizione utilizzata per la prima volta dallo storico tedesco Gerhard Oestreich (1910-1978) (1).

Fra gli studiosi che hanno indagato attentamente su tutti questi aspetti della «storia moderna» figura senz’altro Alberto Tenenti (1924-2002), di cui è stato ripubblicato — a distanza di oltre venti anni dalla prima edizione del 1980 e a quasi dieci dalla nuova edizione del 1997 — il manuale su L’età moderna. XVI-XVIII secolo (2).

Alberto Tenenti nasce a Viareggio nel 1924, si laurea in Lettere e Filosofia alla Scuola Normale Superiore di Pisa e nel 1948 ottiene una borsa di studio con la quale si trasferisce in Francia, prima a Parigi, dove prende contatto con gli storici Lucien Febvre (1878-1956) e Fernand Braudel (1902-1985), poi a Besançon (3). Rientrato in Italia dopo aver vinto, agli inizi degli anni 1950, un concorso nazionale come dirigente presso gli Archivi di Stato, soggiorna prima a Venezia e poi a Brescia, iniziando una lunga e feconda frequentazione della documentazione archivistica. Con la pubblicazione in Italia de Il senso della morte e l’amore per la vita nel Rinascimento (4) il suo nome s’impone alla comunità scientifica europea per la raffinatezza e la sensibilità del percorso intellettuale e per la vastità e lo spessore delle problematiche storiche. Alla fine del decennio Tenenti viene chiamato come chef de travaux presso la sezione Sciences Economiques et Sociales dell’École Pratique des Hautes Études di Parigi da Braudel, che apprezzava la sua capacità di mantenere uniti gli interessi per la storia della cultura con quelli più prettamente economici. Direttore della scuola dal 1965, nell’anno accademico 1966-1967 inizia un proprio corso con un insegnamento dalla denominazione ampia di Histoire Sociale des Cultures Européennes, che svolge per 35 anni. Pubblica numerosi saggi e manuali di storia moderna, da Alle origini del mondo moderno (5) a I rinascimenti (6), nonché una raccolta di studi sullo Stato (7). L’ultimo saggio, Dalle rivolte alle rivoluzioni (8), testimonia che sino alla fine Tenenti ha saputo fondere la descrizione di panoramiche globali con questioni di carattere generale e tematiche di lunga durata. Muore nella sua casa di Parigi nel 2002.

Storico della cultura, o delle mentalità, come si diceva un tempo, membro della British Academy, della Real Academia de la Historia e dal 1997 dell’Accademia dei Lincei, direttore della rivista Civiltà del Rinascimento, di Roma, che chiuderà i battenti alla sua morte, Tenenti ha pubblicato circa 400 opere fra monografie, recensioni e interventi a convegni. Fra gli argomenti studiati figurano il passaggio dal Comune alla Signoria, la trasformazione delle città, le attività commerciali e marinare, l’architettura e gli apparati iconografici, la famiglia e i patrimoni, i sentimenti e l’evoluzione del senso della morte, i rapporti fra la cultura e il potere.

1. Il Cinquecento

Organizzato secondo una tripartizione cronologica, dal secolo XVI al secolo XVIII, L’età moderna da un lato descrive analiticamente il lento svolgimento di una storia complessa e dall’altro lato cerca di individuare i momenti di svolta, talora repentini, ma sempre decisivi.

Nella densa Introduzione (p. 11-51) Tenenti svolge alcune considerazioni generali, sottolineando innanzitutto la precarietà delle periodizzazioni — cioè delle suddivisioni di un processo storico in termini cronologici — e quindi delle prospettive storiografiche ad esse sottese, che riflettono a loro volta tendenze culturali o ideologiche. Anche le definizioni generali utilizzate dagli storici non sono mai puramente tecniche o culturalmente neutre: egli impiega, dunque, termini come Umanesimo, Stato, Riforma e Controriforma nella misura in cui corrispondono a fenomeni veri e propri, evitando per quanto possibile il vocabolo Rinascimento, che risente troppo di una visione unilaterale e cronologicamente sfuggente, e ricorrendo con cautela al concetto di Barocco — che pure evoca un insieme di caratteri e di sfumature particolari nel campo letterario, architettonico, musicale e anche politico —, pur nella consapevolezza che «quando una nozione storica si è affermata o radicata, per quanto la si impugni con giuste ragioni, è estremamente arduo giungere ad espungerla o a farla abbandonare» (p. 12).

Tenenti descrive, quindi, la svolta che si delinea in Europa fra i secoli XIV e XV, richiamando i fattori che avevano cominciato ad agire come elementi di trasformazione: lo sviluppo e l’organizzazione graduale di un’economia e di una cultura che prescindevano dalla visione cristiana, fino ad allora dominante; il parallelo mutamento di sensibilità e la comparsa di nuovi orizzonti artistici, di stampo dotto e intellettuale e dunque più distanti dalla spontanea vena popolare, che si trova quasi emarginata in una dimensione provinciale e gergale; l’emergere di tecniche e di conoscenze scientifiche che imprimono un ritmo e un volto assai originali alla civiltà europea, assicurandole una netta preminenza sui popoli degli altri continenti.

Le conseguenze di questi mutamenti si manifestano con gradualità, con caratteristiche diverse da paese a paese, con velocità differenti a seconda dei settori interessati ed è molto difficile individuare date intorno alle quali tutti o quasi i fattori concorrano o indichino cesure significative. Per quanto riguarda l’organizzazione statale, su cui Tenenti si sofferma in apertura della prima parte, Il Cinquecento (pp. 55-217), la trasformazione è molto lunga, compiendosi «fra la guerra dei Cent’anni e l’Illuminismo» (p. 55), cioè fra i secoli XIV e XVIII, nei quali si compie il lento passaggio da una concezione contrattuale dell’autorità a un sistema assolutista di dominio, di cui costituiscono un prototipo le signorie e i principati instauratisi nell’Italia Centrale e Settentrionale a partire dal secolo XIV: «Tale processo costituisce uno dei caratteri peculiari dell’età moderna, appunto nel senso che esso fu caratterizzato non meno dai progressi che dalle resistenze delle forze contrarie» (p. 59). Queste ultime alimentano una serie di rivolte, dettate generalmente da motivi congiunturali o locali e prive sia di collegamenti fra loro sia di qualsiasi spirito di contestazione dell’autorità. In realtà, il primo grande fattore che coagula resistenze di carattere rivoluzionario — cioè dettate dal proposito, più o meno consapevole, di mutare l’ordinamento politico della società, quando non la società stessa — è quello religioso, che dal secolo XVI dà origine alla Riforma protestante, anche se occorre sottolineare «[...] che il vulcano della Riforma non eruttò la sua lava da un magma di sola spiritualità e che la massa dei suoi lapilli non fu esclusivamente di natura teologica» (p. 101). A essa «[...] si addice in pieno la qualifica di rivoluzionaria. [...] La Riforma costituì una svolta epocale che a buon diritto può far individuare un prima nettamente diverso dal dopo. Ad essa partecipò in gran parte direttamente o almeno indirettamente tutto l’Occidente europeo, su ogni piano ed in ciascuna sfera tellurici i suoi bradisismi continuarono a ripercuotersi per oltre un secolo da una zona all’altra, non senza riemergere sino al Settecento» (ibidem).

La Riforma — non un evento ma un processo di lunga durata — agirà gradualmente ma profondamente entro la dimensione della sensibilità, giungendo a infrangere l’universo saldo e compatto del cristiano.

La rottura dell’unità religiosa della Cristianità si accompagna al passaggio da un tipo di relazioni internazionali relativamente statico e compartimentato a un altro più dinamico e interdipendente, a «un cambiamento di voltaggio» (p. 78), in virtù del quale gli avvenimenti cominciano a ripercuotersi gli uni sugli altri a ritmo più accelerato e la scala locale diventa secondaria rispetto a quella mondiale. Questa evoluzione va di pari passo con l’espansione islamica nei Balcani e sul mare, favorita sia dalla struttura interna dell’Impero Ottomano, concepito come un’immensa macchina bellica, sia alla divisione dei Paesi cristiani.

Alla fine del secolo XVI si può situare l’inizio del trapasso dalla preponderanza spagnola a quella delle potenze marittime protestanti, cioè il Regno d’Inghilterra e le Province Unite, od Olanda, meno interessate dal pericolo islamico: «Eppure, se il mondo germanico tardava ad organizzarsi contro l’avanzata turca, la cattolicità meridionale preparava le sue energie per la controffensiva. Fattore non secondario di tale processo sempre più vasto era il concretizzarsi di uno slancio religioso al quale partecipavano molti elementi della nobiltà cattolica europea, in primo luogo italiana ed iberica» (p. 160).

Grazie a questi sforzi, spesso coordinati dai Pontefici, che danno vita a una vera e propria internazionale del mondo cattolico, alla fine del secolo XVI si vedono le avvisaglie di una riconquista cristiana delle terre occupate dai turchi, che va di pari passo con la Contro-Riforma, intesa nel senso più ampio del termine: «Se si guardasse unicamente ai fenomeni religiosi, si dovrebbe parlare piuttosto di riforma cattolica che di controriforma. In realtà, tuttavia, lo sviluppo della sua spiritualità e soprattutto le sue iniziative ecclesiastiche non andarono disgiunte da prese di posizione politico-diplomatiche e militari, oltre che culturali e sociali [...] che nel loro insieme meritano appunto di essere chiamate controriforma» (p. 136).

2. Il Seicento

Le grandi scoperte e l’inizio della colonizzazione europea — eventi che modificano la scala geografica di riferimento degli avvenimenti storici — chiudono la prima parte del libro e introducono la seconda, Il Seicento (pp. 219-408).

Il secolo XVII è letto come una cerniera, vera e propria articolazione fra due fasi distinte, caratterizzata da fenomeni contrastanti e dall’incrocio di forze contraddittorie, con una tensione costante su tutti i piani, nonché dalla maturazione di alcuni processi di fondo che investono la vita culturale e politica, sociale ed economica. Il passaggio dagli orizzonti dei mari chiusi europei a quelli degli oceani porta anche all’instaurazione di rapporti marittimi e culturali fra i continenti, pur con differenze significative fra le varie forme di colonizzazione: mentre l’aspetto di molte aree d’oltremare, soprattutto costiere, viene riplasmato sulla falsariga degli usi e dei modelli di vita vigenti in Europa, i contatti con gli indigeni sono improntati alla tolleranza reciproca e alla mescolanza razziale solo nelle realtà iberiche. È sintomatico in proposito che le grandi compagnie olandesi non s’interessassero mai di attività missionarie e che gli obiettivi di espansione religiosa, pur non venendo meno, cedessero gradualmente il posto a quelli economici.

Una delle tendenze generali della civiltà europea in quel periodo è proprio la progressiva laicizzazione, cioè la dissociazione di ogni realtà dai condizionamenti religiosi. «Si è trattato di un processo molto lento, in vari paesi addirittura in corso ancor oggi, che in Europa si manifesta almeno dal Duecento in poi, nei campi e con i ritmi più diversi» (p. 331).

Nel secolo XVII, inoltre, comincia a prevalere l’assolutismo — inteso come tendenza all’accentramento autoritario del potere nello Stato a scapito della società —, anche se con situazioni abbastanza eterogenee da un Paese all’altro che danno all’espressione «età dell’assolutismo» una validità molto relativa. Non si può ridurre la storia europea dell’epoca moderna al rafforzamento graduale degli organismi statali, ma questo processo ne rappresenta una delle direttrici principali. Fra i fattori che favoriscono l’accentramento dei poteri vi è anche la necessità per ciascuno Stato di mostrarsi più solido nel gioco sempre più rude dei rapporti internazionali, in cui la guerra appare sempre più come lo sbocco naturale delle rivalità economiche. «Schematizzando, ai motivi dinastici di conflitto propri dell’Europa trequattrocentesca ed a quelli confessionali innestativisi nel Cinquecento si aggiunsero ora quelli specificamente economici» (p. 269).

Tutto il periodo dal secolo XVI al XVIII è caratterizzato dalla ricerca di un assestamento, che non viene trovato, anche perché il campo di lotta si è fatto troppo vasto. Inoltre, il processo di progressiva interdipendenza fra gli Stati continua a intensificarsi e gli interessi religiosi che vi erano congiunti rendono ancora più fitta la catena di azioni e reazioni. Da qui la ricerca di un equilibrio, come era già avvenuto temporaneamente nella penisola italiana con la pace di Lodi del 1454.

E a proposito degli Stati italiani Tenenti rifiuta ogni scenario condizionante e le «[...] prevenzioni mentali e storiografiche più o meno squilibranti. Anzi, le ripercussioni di queste ottiche congiunte si sono rivelate tanto persistenti da rendere anche attualmente una presentazione adeguata delle congiunture e delle situazioni seicentesche. Occorrerà comunque cercare di distaccarsi dalle figurazioni preconcette di quella che avrebbe “dovuto” essere la storia d’Italia» (p. 316), sottolineando fra le caratteristiche del periodo il mantenimento di una pace interna relativamente benefica, l’affermazione di una comunità culturale e artistica e la sua difesa sul fronte orientale — soprattutto da parte della Repubblica di Venezia — contro l’aggressione turca, che dà vita a un’epopea poco nota al grande pubblico: «È pur strano che i ricercatori di epiche gesta abbiano lasciato queste largamente in disparte» (p. 319).

3. Il Settecento

Il secolo XVIII — preso in esame nella terza parte, Il Settecento (pp. 409-612) — vede l’affermazione dell’assolutismo e il proseguimento di una politica di potenza e di spregiudicata competizione internazionale — «Proprio dal Settecento si fece luce altresì, e talora già si realizzò, il brutale disegno di disgregare gli Stati altrui, di spartirsene il territorio in spregio dei legami che avevano tenute unite le loro popolazioni» (p. 477) —, ma soprattutto assiste a un mutamento generale, che coinvolge le prospettive morali, le idee politiche e le aspirazioni collettive.

Tuttavia, il quadro europeo non è rigidamente definito. All’organizzazione statuale prussiana, più orientata in senso assolutistico, si contrappone quella asburgica, caratterizzata da autonomie locali e particolarismi notevoli, che trovavano il loro collante nella cultura cattolica, rafforzata nell’area danubiana dalla vittoria della Contro-Riforma, visibile anche artisticamente grazie alla diffusione in quell’area del barocco, soprattutto quello religioso, fra il 1680 e il 1720. «Questa architettura militante, ispirantesi al Bernini [Gianlorenzo (1598-1680)] ed al Borromini [Francesco Castelli detto (1599-1667)], si adatta all’apologetica antifilosofica del XVIII secolo. L’enorme diffusione di queste basiliche, chiese abbaziali e monasteri celebra la vitalità o il prestigio della religione in quest’area largamente asburgica» (p. 467).

Più in generale, però, e guardando in particolare alle élite, a partire all’incirca dal 1700 si assiste a un processo complesso d’inaridimento e di svuotamento dei fenomeni religiosi abituali, di distacco da essi in nome di convinzioni che erano in parte ancora cristiane ma in senso molto diverso e sempre più flebile, che porta alla costituzione di un nuovo orizzonte culturale e dunque politico ed economico. Com’era accaduto con la precedente grande svolta della sensibilità, cui aveva fatto seguito la crisi protestante, si manifesta una forte interazione fra il contesto religioso e le nuove forme del sapere, le tecniche e in particolare le aspirazioni e i modi di vita. «Ad una vasta corrente deistica e newtoniana, sostenitrice anche di un governo monarchico e della supremazia dei ceti più fortunati, se ne contrappose sempre più nettamente un’altra, panteistica e politicamente democratica» (p. 418).

Inoltre, come già durante il periodo rinascimentale una schiera d’intellettuali, gli umanisti, si erano fatti portatori di valori culturali e morali per rispondere alle nuove esigenze della società laica, nel secolo XVIII altri intellettuali, denominati illuministi o «filosofi», si fanno banditori di un sapere diverso e in contrasto con quello popolare, però in un contesto a loro più favorevole rispetto ai predecessori, sia perché la forza delle credenze religiose si era affievolita, sia perché un buon numero di sovrani fa proprie alcune prospettive illuministiche in vista di un rafforzamento del regime assolutistico, sia grazie allo sviluppo del network propagandistico e organizzativo costituito dalle logge massoniche: «Sia pure in maniere diverse, i massoni furono su vari piani dei contestatori dell’ordine stabilito. [...] È veramente arduo misurare il peso specifico effettivo della massoneria settecentesca, ma più la si studia più sembra essere stato notevole» (pp. 437-438); certo è che «[...] anche l’apparato giacobino all’epoca della Rivoluzione francese venne appoggiato da società massoniche» (p. 439). Le elaborazioni filosofiche, dunque, diventano sempre più prese di posizione politiche, anche se, venuti meno in buona parte gl’ideali religiosi e politico-culturali della Cristianità, non era ancora apparsa la loro traduzione moderna, rappresentata dalle ideologie.

L’anticlericalismo, tuttavia, diventa il veicolo e l’espressione di un attacco in profondità contro l’Antico Regime e uno dei tramiti fra le idee dei «lumi» e l’incitamento ad agire sul terreno pratico, cosicché la Rivoluzione Francese, che chiude di regola l’età moderna — anche se «il Settecento si presenta come parte o premessa essenziale del mondo contemporaneo» (p. 583) —, costituisce lo sbocco dei fermenti e delle tendenze in via di maturazione da diversi decenni.

Con gli eventi rivoluzionari si conclude il grande affresco di Tenenti, che ha descritto i mutamenti politici, economici e demografici dell’Europa, prestando attenzione non solo ai «fatti», ma anche alle realizzazioni istituzionali, culturali, artistiche e scientifiche che hanno accompagnato le vicende storiche e alle mentalità di cui sono state espressione.



Note

Questo articolo-recensione è apparso sul bimestrale Cristianità. Organo ufficiale di Alleanza Cattolica, anno XXXIV, n. 337-338, Piacenza settembre-dicembre 2006, pp. 29-32.


(1) Gerhard Oestreich, Problemi di struttura dell’assolutismo europeo, 1969, trad. it. in Ettore Rotelli e Pierangelo Schiera (a cura di), Lo Stato moderno. vol. I, Dal Medioevo all’età moderna, il Mulino, Bologna 1971, pp. 173-191 (p. 173); per la ricezione del concetto in Italia, cfr. Paolo Prodi (a cura di), Disciplina dell’anima, disciplina del corpo e disciplina della società tra medioevo ed età moderna, il Mulino, Bologna 1994, e in particolare il saggio di P. Schiera, Disciplina, Stato moderno, disciplinamento: considerazioni a cavallo fra la sociologia del potere e la storia costituzionale, pp. 21-46.
(2) Cfr. Alberto Tenenti, L’età moderna. XVI-XVIII secolo, il Mulino, Bologna 2005 [672 pp., € 29,00]. Tutti i riferimenti fra parentesi nel testo rimandano a quest’opera.
(3) Cfr. Pierroberto Scaramella, Il senso della storia: un profilo bio-bibliografico di Alberto Tenenti, in Idem (a cura di), Alberto Tenenti. Scritti in memoria, Bibliopolis, Napoli 2005, pp. 11-30.
(4) Cfr. A. Tenenti, Il senso della morte e l’amore per la vita nel Rinascimento. Francia e Italia, Einaudi, Torino 1957.
(5) Cfr. A. Tenenti e Ruggiero Romano (1923-2002), Alle origini del mondo moderno (1350-1550), Feltrinelli, Milano 1967.
(6) Cfr. A. Tenenti, I rinascimenti. 1350-1630, Le Monnier, Firenze 1981.
(7) Cfr. Idem, Stato: un’idea, una logica. Dal comune italiano all’assolutismo francese, il Mulino, Bologna 1987.
(8) Idem, Dalle rivolte alle rivoluzioni, il Mulino, Bologna 1997.



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