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a cura dell’Istituto Storico dell’Insorgenza e per l’Identità Nazionale








Il caso Toaff. Torna l’accusa del sangue contro gli ebrei

Massimo Introvigne



Ariel Toaff, docente di storia presso la Bar-Ilan University di Ramat Gan, in Israele e figlio del più famoso rabbino italiano, il novantunenne e grande amico di Papa Giovanni Paolo II (1920-2005) Elio Toaff, ha pubblicato direttamente in italiano un libro — Pasque di sangue. Ebrei d’Europa e omicidi rituali (il Mulino, Bologna 2007) — che vorrebbe rovesciare gli ultimi cinquant’anni di storiografia e di sociologia storica sul tema dell’«accusa del sangue», l’accusa — cioè — rivolta agli ebrei dal Medioevo fino ai giorni nostri di sacrificare bambini cristiani per cibarsi ritualmente del loro sangue. Per la storiografia accademica — tutt’altro che poco abbondante sull’argomento — la questione è risolta da molti anni. L’«accusa del sangue» — che prosegue una calunnia lanciata dai pagani contro i cristiani, basata su una maliziosa incomprensione della nozione di «bere il sangue di Cristo» nell’Eucarestia — è un mito antisemita, la cui genesi può essere spiegata con una serie di elementi storici e sociologici precisi, e che assomiglia al mito del vampiro come non-morto che torna dalla tomba a bere il sangue dei vivi o a quello del Sabba dove le streghe si accoppiavano con i demoni. La differenza con queste mitologie cui ormai credono in pochi è che ancora oggi la televisione degli Hezbollah al-Manar, il governo siriano e quello iraniano, e più in generale tutto l’ultra-fondamentalismo islamico, utilizzano l’accusa del sangue per la loro propaganda anti-ebraica. Toaff sostiene ora che è tutto vero: sarebbe esistito almeno dall’Alto Medioevo al Quattrocento un «fondamentalismo violento e aggressivo» (p. 13) — l’anacronismo, giacché il termine «fondamentalismo» nasce solo agli inizi del XX secolo è curioso, e forse rivelatore — presso un gruppo, non inconsistente, di ebrei ashkenaziti che avrebbero effettivamente sacrificato fanciulli cristiani per assumere ritualmente il loro sangue.

Mi sono occupato della questione in un libro del 2004 — Cattolici, antisemitismo e sangue — che Toaff definisce «una voce enciclopedica sull’argomento» (il che non mi sembra, ma forse sbaglio, un’offesa) purtroppo «corredata da una bibliografia solo parzialmente aggiornata» (p. 254). Non mi soffermo sull’aggiornamento della bibliografia di Toaff, che ignora completamente il più completo saggio in lingua italiana sull’argomento e uno dei più importanti in assoluto — L’accusa del sangue: storia politica di un mito antisemita di Ruggero Taradel (Editori Riuniti, Roma 2002) — e mi limito a notare che non deve avere letto per intero il mio libro. Se lo avesse fatto non sarebbe incorso in un equivoco sulle posizioni del cardinale Lorenzo Ganganelli, poi Papa Clemente XIV (1705-1774), autore del più articolato documento vaticano sul tema — un rapporto del Sant’Uffizio (oggi Congregazione per la Dottrina della Fede) del 1759 (non del 1760, come ritiene Toaff, che non è né la data di stesura né quella in cui il Sant’Uffizio lo approva con voto — 24 dicembre 1759 — ma quella della bolla, del 9 febbraio 1760, con cui il Papa Clemente XIII, 1693-1769, trasmette ai vescovi polacchi tramite il nunzio apostolico a Varsavia le raccomandazioni contenute nel rapporto) — sui casi di due fanciulli presunte vittime di omicidi rituali, Simone da Trento e Andrea da Rinn. Ben lungi dal considerare questi eventi «concreti e reali» senza riserve (p. 70), il cardinale dichiarava il suo ossequio ai Papi che avevano approvato il culto dei due fanciulli come martiri ma non si asteneva dal manifestare un’ampia serie di riserve. Sempre se avesse letto il mio libro — non amando le teorie del complotto in genere, non immagino neppure un travisamento volontario — Toaff saprebbe che a rigore non tratta dell’accusa del sangue, su cui già esisteva un’enorme letteratura e ben poco si sarebbe potuto aggiungere, ma delle reazioni della Chiesa cattolica all’accusa del sangue, che costituiscono un tema diverso. Toaff avrebbe così potuto discutere una questione cui non dedica neppure una riga del suo pur ampio volume: dal 28 maggio 1247, data della prima bolla sul tema di Papa Innocenzo IV (1195-1254), al rapporto del Sant’Uffizio del 1759, ci sono otto documenti del magistero pontificio dove i Papi dichiarano di avere fatto svolgere indagini sulla questione e di avere concluso che si tratta di accuse «falsissime», «stupide» e «incredibili» (così il Papa Beato Gregorio X, 1210-1276, nella sua bolla del 7 ottobre 1272). Nel 1706, a fronte di una recrudescenza dell’accusa del sangue in Polonia, il Sant’Uffizio aveva esplicitamente autorizzato il rabbino capo di Roma, Tranquillo Vita Corcos (1660-1730), a pubblicare uno studio critico sul tema, e lo aveva inviato ai vescovi polacchi. Vi è qui anche un monito ai cattolici anti-ebraici che volessero entusiasmarsi per il libro di Toaff, i quali dovrebbero accusare di essersi clamorosamente sbagliato il magistero ordinario di una teoria plurisecolare di Papi. I diversi atteggiamenti del mondo cattolico dopo la Rivoluzione francese, e in particolare nel XIX secolo, sono un tema interessante, controverso e ampiamente discusso nel mio testo, che non è però il caso di trattare qui perché il libro di Toaff si arresta al XVI secolo.

A differenza di Toaff — e, temo, anche di molti che hanno scritto articoli pro o contro il suo libro prima che uscisse in libreria — prima di intervenire sul tema ho letto Pasque di Sangue, con particolare riguardo alle note, che in un libro di storia sono cruciali perché ci dicono da dove lo storico trae le sue notizie. La prima osservazione è che nel libro le pagine dedicate all’accusa del sangue sono decisamente minoritarie rispetto a quelle che trattano di altri argomenti, che non sono prive di interesse e dove Toaff apporta informazioni bene ordinate e presentate con notevole vivacità, il che rende la lettura a suo modo piacevole, ancorché raramente del tutto nuove. Gran parte del libro è dedicata ai seguenti temi: il coinvolgimento di ebrei in attività di spionaggio (che avrebbero potuto forse — «forse» è una delle parole più usate nel testo — coinvolgere un tentativo di assassinare il sultano turco dell’epoca) e in affari piuttosto loschi della Repubblica di Venezia; le invettive anticristiane nella letteratura e in alcuni rituali ebraici medievali e della prima età moderna; le parodie blasfeme del cristianesimo, che avrebbero comportato in particolare la crocifissione di un agnello a Pasqua in odio a Gesù Cristo, di cui si sarebbero «forse» resi colpevoli certi ebrei di Candia; l’uccisione di cristiani, alcuni «forse» mediante crocifissione, da parte di ebrei (e viceversa) in occasione di tumulti; il dramma di alcune madri ebree disperate che avrebbero ucciso i propri figli per sottrarli al rapimento e alla conversione forzata al cristianesimo; le accuse a Gesù Cristo nella polemica anticristiana ebraica di essere stato concepito non da una vergine ma da una donna mestruata; un’iconografia ebraica che rappresenta con evidente compiacimento il sangue di nemici uccisi; un complotto «forse» ordito da ebrei per uccidere i responsabili di uno dei più sanguinosi casi di accusa del sangue, quello di Trento del 1475; e la pratica superstiziosa di alcune comunità ebraiche, dove si sarebbe ritenuto portatore di benefici terapeutici (o magici, ma Toaff non ama questo aggettivo) il sangue della circoncisione.

A chi obiettasse che tutto questo non c’entra evidentemente nulla con l’accusa del sangue, Toaff risponde che si tratta invece delle fondamenta che gli consentono di stabilire due cose: la prima, che l’avversione degli ebrei medievali per i cristiani era così estrema da rendere credibili le accuse di omicidio rituale; e la seconda, che nonostante i divieti biblici e talmudici contro l’uso del sangue l’immagine del sangue ritorna — secondo lo storico ossessivamente — nell’iconografia e nel folklore ebraico e ci sono casi di superstizioni in cui il tabù era superato e si usava per scopi curativi il sangue, in particolare quello della circoncisione. Toaff riesuma anche — permettendosi perfino qualche punto esclamativo, quasi a indicare di avere finalmente trovato l’arma del delitto — i responsi di due stimati rabbini dell’epoca moderna, Jacob Reischer (1670-1734) di Praga e Hayyim Ozer Grodzinski (1863-1940) di Vilnius, i quali autorizzano l’uso di farmaci a base di sangue animale essiccato. Lo studioso di religioni va immediatamente con il pensiero ai Testimoni di Geova, i quali sconsigliano ai loro fedeli le trasfusioni di sangue e le medicine che contengano a qualunque titolo sangue, ritenendole in contrasto con il divieto biblico di mangiare il sangue. La grande maggioranza dei cristiani (e degli ebrei) non la pensa così, ma questo non significa che si aggiri nottetempo cercando bambini di altra religione da sacrificare per poi berne il sangue. Fuori dall’uso medico (non importa se conforme o meno alla medicina del 2007, quella che rileva essendo ovviamente la medicina del tempo), Toaff ha trovato solo responsi di rabbini che condannano qualunque uso superstizioso del sangue, come del resto facevano i vescovi cattolici più o meno nello stesso periodo.

Venendo alla parte del libro — come si è accennato, assai più succinta di quanto potrebbe sembrare a prima vista — che tratta dei casi di accusa del sangue, per rovesciare le conclusioni cui è pervenuta tutta la letteratura accademica che lo precede, Toaff, che ha pochi documenti nuovi da citare, deve metterne in discussione anzitutto la metodologia. Questa si basa su due capisaldi. Il primo è che le confessioni estorte con uso abbondante della tortura non possono essere considerate una prova dallo storico. Toaff risponde che non è proprio così, perché diversi documenti, e in particolare i verbali del caso del piccolo Simone di Trento del 1475 (la fonte principale di Toaff, già nota e pubblicata, perché per gli altri casi le testimonianze sono molto più scarne) riportano tutta una serie di affermazioni degli imputati su rituali e pratiche tipicamente ebraiche che i giudici non potevano conoscere. Dopo avere notato che sia nel libro di Toaff sia nelle polemiche giornalistiche che lo hanno seguito si usano in modo improprio i termini «inquisitori» e «Inquisizione», perché a rigore l’Inquisizione — romana e spagnola — si è occupata di tre casi di accusa del sangue, in due dei quali ha condannato gli accusatori e non gli ebrei accusati, mentre tutti gli altri episodi (Trento compreso, benché la città fosse governata da un vescovo-principe) sono stati giudicati da tribunali civili e non ecclesiastici, osservo che il problema è già ampiamente noto in tema di stregoneria.

Gli storici della stregoneria hanno passato buona parte del XX secolo a combattere la cosiddetta «eresia Murray», che ha tra l’altro un ruolo importante nelle origini della moderna neo-stregoneria o Wicca in Inghilterra e negli Stati Uniti. Margaret Alice Murray (1863-1963), egittologa di professione e storica della stregoneria per passione, pubblica a partire dal 1917 diversi scritti sulle streghe che culminano nel 1931 con Il dio delle streghe. Influenzata dalle ricerche, a sua volta discusse, del folklorista americano Charles Godfrey Leland (1824-1903), condotte soprattutto in Italia, Margaret Murray — che sopravviverà alla controversia sulla sua «eresia» storiografica, e vivrà fino alla rispettabile età di cento anni — sostiene che le confessioni delle streghe processate non possono essere attribuite alla tortura perché sono piene di allusioni a un folklore contadino che non era quello degli inquisitori colti e che questi non avrebbero potuto inventare nei loro verbali. Per la Murray quelle allusioni, messe insieme, testimoniano l’esistenza clandestina nel Medioevo di un vasto network che praticava la «vecchia religione» dei pagani, sopravvissuta alla repressione dei cristiani e da questi diffamata con il nome di stregoneria.

Toaff è consapevole del fatto che gli sarà rivolta questa obiezione, e infatti invita fin dalle prime pagine del libro a non applicare all’accusa del sangue metodologie usate per lo studio della stregoneria, con procedure che chiama «epidermiche e impressionistiche» (p. 8). Ma perché mai si dovrebbe rinunciare a un patrimonio di conoscenze storiche accumulate in decenni di studi sulla stregoneria? A ben vedere, la tesi di Toaff non è altro che l’«eresia Murray» riveduta e applicata all’accusa del sangue. Alla Murray è stato risposto fino alla noia che, anche sotto tortura, le presunte streghe conservavano certamente il loro linguaggio e mescolavano a quel che interessava ai giudici (tra cui l’ammissione di avere avuto commercio carnale con il Diavolo) informazioni reali sul loro mondo e sulle tradizioni contadine. Se affermiamo che tutto quello che le accusate di stregoneria raccontavano nei processi era falso, certamente sbagliamo. Ma sbagliamo in modo più grave se crediamo che tutto quanto risulta dai verbali dei processi per stregoneria sia vero. Come le donne (e gli uomini) accusati di stregoneria raccontavano particolari spesso veri su pratiche magiche e superstiziose, ma certamente davano voce ad affabulazioni loro o dei giudici quando raccontavano di essersi accoppiate con il Diavolo o di volare a cavallo delle scope, così è possibile che gli ebrei torturati a Trento ci aprano una finestra su un mondo di superstizioni popolari dell’epoca, ma questo non significa che sia un fatto oggettivo anche quanto raccontano a proposito dell’omicidio rituale del piccolo Simone e dell’assunzione rituale del suo sangue.

Un po’ ingenuamente, Toaff ci ricorda che la tortura era lecita per le leggi del tempo e che le crudeli procedure usate a Trento «se pur inaccettabili oggi ai nostri occhi, erano quindi di fatto normali» (p. 12): ma questo che cosa cambia esattamente? Quando poi lo storico ci annuncia casi corredati da «riscontri obbiettivi» (p. 76), come quello di Endingen in Alsazia del 1470, ci si aspetterebbe un uso del termine «riscontro» conforme al linguaggio giuridico corrente. Nel caso di Endingen — a differenza di altri, dove il presunto fanciullo sacrificato ricompare dopo qualche giorno vivo e vegeto — scavando si trova un cadavere. Ma il ritrovamento di un cadavere dimostra solo che il bambino scomparso è morto: non ci dice ancora nulla su chi lo ha ucciso, e certamente non ci dice perché. Da qui a concludere che le deposizioni degli imputati, ampiamente torturati, di processi come quello di Trento permettono di concludere che «l’uso del sangue d’infante cristiano nella celebrazione della Pasqua ebraica era apparentemente oggetto di una normativa minuziosa» fra un gruppo ampio di ebrei ashkenaziti, dove «ogni eventualità era prevista e affrontata, quasi facesse parte integrante delle più collaudate regole del rito» (p. 173) il passo è decisamente più lungo della gamba di Toaff. Il quale, tra l’altro, deve screditare l’inchiesta del legato pontificio inviato da Roma, l’arcivescovo Battista de’ Giudici (1428-1484), il quale dichiarò gli ebrei di Trento «completamente innocenti» e le storie di omicidio rituale «fantasie», così anticipando quanto la Sacra Congregazione dei Riti avrebbe confermato in un decreto sul caso di Trento del 4 maggio 1965. Toaff risponde riesumando tutti i pettegolezzi dell’epoca su de’ Giudici, che non solo «pare» (si noti il «pare») «fosse accompagnato da tre ebrei» ma sarebbe stato anche «un buongustaio» e un mangione (pp. 211-212).

L’altro principio metodologico che Toaff mette in dubbio è di carattere più squisitamente sociologico, ed è quello secondo cui il fatto che decine o anche centinaia di racconti di omicidi rituali imputati agli ebrei siano simili fra loro non prova l’accusa del sangue, ma al contrario è un forte indizio della sua falsità. Sono i resoconti, non i fatti, a copiarsi fra loro. Questo non vale solo per la stregoneria. Se Toaff si sedesse a fare due chiacchiere con uno dei tanti sociologi contemporanei che si sono occupati della «grande paura» degli omicidi rituali satanici negli Stati Uniti e nell’Inghilterra degli anni 1980 e 1990 — da non confondersi con i veri crimini di satanisti come le Bestie di Satana italiane, del tutto reali ma per fortuna rari — o dei resoconti di chi afferma di essere stato rapito da extraterrestri e portato a bordo di UFO, si renderebbe conto che, se ci sono centinaia di casi di accusa del sangue, ci sono migliaia di resoconti di persone che hanno affermato di avere visto bambini mangiati dai satanisti o di essere state condotte su astronavi aliene. Il fatto che questi resoconti siano molto simili fra loro dimostra precisamente che fanno parte di una subcultura dove ognuno ripete quello che qualcun altro ha detto, come in ogni leggenda urbana che si rispetti. Tra l’altro, la maggioranza dei resoconti di omicidi rituali satanici o di rapimenti alieni sono stati raccolti sotto ipnosi, in uno stato di coscienza alterato per certi versi simile (anche se naturalmente assai meno crudele) rispetto a quello indotto dalla tortura.

Concludendo, l’opera di Toaff non si fonda su alcuna «scoperta». Sul caso centrale per il suo argomento, che è quello di Trento, non apporta documenti nuovi ma cerca di rovesciare la metodologia scientifica usata da decenni per la corretta interpretazione di quelli noti e pubblici, senza accorgersi che usando il suo metodo si dovrebbe ammettere anche che le streghe andavano a incontrare il Diavolo a cavallo delle loro scope o che centinaia di buoni americani degli anni 1990 erano rapiti da omini verdi provenienti da qualche lontana galassia.

Forse il libro ci dice poco sull’accusa del sangue, ma molto sul clima in certe università israeliane dilaniate fra una componente religiosa e una laicista. Per un certo mondo cristiano medievale e moderno l’«alieno» di cui si poteva credere perfino che bevesse il sangue era l’ebreo. Per un certo ebraismo illuminato e laicista in Israele oggi l’«alieno» è l’ebreo ultra-ortodosso che si veste di nero, rifiuta il servizio militare e grazie alla demografia ha un peso sempre più determinante nei giochi elettorali israeliani. Accenti tipicamente antisemiti emergono paradossalmente nel modo in cui un certo laicismo israeliano rappresenta gli ultra-ortodossi gli haredim. Secondo questa propaganda, tipicamente espressa nelle caricature dei quotidiani secolaristi israeliani — come nota in un bel libro lo storico Noah J. Efron (Real Jews, Basic Books, New York 2003, p. 260) — in queste caricature «lo haredi prende e prende, mentre lo tzabar (il mitico ebreo [non religioso] nato in Israele) produce. Lo haredi manipola, mentre lo tzabar è franco e diretto. Lo haredi è curvo, con il naso adunco, scuro e deforme, mentre lo tzabar è biondo, bello e robusto». È la paura degli ebrei ultra-ortodossi (non tutti gli atteggiamenti dei quali sono, certo, gradevoli) — come qualcuno dice, la seconda bomba demografica dopo quella arabo-islamica che minaccia il laico sionismo israeliano — che spiega come in Israele a qualcuno possa venire in mente di tirare fuori da vecchi armadi perfino lo scheletro dell’accusa del sangue.

Il lettore che ha seguito le controversie giornalistiche sul libro avrà notato che non affermo da nessuna parte che Toaff «fa il gioco di Ahmadinejad», l’argomento essendo politicamente significativo ma scientificamente irrilevante. Anche un orologio rotto segna l’ora giusta due volte al giorno, ed è possibile — ancorché poco probabile — che ci siano casi in cui perfino Ahmadinejad dica qualcosa di vero quando parla degli ebrei. Ma il lettore eventualmente preoccupato può riposare tranquillo: questo non è uno di quei casi.



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