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a cura dell’Istituto Storico dell’Insorgenza e per l’Identità Nazionale




Dossier
«La rimozione della targa stradale
alla memoria del Viva Maria ad Arezzo»

Documento 3

Il «Viva Maria» non fu antiebraico e gli Aretini non furono massacratori (*)


1. Viva Maria e Nazione Ebrea a Monte San Savino (Arezzo)

Nel testo di un Atto di Indirizzo proposto al Consiglio Comunale di Arezzo si sostiene che occorrerebbe «cambiare l’intitolazione della targa intitolata "Viva Maria – insurrezione popolare 1799-1800"». Se ne giustifica il motivo perché «sulla base delle ricerche storiche più autorevoli, gli insorgenti del Viva Maria […] si resero responsabili di una successione di violenze gravi e continuate nei confronti degli ebrei toscani in ogni dove […]. Il culmine si raggiunse a Monte San Savino, dove gli ebrei furono cacciati in modo violento il 18 luglio 1799 e a Siena, dove furono trucidati tredici israeliti».

Crediamo dunque opportuno ricostruire la sequenza dei fatti che portarono all’allontanamento degli Ebrei savinesi, documentandoli con i documenti esistenti presso l’Archivio di Stato di Firenze e presso l’Archivio Preunitario di Monte San Savino. Così come riportiamo alcuni documenti dell’Archivio di Stato di Siena che scagionano completamente gli aretini dalle infamanti accuse relative al massacro nel Ghetto.

2. I rapporti fra la popolazione savinese di religione cristiana e la Nazione Ebrea

Fra la popolazione savinese — specialmente del basso ceto — e la Nazione Ebrea non vi sono stati mai rapporti idilliaci. Le cause furono molteplici ed avevano lontane origini, che esulano del tutto dall’insorgenza del Viva Maria. Cause sociali ed economiche, religiose e culturali, pregiudiziali e fanatiche.

Basta leggere lo studio del prof. Roberto Salvadori, Gli Ebrei a Monte San Savino, oppure i documenti conservati presso il locale Archivio Preunitario per rendersene conto.

Crediamo che sia eloquente quanto raccontato dal rabbino Joseph David Azulay, alla comunità ebraica, sul suo ingresso al Monte San Savino, nel novembre 1753, assieme a certi suoi accompagnatori: «tutta la città era un pandemonio, grandi e piccini gridavano e dileggiavano, e noi, mortificati, imbarazzati, impauriti e preoccupati non riuscivamo a capire il perché di tanta cagnara» (1).

Per arrivare ad un periodo più vicino al Viva Maria, possiamo citare la lettera del 19 dicembre 1798, spedita dal Presidente del Buongoverno (era il Capo della Polizia del Granducato), Giuseppe Giusti, al Vicario di Monte San Savino. Il Giusti, dopo aver affermato di essere a conoscenza che «si proseguono le minacce, e gl’insulti contro gli Ebrei» da parte dei savinesi («codesti Paesani»), invita «assolutamente» il Vicario a «provvedere senza ritardo a questo disordine, mortificando rigorosamente gli autori di tali insulti, e minacce, verificate prima le loro mancanze non già colle regole ordinarie, ma con quelle di Polizia.

Ella dunque si dia tutta la premura per rimediare a questo inconveniente, prima che il male divenga più serio con far comprendere a codesti Abitanti, che il Governo, cui stà a cuore la tranquillità, e la pace di tutti i Sudditi, non potrebbe dissimulare i torti , che vengono fatti alla Nazione Ebrea, la quale ha tutto il diritto di godere di quella quiete, e sicurezza, di cui godono indistintamente tutti gli altri».

In calce c’è la postilla del Vicario di Monte San Savino: «furono rinnovati ordini premurosissimi a Lorenzo Fortuni Caporale di questa Squadra di sempre più invigilare attentamente e di riferire per prevenire qualunque disordine» (2).

2.1 Durante il Viva Maria

Dopo l’invasione francese e l’insurrezione del Viva Maria del 6 maggio 1799, il 12 giugno 1799 anche a Monte San Savino pare già istituita una Deputazione di Governo, alleata della Suprema Deputazione aretina. Di essa facevano parte: Francesco Bolsi, Filippo Antonio Galletti, Pier Mannino Galletti, Gio Niccolò Cerboni, can. Niccola Filippi, Ferdinando Lucatelli; ne era segretario in can. Luigi Giovacchini.

Il medesimo 12 giugno il Vicario interino scrive alla Suprema Deputazione di Arezzo per informarla che all’una del pomeriggio i contadini: «si sono sollevati alla vista di un baroccio carico di due bauli di attinenza della Nazione Ebrea di Monte San Savino, i quali partivano per Firenze. I detti contadini gl’hanno arrestati, assieme con tre Ebrei, che il tutto vogliono condurre ad Arezzo». Lo stesso giorno risponde la Suprema Deputazione di Arezzo al Vicario del Monte per lamentare l’avvenuto arresto (3).

Più dettagliata la versione del fatto fornita alla medesima Suprema Deputazione dal Capitano Pietro Veltroni di Monte San Savino: «[…] Il suddetto 12 successe un certo arresto di tre Ebrei, che andavano a Siena, per timore e perché tutto giorno erano strapazzati da tre o quattro, inconsiderati, che ci campavano sopra. Successo l’arresto, che lo fecero, non più di 3 contadini dovetti, tanto io, che altre persone di maggior merito di me, dirli, che avevano operato male, e che ciò non era assolutamente ordine del Governo Provisorio di Arezzo, il quale anzi proibiscie, le prepotenze e le soverchierie. E sul punto mi portai a Arezzo per eclamare di questo fatto che poteva assolutamente, mettere in compromesso il nostro Paese, prima di stringere, l’alleanza, con il Governo d’Arezzo». Credo che sia palese il volere della Suprema Deputazione a riguardo di prepotenze contro tutti, ebrei compresi (4).

In questi episodi di violenza antiebraici si distinse per il suo coraggioso atteggiamento anche il Caporale Giuseppe Ciari che fu segnalato alla Suprema Deputazione dal Vicario interino, Luigi Giovacchini: «[…] Egli nella sua ultima gita in questa Terra si è prestato con tutto l’impegno non solamente per la legale assicurazione delle Case, e Fondachi di questi profughi Ebrei, quanto ancora per il buon ordine del minuto Popolo, e per la sicurezza delle case e delle donne Ebree che qui si ritrovano. E di questo ne faccio sulla mia parola inalterata costanza». Il Vicario scrisse la suddetta segnalazione sia a richiesta del Ciari che «A fine primieramente di rassegnare alle Signorie Loro Illustrissime il mio più sommesso rispetto, e quella officiosa sommissione, della quale sono a Loro debitore»; in entrambi i casi è più che evidente quali fossero gli ordini della Suprema Deputazione al riguardo della sicurezza degli Ebrei e il desiderio dei dirigenti savinesi di dimostrare di aver ottemperato alle disposizioni impartite loro (5).

Anche nei giorni successivi si verificarono sporadiche violenze contro gli ebrei savinesi, perpetrate in special modo da persone del contado. E’ il caso dei maltrattamenti subiti il 17 giugno in località Leprone, non lontano dal monastero delle Vertighe, da Salomone Ambron. Questo stava camminando sulla pubblica via quando due popolani che coglievano foglie di gelso lo affrontarono e mentre uno lo minacciava con un bastone, l’altro gli rubò 10 paoli. L’Ambron denunciò il tutto alla Deputazione di Monte San Savino, che il giorno dopo individuò gli autori e ne ordinò l’arresto. Lo stesso giorno i due, Giovanni Maria Saccocci e Niccolò di Pietro Risoni, vengono «associati» al locale carcere, come annotò il Soprintendente delle Carceri savinesi. Il 26 giugno fu ricompensato colui che aveva scoperto i due malfattori: «Io Lorenzo Coradeschi ho ricevuto dal Tribunale del Monte San Savino paoli 2 in gratificazione di aver scoperto gli autori che strapazzarono l’Ebreo» (6).

Arriviamo al famoso Decreto della Deputazione del Monte San Savino, emanato il 18 luglio 1799: «Premendo sopra ogni cosa alla nostra Deputazione, che si mantenga in questa Terra, e fra questo popolo inalterabilmente il buon ordine ed avendo altresì presentito, che questo buon ordine possa essere leso per il soverchio fervore di molti del Popolo, i quali irritati contro della Nazione Ebrea per la iniqua loro correlazione coi Francesi, onde si è comprovata brigante contro la Santa Religione ed il legittimo Sovrano, ed i buoni antipatriottici, macchinano d’intentare contro della detta Nazione Ebrea le più esemplari vendette, però col tenore di questo nostro decreto si avvisano tutti gli Ebrei stazionati in questa Terra, di qualunque età, condizione, e sesso, che procurino di provvedere con tutta sollecitudine alla propria salvezza con assentarsi da questa Terra fino al ritorno del nostro Reale padrone e Signore» (7). Viene spiegato che sono stati gli stessi ebrei a voler lasciare Monte San Savino entro otto giorni, nel frattempo si ordina alla popolazione locale di non molestarli.

La Suprema Deputazione Aretina, tre giorni dopo, intervenne presso quella savinese per chiedere spiegazioni ed invitarla a revocare il provvedimento. Il 22 luglio la deputazione del Monte rispose alquanto polemicamente: «È certamente giustissimo quanto le Signorie Loro Illustrissime hanno favorito indicarci relativamente agli Ebrei di questa nostra Terra colla di Loro lettera del dì 21 corrente. Ma senza punto mancare al debito rispetto ci convien dire, che se le Signorie Loro Illustrissime avessero avuto la degnazione di sentir noi prima di scriver detta lettera, come si sono compiaciuti sentire gli Ebrei, avrebbero riconosciuto inutile per noi quanto ci hanno esposto di dottrinale per nostro documento. Imperciocché noi con i nostri Editti non abbiamo intimato lo sfratto agli Ebrei commoranti in questa Terra, ma puramente gli abbiamo consigliati di procedere alla propria salvezza con sottrarsi alla furia di una masnada numerosissima di villani ed altri, i quali inviperiti contro di essi avevano prefisso per il dì 19 di questo il loro il loro saccheggiamento e massacro. Inoltre non noi con i nostri Editti abbiamo determinati giorno di tempo a questi Ebrei per partire da questa Terra, ma essi medesimi ne avevano fatto accordo alla presenza di noi Deputati, e noi sulle loro richieste e parole formammo il Decreto.

Contuttociò per di loro regola e quiete ci pregiamo significare alle Signorie Loro Illustrissime che in tutti i modi possibili, e colle comminazioni le più precise, pressanti e rigorose procureremo a loro riguardo, e per debito di giustizia, raffrenare o tenere a segno le effervescenze vertiginose di questi intriganti villani. E a tale effetto si è già disteso il conveniente decreto a forma dei di loro pregiatissimi cenni, quali bramiamo di tutto cuore che sortiscano ottimo effetto per il buon ordine e per il lustro della buona causa […]. Dalla Deputazione del Monte San Savino lì 22 Luglio 1799» (8).

C’è da credere che l’espulsione fosse diventata una specie di «salvacondotto» per far uscire indenni gli ebrei da Monte San Savino: abbiamo visto come già tempo prima erano stati fermati dai popolani tre ebrei che andavano verso Siena, quindi c’era da supporre che se gli ebrei se ne fossero andati via dal Monte, senza «l’espulsione», il loro atto poteva essere interpretato come un desiderio di unirsi ai francesi, con conseguente «arresto» da parte della plebaglia.

2.2 Dopo il Viva Maria

Come sappiamo, l’11 settembre 1799 furono disarmate e smobilitate le Bande del Viva Maria ed il 15 settembre fu sciolta la Suprema Deputazione di Arezzo. Il Senato Fiorentino acquisì tutti i poteri per conto del Granduca.

Ma a Monte San Savino le cose non parvero cambiare granché. E’ del 13 settembre una lettera al Vicario del Monte, spedita da Giuseppe Giusti, di nuovo Presidente del Buongoverno. Egli notifica che «è già partito un distaccamento d’Infanteria Tedesca alla volta di Poppi, di dove dopo aver eseguite alcune incombenze deve trasferirsi in codesto luogo [Monte San Savino] per l’oggetto di ripristinare la pubblica tranquillità. Intanto Ella tenga di vista gl’insubordinati e gli arbitrari per farli arrestare alla venuta dei soldati» (9).

Intanto, gli ebrei continuavano a far pervenire alcune lettere con cui chiedevano giustizia. Adesso, non essendoci più la Suprema Deputazione, rivolgevano le loro suppliche al Presidente del Buongoverno. Troviamo infatti, un biglietto datato 20 settembre 1799, con cui il Giusti chiede al vicario del Monte: «Considerata che avrà l’annessa istanza degl’Individui della Nazione Ebrea, procurerà d’amministrarli la giustizia, che meritano» (10).

Con lettera firmata dal famoso letterato ebreo Salomon Fiorentino, viene chiesto al Presidente del Buongoverno di intervenire presso il Vicario del Monte San Savino, al fine di fargli applicare quanto stabilito dalla Suprema Deputazione riguardo ai beni degli Ebrei ancora conservati nelle loro case al Monte: «Gli individui della Nazione Ebrea del Monte San Savino Servi umilissimi dell’Eccellenza Vostra con profondo rispetto le rappresentano.

Che la Deputazione Aretina nel tempo della sua esistenza fece aprire tutte le case e fondachi dei rispettivi ebrei di quel luogo in tempo della loro assenza, mediante l’espulsione intimatagli, la Deputazione del Monte S. Savino che parte delle loro mobilie e mercanzie furono levate e parte restarono nelle istesse abitazioni, sigillate e sprangate ed altre trasportate in Arezzo.

Che fatte delle istanze in seguito alla detta Deputazione aretina ottennero per mezzo di Lettera il rilascio di tutte le robe esistenti nel Monte S. Savino, tanto quelle delle case che quelle depositate e radunate in luogo appartato. […] Ma il signor Vicario interino di detta Terra non volle prestarsi alla consegna non ostante. […] Che l’E. V. si degni ordinare al S. Vicario del Monte S. Savino che nel presentarsi il commesso degli oratori con la debita Procura senza verun ritardo permetta al medesmo di levare e far trasportare da quel luogo o tutta o parte delle robe che vottà in quella forma che a cautela degli oratori verrà prescritta all’istesso loro Procuratore

Io Salomon Fiorentino Commesso Supplico come sopra» (11).

3. Altri documenti

La moderazione della Suprema Deputazione e dei membri delle Bande del Viva Maria non è solo legata ai fatti di Monte San Savino, ma anche ad altre situazioni. E’ il caso di quanto accadde a Pitigliano. Ecco cosa scrive alla Suprema Deputazione il Magistrato di Pitigliano: «Questo popolo nella notte del 16, venendo il 17 era tutto in rivolta nell’atterramento degl’iniqui e sacrileghi emblemi francesi e si era ridotto aduna perfetta anarchia il paese.

Nella notte della rivoluzione, parte per derubare, parte per odio e parte per sospetti di corrispondenza del partito francese e per sacrileghe bestemmie ed altro, il popolo carcerò fino a numero 31 individui, come nelle rispettive note di numero III e IV.

Non fu possibile fino al dì 19 di sollevare almeno in parte i disgraziati detenuti contro l’umanità ammucchiati in carcere. Ma finalmente comparso in questa terra qual genio tutelare l’Ill.mo sig. Capitano Romanelli, con applauso universale potè nella sera del 21 liberare e rimandare alle loro case numero 22 individui ritenuti e l’altri nove nella mattina suseguente, e dette una nuova forma di Governo, tanto nel Civile e Politico, quanto nell’Economico sotto l’immediata direzione della ridetta Deputazione come dall’istruzione di detto sig.Capitano Romanelli, qui alligate sotto numero V»  (12).

Interessante anche il proclama redatto dal Capitano Fabrizio Peroni il 14 luglio 1799: «[…] Rivendicate ora l’affronto che riceveste dagl’infernali seduttori. Ma come? Colla ferocia? Con la crudeltà? Con la vendetta? Non sia mai vero. Ma con sentimenti di Cristiana carità, muniti delle armi religiose e potenti delle orazioni e delle preghiere di evangelica mansuetudine» (13).

4. I fatti di Siena

Siena fu l’unica città della Toscana che accolse con un certo ottimismo l’arrivo dei francesi. Perfino l’Arcivescovo Zondadari partecipò, con la coccarda tricolore, all’innalzamento dell’albero della libertà. In due mesi la ricca città venne spogliata dei suoi beni; tutto quanto era trasportabile fu portato via: tonnellate di denaro pubblico e privato, argenteria delle Chiese, etc. Il grano salì a 12 lire lo staio, cifra per la quale Arezzo il 18 aprile 1795 era insorta contro Firenze.

Alle speranze iniziali in Siena subentrò perciò la più profonda delusione e un grande risentimento contro la nuova amministrazione, che i francesi avevano affidato al Commissario Abram, un ebreo di origine francese. Più apertamente che altrove qui gli ebrei parteggiarono per i nuovi arrivati, e i francesi favorirono apertamente gli ebrei anche a discapito dei cristiani. Lo affermano con tutta chiarezza i popolani che assaltarono il Ghetto, come motivazione del loro gesto: «La nazione ebrea la quale è notorio ricevesse dai Francesi in occasione della loro invasione delle distinzioni e parzialità superiori a molti meritevoli soggetti cattolici» (14).

Tutti gli inquisiti e i condannati per l’assalto al Ghetto ebraico furono senesi, chiamati anche con il loro soprannome, «specialmente un certo giovinotto di capello rosso che fu quello che con l’accetta atterrò la porta» di una casa del Ghetto: era Lorenzo Regoli, detto il Rosso; insieme a lui c’era Luigi Guerrini ed altri popolani (15). I nomi dei condannati sono, oltre ai già nominati, Assunto Provedi, Pietro Trinci, che uccise due ebrei, Servi Isacco, Moranti Giovanni, ecc., tutti senesi.

I fatti avvennero «nell’occasione dell’ingresso in questa stessa città delle Truppe Aretine» (16). La plebaglia approfittò della confusione e della fuga dei francesi in Fortezza per vendicarsi, assaltando il Ghetto al grido di «soldi, soldi, quattrini, quattrini» (e non «Viva Maria» !!!).

I capitani aretini, accortisi di quanto stava succedendo, «misero sentinelle al ghetto» per evitare ulteriori crimini (17) e si cercò perfino di recuperare la refurtiva per restituirla ai danneggiati (18); refurtiva che fu trovata anche ad Asciano.

In un fascicolo dell’archivio senese si trova la proposta di una benemerenza per il Capitano Antonio Panzieri, «Tenente della Truppa Aretina, che venne in Siena il dì 28 giugno per scacciare i Francesi da questa città, si è sempre portato onestamente da Ufficiale d’onore, non avendo mai dato da dire né pensare la minima cosa contraria ad un vero cattolico ed onestissimo ufficiale» (19).

Considerando che si trattò di una guerra di liberazione popolare (e sappiamo quanto queste siano aspre e talvolta feroci), si può concludere con Angiolo Lorenzo Giudici, testimone dei fatti, che in tutta l’insurrezione del 1799 «gli Aretini si fecero impegno di non oltrepassare i confini della giustizia e dell’equità» (20).

don Antonio Bacci
Santino Gallorini


Note

(*) Eventuali enfasi (in neretto) e formalismi dell’apparato critico sono quelli prescelti dagli Autori.
(1) Roberto G. Salvadori, Quattro secoli di storia ebraica a Monte San Savino, in Gli Ebrei a Monte San Savino, a cura del Comune di Monte San Savino, Città di Castello (Perugia) 1994, p. 36. Si tratta del Diario di Viaggio 1753-1794 scritto dal medesimo Azulay e pubblicato a Gerusalemme nel 1934.
(2) Vedi Doc. 1 in Appendice. Archivio Preunitario di Monte San Savino, (da adesso: A.Pre.M), Vicario Regio di Monte San Savino, Affari Economici, n. 2890, c. 695r
(3) Per le lettere del 12 giugno vedi: ASF, Suprema Deputazione del Governo provvisorio di Arezzo, n. 3, c. 231 - n. 19, c. 1. I nomi dei Deputati della Deputazione di Monte San Savino sono nello stesso fondo, in una lettera del 19 giugno.
(4) ASF - Suprema Deputazione del Governo Provvisorio in Arezzo , n. 3, cc. 237r-v, 238r.
(5) ASF, Suprema Deputazione del Governo Provvisorio di Arezzo, n. 3, c. 235r, lettera del 14 giugno 1799.
(6) ASF, Suprema Deputazione del Governo Provvisorio di Arezzo, n. 19, c. 474r. Segue il lungo interrogatorio dei due delinquenti, fino a c. 481v.
(7) ASF, Suprema Deputazione del Governo Provvisorio di Arezzo, n. 19, c. 383v.
(8) ASF, Suprema Deputazione del Governo Provvisorio di Arezzo, n. 3, cc. 308 r-v.
(9) A.Pre.M, Vicario Regio di Monte San Savino, Affari Economici, n. 2891, c. 401.
(10) A.Pre.M, Vicario Regio di Monte San Savino, Affari Economici, n. 2891, c. 403.
(11) A.Pre.M, Vicario Regio di Monte San Savino, Affari Economici, n. 2891, c. 404.
(12) ASF, Suprema Deputazione del Governo Provvisorio di S. A. R. il Granduca di Toscana in Arezzo, n. 5: c. 537 r-v.
(13) ASF, Suprema Deputazione del Governo Provvisorio di S. A. R. il Granduca di Toscana in Arezzo, n. 3, c. 680.
(14) Archivio di Stato di Siena, Governatore, 309, n. 4; novembre 1799.
(15) ASS, Capitano di Giustizia, 284, n. 48
(16) ASS, Governatore, n. 19.
(17) ASS, Governatore, 284, n. 48.
(18) ASS, Capitano di Giustizia, 286, 230.
(19) ASS, Governatore, dicembre 1799.
(20) Lettere sopra la condotta degli Aretini nella loro insurrezione del 1799, n. 10.


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Documento 3
Il «Viva Maria» non fu antiebraico e gli Aretini non furono massacratori


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