Come...  contattarci | contribuire |associarsi |acquistare libri | iscriversi alla newsletter 

oggi è  


a cura dell’Istituto Storico dell’Insorgenza e per l’Identità Nazionale


inserito il 21 febbraio 2009


Oscar Sanguinetti


Identità, non memoria, condivisa?




I n un articolo apparso su il Riformista del 12 febbraio 2009, dal titolo un po’ forzato – e che ha irritato non poco l’ex parlamentare – di «Mi vergogno d’esser stato comunista» uno dei più importanti dirigenti del Partito Democratico, l’onorevole Luciano Violante – il titolo di «onorevole» gli spetta anche se non è stato rieletto –, ha descritto come ha vissuto la Giornata della Memoria del 2009, una giornata da alcuni anni dedicata al ricordo pubblico della tragedia che gl’italiani d’Istria e di Dalmazia vissero fra il 1943 e il 1948. Una tragedia in cui il ruolo del carnefice spettò ai comunisti jugoslavi – impadronitisi delle coste adriatiche durante la vittoriosa guerra partigiana condotta contro il Terzo Reich e contro l’alleata «Repubblica di Mussolini» – alle cui violenze si dovette l’esodo forzato di migliaia d’italiani sotto la minaccia di finire uccisi e gettati in quelle profonde cavità naturali delle alture carsiche chiamate «foibe». Un ruolo tuttavia che vide i comunisti italiani – partito di cui Violante è stato membro, parlamentare e dirigente – in veste di operosi cooperatori, quanto meno per la copertura politica e propagandistica data nel regime post-fascista italiano all’espansione della Repubblica comunista di Tito in terre da secoli italiche.

Di questa copertura Violante menziona, condannandolo, un episodio particolarmente odioso, che si verificò quando convogli di esuli indirizzati verso squallidi campi-profughi al centro della Penisola, come si trattasse di prigionieri e non di cittadini, incontrarono l’ostacolo delle dimostrazioni di militanti rossi, che fermavano i treni protestando e accusando i connazionali di fascismo perché fuggiti da uno dei più recenti «paradisi» comunisti.

Ma l’emozione più forte della Giornata l’ex parlamentare l’ha provata durante la cerimonia, seguita da uno spettacolo teatrale, tenutasi a Montecitorio il 10 febbraio, allorché sono state ricordate le migliaia di italiani massacrati e infoibati. «Mentre la tragedia era raccontata – scrive – io mi sono sentito in imbarazzo. Se fosse stato raccontato un brano di vita a Mauthausen mi sarei immedesimato nella storia, mi sarei sentito a mio agio, orgoglioso di appartenere alla storia di quei vinti che poi hanno vinto. Mi sono reso conto per la prima volta, che la mia storia politica era stata dalla parte degli aggressori, di chi legava il fil di ferro ai polsi delle vittime, prima di precipitarle, non dalla parte di chi aveva i polsi legati. Dalla parte di chi aveva violentato e non dalla parte di chi era stato violentato. […] Mi sembrava che le implicite accuse delle parole della piéce riguardassero anche me. Perché l’aver appartenuto al partito comunista e il sentirmi tutt’ora dentro quella rigorosa educazione politica e quel complesso di valori civili e repubblicani mi faceva sentire tra quegli assassini. Come si sente un uomo di An quando si parla di San Saba o di via Tasso? Come si sente un cattolico quando si parla dell’Inquisizione o dei preti pedofili? Ma non basta questo a consolare. Anzi, è una deviazione. Il punto è che sinché la sinistra non celebrerà le foibe e la destra non celebrerà Fossoli resteremo divisi nelle nostre storie e nelle nostre memorie».

Ma, si chiede poi, è possibile una memoria indivisa? E si risponde così: «Si è parlato spesso di memoria condivisa. Ma la memoria per ciascuno di noi è il proprio personale rapporto con la storia generale e con le vicende della propria vita. È perciò difficile che sia condivisa. L’identità deve essere condivisa, non la memoria. Essere italiani vuol dire avere avuto tanto Fossoli quanta Baisovizza. E deve significare sentirsi tanto dalla parte di chi stava sui vagoni piombati quanto dalla parte di chi era precipitato nelle foibe. Il problema italiano non è la memoria: è l’identità. Ci sentiamo ancora oggi appartenenti a storie diverse perché queste classi dirigenti guardano poco al futuro e rinvangano continuamente il passato dell’altro per trovarvi argomenti di divisione, come se la storia dell’altro non riguardasse anche noi. E se io contrappongo a chi mi sbatte le foibe sul tavolo, i crimini di guerra di settori dell’esercito italiano nella ex Jugoslavia, resteremo cittadini di due Italie diverse. Se il mio avversario contrapporrà gli omicidi del triangolo rosso alle torture delle brigate nere, confermeremo che siamo cittadini di due Italie diverse. Su questa divisione lucreranno politici astuti e nel burrone tra le Italie del nostro passato potrebbe precipitare l’Italia del nostro futuro.

Costruire l’identità italiana avendo il coraggio di farci entrare anche la storia dell’altro, condannando tutto ciò che bisogna civilmente condannare, anche se viene dalla propria parte, ma sapendo che anche quella è storia d’Italia, ci renderebbe capaci di capire la drammaticità della nostra vicenda nazionale e ci darebbe la possibilità di costruire un futuro comune e migliore.

Capisco che molte obiezioni potrebbero essere fatte e rispettabili. Tuttavia occorre che si discuta anche di questa se si vuole perseguire l’interesse dell’intero Paese, dentro il quale deve stare l’interesse della propria parte. Diverso sarebbe se si intendesse perseguire l’interesse della propria parte, anche contro l’interesse del Paese».

Mi scuso per la non breve citazione ma mi sembrava necessario che le dichiarazioni di Violante andassero riferite in esteso, perché troppo significative. Non solo per il senso «di imbarazzo» evocato, pur apprezzabile, cui viene spontaneo di rispondere con il suggerimento della visione del film Katyn, pellicola di qualità – il regista è Andrzej Wayda – appena uscita in Italia sul massacro di trentamila ufficiali polacchi perpetrato dai comunisti sovietici nel 1940. Se vuole davvero sentirsi in imbarazzo veda questo bel film, soprattutto prima che scompaia dai circuiti cinematografici, come avvenuto per Porzus, per Li chiamavano briganti, per Il mercante di pietre, per ogni e qualunque pellicola «politicamente scorretta» apparsa negli ultimi lustri, negli stessi anni cioè – si badi bene – in cui matura l’eclissi dell’ideologia comunista, a testimonianza di quanto tenacemente essa sopravviva in forma occulta. E neanche per l’aperta denuncia di che cosa abbia comportato una coerente militanza comunista nel dopoguerra – che fa sorgere alla mente immagini di altri personaggi, ben più «alto-locati».

Ma perché sono significative le considerazioni che fa in relazione alla memoria e all’identità, considerazioni che trovo – sorprendentemente, devo dire: lo confesso – ampiamente sottoscrivibili. C’è chi sostiene che Violante voglia lavare ulteriormente i propri panni culturali – forse in analogia a Gianfranco Fini? – perché punta a cariche istituzionali. Oppure che da ex comunista, il dire e il contraddire non siano mai stati per lui un problema. Tuttavia, al di là degli intenti, i giudizi che emergono dall’articolo citato mi paiono se non nuovi – qualcosa in questo senso era affiorato già in passato –, quanto meno ulteriormente dirompenti e, quindi – con tutte le riserve del caso –, degni di attenzione.

È vero che l’identità di un popolo si radica principalmente nella sua memoria pubblica: ma non è detto che si tratti di una memoria omogenea e condivisa. Anzi sono ben pochi i casi in cui questo accade: più spesso essa deve attingere a memorie diverse e non di rado conflittuali. Come non ricordare che l’identità statunitense incorpora la memoria del Sud, anche se questa va per più aspetti a confliggere con quella degli americani del Nord? E che dire della Francia, con un passato altamente divisivo sotto il profilo politico e ancor prima religioso, o della Germania squassata dalla Riforma? Oppure, ancora, della Spagna dove il gelido tentativo revanscista del socialista Zapatero a settant’anni dalla fine della guerra civile, minaccia di risuscitare fantasmi che si pensava ormai spenti e di evocare spiriti maligni che si credeva fossero ormai sotterrati con le vittime del conflitto? E l’elenco potrebbe continuare… Le memorie sono tante e sono tutte fattori dell’identità particolare: sono tante quanti sono i gruppi, tante quanto le storie assimilate in famiglia, tante quante le esperienze personalmente fatte. E la memoria pubblica non può non alimentarvisi, anche se non può – e non vi riuscirebbe – limitarsi passivamente a registrarle tutte. Essa deve rifletterle e sussumerle: deve rinnegarle tutte e ciascuna per superarle in una sintesi più elevata: guai se le contrappone fra loro...

La memoria pubblica deve anzi riconciliarle fra loro in nome di una superiore realtà, che è l’unità e l’identità del popolo, della nazione di cui i titolari della memoria fanno parte con lo stesso diritto di cittadinanza degli altri. Ciascuno non può non mantenere la propria nozione e valutazione del passato, ma deve accettare che altri ne abbiano di diverse e deve rinunciarvi in toto quando si rivelano palesemente false o in parte quando il confronto va a favore della memoria avversaria.

Questo non vuol essere una sorta di relativismo applicato alla memoria. Anche in passato, quando ci si divise, le ragioni non erano equamente distribuite: qualcuno aveva oggettivamente torto e qualcun altro oggettivamente ragione. Però non tutto il torto da una parte e non tutta la ragione dall’altra. E la percezione del giusto e dell’ingiusto, come in tutte le cose umane, era filtrata dalla soggettività dalla memoria e dall’esperienza particolari di ognuno.

In esplicito, chi doveva scegliere dopo l’8 settembre 1943 un italiano amante della patria? Era lampante che non doveva seguire il Duce che aveva portato l’Italia alla sconfitta e doveva invece seguire il re che si era «smarcato» spostandosi a Brindisi e aveva accettato al Sud un governo di cui facevano parte i comunisti di Togliatti? Era chiaro a tutti che appoggiare l’invasore alleato contro l’invasore tedesco significava sostenere anche la guerra della potenza comunista sovietica? Qual era l’alleato meno «scomodo»? Si trattava di domande «pesanti» e di scelte tutt’altro che facili, cui ciascuno diede in coscienza la sua risposta sulla base di quello che sapeva e che voleva. Chi scelse – e non tutti poterono scegliere – nel 1943 la Repubblica Sociale Italiana non sempre lo fece per cattiveria: spesso le ragioni furono istintive, ma anche talora nitidissime, e non si può non riconoscere che la sua scelta nella maggior parte dei casi nasceva anch’essa dall’amor di patria e dal senso dell’onore, motivi che ebbero anch’essi sostanza e impellenza anche in virtù del martellamento pluriennale con cui il regime – ma anche l’Italia prefascista – aveva inculcato nei giovani questi valori. Così come chi non si può imputare a chi scelse la guerra di liberazione di aver cooperato scientemente al progetto di «Italia rossa» che animava le formazioni partigiane più forti e in seguito più determinanti, quelle comuniste, che solo fortuitamente fu scongiurato nel 1945. E lo dico nonostante sia nato intellettualmente e civicamente all’interno della cultura della parte vinta e mi costi non poco la rinuncia a parte della mia storia, perché le sono affettivamente attaccato. Non credo però sia utile farsi abbacinare, accecare: nascondersi dietro il cumulo dei ricordi non consente una corretta percezione della realtà.

Sentirsi italiani oggi comporta dover attingere a memorie contrapposte, quella del vincitore di allora, con i suoi diritti, e quella del vinto, anch’essa però non priva di diritti. Essere italiani vuol dire essere consapevoli che abbattere la dittatura fascista e lottare contro l’occupante nazionalsocialista fu un bene, ma ciò non comporta infangare la scelta di chi in buona fede, basandosi magari su un’esperienza personale limitata, optò per la difesa della patria attraverso la difesa del regime fascista al suo crepuscolo. Non si dimentichi che il latente totalitarismo del regime fascista imbevve non poco, deformandoli in gran parte, la memoria e l’immaginario delle masse popolari italiane. Siamo italiani i cui antenati hanno combattuto una guerra su due fronti: sulle montagne del Nord e sulla Linea Gotica. Purtroppo è andata così: il passato non si può modificare. Meglio sarebbe stato non dividersi: ma è stato così. E dobbiamo riuscire – potendolo – a essere fieri tanto del coraggio delle brigate partigiane quanto dell’eroismo dei marò del San Marco o dei parà della divisione «Nembo» in Garfagnana, del valore degl’italiani che combatterono nell’Ottava Armata alleata e di quei bersaglieri dei Battaglioni «M» – i battaglioni «Mussolini» – e degli altri militi, che fino alla fine della guerra tennero in scacco i titini sul confine orientale e il cui valore si moltiplicò dopo aver visto l’8 settembre 1943 per la prima volta all’opera a Trieste i boia comunisti slavi.

Di questa realtà non basta che tenga conto il singolo politico, nella fattispecie quello «aggredito» dalla realtà e animato da un senso di profonda onestà. Sono le istituzioni, è lo Stato: evitando che la Giornata della Memoria passi sotto silenzio, dando maggior spazio alle memorie «alternative» ed evitando di accrescere la discordia e la divisività, come avvenuto nel recente doloroso «caso Englaro». Ma soprattutto smettendo di «indossare» un’oleografia rancida e partigiana, perpetuando falsità e miti che non hanno più senso. Ripeto: non si deve cadere nel «tutti hanno ragione» perché è falso, bensì, semplicemente, ridimensionare l’afflato pubblico – e anche il denaro – che si concede pregiudizialmente a favore di una sola delle memorie.



Identità
nazionale



Alfredo Mantovano
Lettera al «Corriere della sera»:
Nazione spontanea, già prima del 1861


Marco Invernizzi
Il Popolo della Libertà: un nuovo partito al di fuori e contro le ideologie

Oscar Sanguinetti
Identità, non memoria, condivisa?

Stanley J. Parry C.S.C.
Le premesse della teoria politica di Orestes A. Brownson

Ronco, Rumi, Ghiringhelli, Invernizzi, De Francesco
Tavola rotonda Regno d'Italia e identità nazionale
(Milano, 19 novembre 2005)


Cesare Mozzarelli
Identità religiosa e identità nazionale: un rapporto ancora da costruire?

Oscar Sanguinetti
Verso un'identità nazionale compiuta

Oscar Sanguinetti
L'identità italiana e i suoi percorsi

Oscar Sanguinetti
L’esigenza della restaurazione di una memoria pubblica comune come condizione per il rilancio dell’identitàitaliana. Una riflessione

IL LIBRO DEL MOMENTO

Gonzague de Reynold,
La casa Europa. Costruzione, unità, dramma e necessità.

Introduzione di
Giovanni Cantoni

D’Ettoris Editori, Crotone 2015,
282 pp., € 22,90.



Oscar Sanguinetti,
Metodo e storia. Princìpi, criteri e suggerimenti di metodologia per la ricerca storica

Ateneo Pontificio Regina Apostolorum, Roma 2016
320 pp., € 22,00.



Oscar Sanguinetti,
Pio X. Un pontefice santo alle soglie del «secolo breve»,

con una prefazione di Roberto Spataro S.D.B.,
Sugarco Edizioni, Milano 2014,
336 pp., € 24,80



Oscar Sanguinetti,
Alle origini del conservatorismo americano. Orestes Augustus Brownson: la vita, le idee,

con una prefazione di Antonio Donno,
in appendice: Orestes Augustus Brownson, De Maistre sulle costituzioni politiche Biblioteca del pensiero conservatore,
D'Ettoris Editori, Crotone 2013,
282 pp., € 17,90



Marco Tangheroni,
Della storia.
In margine ad aforismi di Nicolás Gómez Dávila

Sugarco Edizioni, Milano 2008,
144 pp., € 15,00


Giovanni Cantoni,
Per una civiltà cristiana nel terzo millennio. La coscienza della Magna Europa e il quinto viaggio di Colombo

Sugarco Edizioni, Milano 2008,
264 pp., € 18,50


Oscar Sanguinetti,
Cattolici e Risorgimento. Appunti per una biografia di don Giacomo Margotti
con una prefazione di Marco Invernizzi

D'Ettoris Editori, Crotone 2012,
160 pp., € 15,90


Christopher Dawson,
La crisi dell'istruzione occidentale
trad. e cura di Paolo Mazzeranghi

D'Ettoris Editori, Crotone 2012,
218 pp., € 19,90


HOME-PAGE

CHI SIAMO

SAGGI E
RELAZIONI

 •    Insorgenza
 •    Identità nazionale
 •    Risorgimento
 •    Storia moderna
 •    Storia contemp.
 •    Storia della Chiesa
 •    «Cristeros»

IL SENSO CRISTIANO
DELLA STORIA

MEDAGLIONI

RIFLESSIONI
SULLA STORIA

IDEOLOGIE
DEL NOVECENTO

LETTURE

RECENSIONI

SCHEDE BIBLIOGRAFICHE

NORME PER LA REDAZIONE DEI TESTI

MEMORANDA

EDITORIALI

BIOGRAFIE

   •    "Alunni di Clio"
   •    Personaggi

SUSSIDI
DIDATTICI

DIBATTITI

DOCUMENTI

  •    Chiesa
  •    Politica italiana
  •    Politica internaz.

ATTIVITÀ

  •    Progetti
  •    Eventi svolti
  •    Appuntamenti
  •    Note e commenti

"NOTE INFORMATIVE"
ISIN

LIBRI
DELL'ISTITUTO

LIBRI DIFFUSI

VOCI
DELLA STORIA

LINKS

IN MEMORIAM






GIANCARLO CERRELLI e MARCO INVERNIZZI
La famiglia in Italia dal divorzio al gender,

prefazione di Massimo Gandolfini,
Sugarco Edizioni, Milano 2017,
338 pp., € 25.







THOMAS E. WOODS JR.
Guida politicamente scorretta alla storia degli Stati Uniti d'America,

a cura di Maurizio Brunetti, con un invito alla lettura di Marco Respinti,
D'Ettoris Editori, Crotone 2009,
350 pp., € 24,90.







OSCAR SANGUINETTI
E IVO MUSAJO SOMMA,
Un cuore per la nuova Europa. Appunti per una biografia di Carlo d'Asburgo,

invito alla lettura di don Luigi Negri,
prefazione di Marco Invernizzi,
a cura dell'Istituto Storico dell'Insorgenza e per l'Identità Nazionale,
3a ristampa,
D'Ettoris,
Crotone 2010,
224 pp., con ill., € 18,00.





ROBERTO MARCHESINI,
Il paese più straziato. Disturbi psichici dei soldati italiani della Prima Guerra Mondiale,

prefazione di Oscar Sanguinetti,
presentazione di Ermanno Pavesi,
D'Ettoris,
Crotone 2011,
152 pp., € 15,90.





Per ordinare
i volumi recensiti
o segnalati




VAI A   INIZIO-PAGINA           VAI ALLA   HOME-PAGE  
© Istituto Storico dell'Insorgenza e per l'Identità Nazionale 2014