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a cura dell’Istituto Storico dell’Insorgenza e per l’Identità Nazionale


inserito il 14 ottobre 2007


Oscar Sanguinetti



Un «armadio della vergogna» anche per duecento anni fa?


L

e notizie di stragi compiute dai «liberatori» francesi duecento anni fa iniziano a filtrare e s’incrina così il muro di silenzio, anzi la drastica torsione valutativa imposta dai libri di scuola sulla prolungata presenza nella Penisola — dal 1792, tempo della guerra tra Francia repubblicana e monarchia sabauda, al 1814 quando gli austro-russi dilagano nella valle Padana dopo la caduta di Napoleone I — delle truppe napoleoniche. Nel Mezzogiorno questa riscoperta si caratterizza come meno sporadica — il numero di episodi che riaffiorano è elevato — e più massiccia — il numero delle vittime e l’efferatezza degli episodi. Su quanto accaduto nella parte settentrionale del paese, viceversa, pare non sia accaduto nulla di questo genere. Tuttavia anche qui, anche se a goccia a goccia, qualcosa comincia a emergere.

Ne fa fede un piccolo — ma quando c’è di mezzo un eccidio si può parlare di piccolo o grande? — episodio che è stato scoperto in Veneto da uno storico locale nel ricostruire i lineamenti storici dell’occupazione militare francese della provincia trevigiana nel 1797, negli ultimi mesi della Repubblica di Venezia.

Il 2 febbraio di quell’anno, a Mussolente, villaggio che conta oggi poco più di settemila abitanti, in provincia di Vicenza, a sei chilometri da Bassano del Grappa — l’antica Ceneda —, cinque poveri contadini — Andrea Polo, Sguardo Polo, Francesco Guadagnin, Giuseppe Fontana, Baldissera Orso — sono fucilati «sul posto» da un reparto francese dell’armata del generale André Masséna, in ritirata dalla Valsugana — dopo il ciclo di battaglie del gennaio precedente, passate alla storia con il nome di Rivoli Veronese —, perché hanno tentato di difendere il raccolto, le bestie, i viveri di cui i rapaci soldati d’Oltralpe volevano appropriarsi con la forza. Un episodio passato del tutto nel dimenticatoio e solo oggi, grazie alla solerzia della preziosa storiografia locale — quella, magari, come in questo caso, formata da storici, de facto anche se non nelle doti spesso di prim’ordine, «della domenica» — riemerso alla luce e che ci interpella.

Dunque, una strage gratuita, un atto di brutalità finalizzato a terrorizzare le popolazioni contadine italiane — di cui peraltro Bonaparte ebbe sempre, e a ragione, paura — di allora e ad asseverare il presunto diritto delle truppe «liberatrici» di estorcere a loro piacimento beni ai loro proprietari terrieri e ai loro poveri intendenti in loco — si badi bene: appartenenti a uno Stato dichiaratosi neutrale, con cui di conseguenza la Francia non era in regime di belligeranza.

Mi domando: quanti altri sfregi del genere le nostre popolazioni hanno dovuto subire in quegli anni? Si è parlato nei mesi scorsi di un «armadio della vergogna», in relazione alla scoperta di un archivio in cui sono stati — per alcuni colpevolmente, per altri doverosamente — sepolti per decenni i dossier penali relativi a stragi compiute da soldati italiani nei Paesi occupati, in specie nei Balcani, rimase quindi impunite. Quanti dossier dovrebbe contenere un «armadio della vergogna» dedicato a queste stragi, che vedono coinvolti i nostri antenati, ma non per questo sono state meno reali e dolorose? Non si può non osservare che, se di alcuni eccidi compiuti nel secondo conflitto mondiale — da tedeschi, truppe italiane, milizie fasciste o partigiani — quanto meno esiste un dossier, magari sepolto dalla polvere, perché qualcuno si è almeno mostrato interessato a punirne i colpevoli, degli eccidi del periodo napoleonico la memoria si è letteralmente dissolta.

Ma — continuo a domandare — in che misura l’imbarbarimento della guerra, dovuto al coinvolgimento dei civili che i francesi «emancipati» attuano, non creerà un precedente, che autorizzerà anche altri eserciti a imitare i «novatori» di Oltralpe? Una liberazione al tal prezzo è una liberazione moralmente accettabile da un popolo — e la grande stagione dell’Insorgenza è lì testimoniarne il rifiuto — e da chi ne deve rappresentare in esplicito i valori, cioè i poteri pubblici? O, almeno, è lecito parlare ancora in termini encomiastici, se non elegiaci, di un ventennio di rapporti tra Francia rivoluzionaria e napoleonica e Italia, che si configura in termini di un assoggettamento totale e di una violenza ancora tutte da narrare, perpetrate dalla consorella transalpina contro i popoli della Penisola? E, da ultimo, è segnale di equità di giudizio dilatare in maniera abnorme, solo perché più recenti e di segno ideologico più gradito, la memoria delle stragi compiute in Italia dalle truppe hitleriane, quasi sempre rappresaglie, dopo l’8 settembre 1943? Perché non parlare invece di due — di tante — occupazioni, entrambe drammatiche e foriere di gravi lesioni e ricadute fatali sulla condizione morale della nazione italiana?

Si discute oggi tanto di memoria condivisa: non so se sia un traguardo raggiungibile, anche perché manca una definizione «condivisa» di che cosa sia tale memoria… Di certo, però, il primo passo in questo senso che occorre fare è sul piano dei fatti, non mutilando la memoria. Bisogna quindi ammettere che l’Italia ha subito sanguinose rappresaglie da parte degli sconfitti dell’ultima guerra mondiale, ma ha anche patito tanti scempi inflittile da troppi «liberatori», e fra questi non si possono non annoverare i rivoluzionari francesi e Napoleone.

Solo in questo orizzonte davanti sarà possibile riconquistare una parte di verità sulla storia d’Italia e, quindi, acquisire una più matura consapevolezza di chi siamo e di dove andiamo come popolo.

* * *

Do di seguito le pezze d’appoggio della mia argomentazione, di cui sono debitore al signor Millo Bozzolan di Seren del Grappa (Belluno), il quale, a sua volta ha avuto notizia dei fatti dal dott. Giorgio Zoccoletto, rinomato storico veneto, autore, fra l’altro, di 1797. L’occupazione napoleonica del territorio trevigiano (Antilia, Treviso 1997). Si tratta (a) di una lettera informativa inviata da Bozzolan al quotidiano Il Gazzettino di Venezia; (b) del testo della denuncia fatta dal capo della comunità di Mussolente al pretore di Asolo (Treviso), nonché (c) della comunicazione di costui al podestà di Asolo Zustinian Badoer (entrambi i documenti si trovano in Archivio Di Stato Di Venezia, Senato Militar Terra Ferma, filza 38).

Oscar Sanguinetti




DOCUMENTO 1

Lettera del signor Millo Bozzolan a Il Gazzettino di Venezia

Marzo 2007

Caro Gazzettino,

Leggendo di recente la relazione del Podestà di Asolo riproposta fedelmente nel bel libro di Giorgio Zoccoletto 1797, l’invasione del trevigiano, reperibile nelle biblioteche civiche della provincia di Treviso sono incappato in una vecchia storia che si svolse a Mussolente, e che anche la gente del posto, passati i decenni prima, i secoli poi, dimenticò, in questo forse abbondantemente aiutata dal mutare dei dominii che si succedettero in questa terra dal 12 maggio 1797. Ritengo sarebbe utile a tutti conoscerla, non solo agli amici di Mussolente, paese ormai unito con Bassano dall’enorme urbanizzazione di questi ultimi decenni. Forse capiremmo anche con quale animo furono accolti i «liberatori» francesi, comandati dall’allora Generale Bonaparte

Premetto che allora Mussolente e Bassano facevano capo a Treviso, e ancor oggi la chiesa conserva questa divisione del territorio.

Siamo ai primi di febbraio del 1797, francesi ed austriaci si scontrano nella Venezia e l’armata del generale Massena, in quei giorni si sta portando dalla Valsugana verso Bassano.

Bonaparte aveva già estorto alla inerme Repubblica Veneta aiuti di ogni genere, ma questo non bastava e la sua truppa non disdegnava di saccheggiare quanto poteva, infischiandosene dei patti di neutralità.

Così accade che un reparto misto di cavalleria e fanteria, arriva la mattina del 2 febbraio (all’ora terza) anche a Mussolente e incomincia a razziare nelle fattorie. Alcuni abitanti tentano di opporsi tra cui un certo Andrea Polo (di anni 48) con suo figlio Sgualdo, «gastaldi» presso la famiglia dei nobili Soderini, ma sono arrestati assieme a Francesco Guadagnin di anni 60, Giuseppe Fontana di anni 34, e Orso Baldissera [sic], di anni 33, quest’ultimo di Romano d’Ezzelino.

Come ho potuto leggere io stesso nel registro della parrocchia, ognuno di essi fu «condannato dai comandanti francesi e passò a miglior vita all’ora… [incomprensibile]», dopo che, tutti assieme, furono trascinati sul colle di Cà Soderini e lì «moschettati». Finito il massacro, i francesi tornarono a svaligiare le case di quei poveretti e se ne andarono verso Bassano, probabilmente contenti di essere riusciti nel loro intento di terrorizzare la popolazione.

Spero che a Mussolente qualche cosa si muova, per ricordare questo fatto dimenticato per tanto tempo basterebbe una piccola lapide. Ma è un compito che spetta prima di tutto ai concittadini di quei poveretti, che con ciò dimostrerebbero il loro rispetto per quei morti e di volersi riappropriare di una parte del loro passato.





DOCUMENTO 2

Denuncia del «meriga» di Mussolente al cancelliere-pretore Pietro Vivian

2 febbraio 1796 m. v. (1)

Denuncia ed interrogatorio nella Cancelleria Pretoria di Asolo

Comparso in officio Pietro Vivian q. (2) Santo[,] Meriga (3) di Mussolente, quale rassegna quanto segue:

Questa mattina ora di terza (4) un grosso gruppo di Francesi capitati nella nostra Villa (5) legarono cinque dei nostri villici, li condussero nella cima del monte dell’Eccellentissimo Soderini e li moschettarono tutti cinque, lasciandoli ivi morti, indi dopo aver spogliate le case di essi poveri infelici, se ne partirono.

Interrogato: per quale motivo?

Rispose: per niente, ma forse al più perché non avranno voluto accettarli nelle loro case.

Interrogato: se i Francesi fossero di cavalleria, o d’infanteria?

Rispose: essi erano parte di cavalleria e parte d’infanteria di quelli che sono a Bassano, cioè della Divisione Massena.

Interrogato: a nominare le persone di Mussolente che vennero moschettate e quindi svaligiate le loro case, come disse.

Rispose: essi furono Andrea Polo q. Sguardo e Sguardo suo figlio, il primo era gastaldo dell’Eccellentissimo signor Giulio Maria Soderini, Francesco Guadagnin q. Marco, Giuseppe Fontana di Domenico, tutti di Mussolente, e Baldissera Orso q. Giuseppe di Roman Alto.

Note

(1) L’anno è indicato more veneto [1796 equivale quindi al 1797]
(2) Quondam = «fu», nel senso di «figlio di persona defunta»
(3) Capo-villaggio [Nell’antica Repubblica veneta il «meriga» veniva eletto da ogni villaggio; era il responsabile di tutto ciò che accadeva nella sua villa, specialmente dell’ordine pubblico, e aveva l’obbligo tassativo di riferire alla giustizia, tramite la denuncia].
(4) In prima mattinata
(5) Villaggio





DOCUMENTO 3

Lettera del cancelliere-pretore Vivian al podestà Zustinian Badoer

2 febbraio 1796 m. v.

Lettera scritta al Senato dal Podestà di Asolo Zustinian M. Badoer

Serenissimo Principe (1)

Un grosso corpo di Francesi della Divisione Massena, ieri retrocessa in Bassano dal Canal di Brenta, si introdusse questa mattina nel villaggio di Mussolente di questo territorio, legò cinque di quei poveri villici che, condotti sulla cima di un monte di Ca’ sederini, ivi furono moschettati, indi passando allo spoglio delle case di quelli infelici, se ne partì. Dalla riferta (2) del Meriga di quel comune, che in copia rassegno a vostra Serenità ed a Vostre Eccellenze, l’umanità loro rileverà il tragico caso e comprenderà qual sia la lacrimevole situazione di questi sfortunati abitanti che dopo aver perduto la sostanza sacrificata in continue fazioni (3) , vi lasciano anco miseramente la vita.

Accompagnata da me la riferta medesima al Pubblico Rappresentante (4) di Bassano per la opportuna rimostranza al Generale Massena, o a chi altro stimasse conveniente, mi acquieta la lusinga che possano essere soppressi gli eccessi di tanta rilevanza che pongono nella massima costernazione questi infelici sudditi. Io mi presto con tutto lo spirito onde possibilmente evitare sì funesta conseguenza, ma in mezzo ad una truppa indisciplinata e perversa, tutto è in cimento e tutto è esposto all’arbitrio e alla violenza.

Nei due villaggi dei Casoni e Mussolente, soggetti a questo stesso territorio, esiste numerosa truppa francese che colla massima violenza e sollecitudine vuol essere approvvigionata di tutto. Un grosso corpo di essa truppa proveniente da Bassano è già in marcia alla volta di questa città dove a momenti sarà per giungere e dove rinnoverà le violenze e ruberie praticate l’ultima volta, come umiliai all’Eccellenze Vostre colle reverenti mie 28 gennaro decorso. Grazie.

Note

(1) Le lettere al Senato si rivolgevano formalmente al Doge che presiedeva l’assemblea.
(2) Deposizione
(3) Lavori forzati
(4) Al Podestà e Capitano rappresentante la Repubblica




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