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a cura dell’Istituto Storico dell’Insorgenza e per l’Identità Nazionale


inserito il 26 giugno 2009


Oscar Sanguinetti

I vescovi dell’antico Tirolo ricordano la rivolta cattolica di duecento anni fa



A Castel Ivano in Valsugana (Trento), la compagnia di Schützen di Telve commemora i duecento anni dalla morte del Capitano degli Schützen Ottavio De Bianchi, fucilato a Mantova dai francesi nel giugno del 1809


I vescovi delle diocesi cui una volta, fino alla Prima Guerra Mondiale, il territorio del Tirolo ― Bolzano-Bressanone, Salisburgo, Trento e Innsbruck — quest’ultima fu eretta solo nel 1925, scorporandola da quella di Salisburgo ― apparteneva, il 9 giugno scorso, nel mese della festa del Sacro Cuore di Gesù, hanno pubblicato «Volgeranno lo sguardo a colui che hanno trafitto (Gv 19,37)», una lettera pastorale collettiva che prende spunto dalla ricorrenza del secondo centenario dell’insorgenza tirolese contro il governo filo-napoleonico della Baviera, cui Napoleone nel 1806 aveva inopinatamente ceduto i territori dell’antica contea.

Per Paesi cattolici come il Tirolo, dalle profonde tradizioni religiose e dalle plurisecolari consuetudini di auto-governo, cadere sotto la dominazione napoleonica ― come sottolineano i vescovi ― significava infatti non solo perdere ogni sovranità a vantaggio di un governo lontano, centralista e burocratizzato, ma anche dover subire una forte riduzione degli spazi religiosi in omaggio ai canoni del giurisdizionalismo e del laicismo del secolo dei Lumi.

Così, i tirolesi, di fronte del radicale cambiamento delle loro condizioni di vita quotidiana imposte dal governo «illuminato» bavarese, di fronte allo scatenarsi dell’utopia armata, di fronte alle gravi limitazioni della libertà di religione, in quella fatidica estate di duecento anni or sono, che vide insorgere contro Napoleone tutta l’Italia nord-orientale, piuttosto che sottomettersi a un regime straniero ― «straniero» in senso moderno, essendo la Francia il primo esempio di Stato nazionale post-rivoluzionario ― nemico dell’identità della nazione tirolese, preferirono sollevarsi per liberare le proprie valli nonostante avessero come avversario la più potente macchina da guerra dell’Europa di allora.

La nobiltà e l’alto clero, imbevuti di «spirito del tempo», snobbarono la rivolta mentre l’esercito imperiale, prostrato dopo la sanguinosa battaglia di Wagram, non poté far nulla per aiutare l’insurrezione. Così la rivolta si trovò a essere guidata da un semplice oste di San Leonardo in Val Passiria, Andreas Hofer, da alcuni borghesi con qualche esperienza di «mondo» e da un paio di frati cappuccini. A dispetto della sproporzione delle forze in campo, le compagnie dei bersaglieri tirolesi, gli Schützen, in quell’estate seppero sconfiggere ― proprio nel momento in cui l’autocrate còrso era al suo apogeo e stava per attirare anche l’imperatore asburgico nella sua orbita ― a più riprese i franco-napoleonici e riuscirono a scacciare l’invasore dalle loro terre. Fu un successo di breve durata perché il ritorno in massa del nemico dopo la pace di Schönbrunn e l’isolamento degl’insorti consentirono ai franco-bavaresi di riprendere il controllo del territorio, così che i tirolesi dovettero sottomettersi. Preso a tradimento, il leader del moto, Hofer, fu catturato e venne fucilato nella fortezza di Mantova nel febbraio del 1810.

L’epopea del 1809 è rimasta scolpita nella memoria collettiva dei tirolesi come uno dei momenti più «forti» dell’unione dei popoli della regione subalpina, ed è stata sempre celebrata come culmine della rivendicazione della loro libertà ed espressione nitida del loro diritto di auto-determinazione, così come una ennesima conferma del loro secolare attaccamento alla dinastia asburgica.

La spietata logica degli Stati nazionali a Saint Germain-en-Laye nel 1919 ha smembrato il Tirolo storico spezzandolo in quattro tronconi, due dei quali, per di più non contigui, rimasti all’Austria e due invece inglobati ― per il Tirolo del Sud, compattamente germanofono, in piena contraddizione con il principio di nazionalità ― dall’Italia. Il che segnò la nascita di un nazionalismo di tipo moderno e di un irredentismo le cui drammatiche vicende fra le due guerre, durante l’occupazione tedesca dell’Austria, nel corso della seconda guerra mondiale e nei rapporti con la Repubblica Italiana ― soprattutto il terrorismo anti-italiano degli anni 1960 ―, sono note. Oggi nell’Europa unita, quando gli Stati-nazione ― creature politiche sempre un po’ imperfette ― riducono il loro peso e le macro-regioni determinate dalla lingua, dalla storia e dall’economia riaffiorano e cercano nuove strade di collaborazione all’interno dello status quo, non deve meravigliare che vescovi di due Paesi ― di una regione dove si parlano tre lingue ― prendano una iniziativa comune e la prendano proprio nella ricorrenza di una pagina profondamente sentita a livello popolare della storia del Tirolo e alla vigilia di una festa religiosa, il Sacro Cuore di Gesù, così radicata nella devozione degli abitanti, fin dal 1796, quando le milizie trentine e tirolesi dovettero difendere per la prima volta le loro montagne in occasione della prima irruzione delle armate francesi rivoluzionarie nella Penisola.

Correttamente nel documento collettivo dei vescovi la lettura degli eventi del 1809 viene fondata sulla nozione di libertà dei popoli, libertà concreta ― libertà di scegliere fra ciò che è e non tra i fantasmi del nostro ego auto-referenziale, libertà che è un diritto solo se si hanno dei doveri: libertà di religione e libertà di darsi gli assetti politici più adatti. Una libertà, tuttavia ― ricordano i vescovi ―, da non rivendicare solo per se stessi, nι in quanto singoli e neanche come popolo, ma per tutti, anche per coloro che non condividono la nostra religione e forse hanno un concetto diverso della libertà.

Nell’ultima parte documento traspare infatti la preoccupazione che il forte attaccamento dei tirolesi alla loro Heimat, alla patria ― pur valutato positivamente e nel commosso ricordo delle antiche lotte ―, possa tradursi in chiusura e in esclusivismo, che mal si conciliano con l’universalismo cristiano e con il mondo in rapido cambiamento del ventunesimo secolo.

Il richiamo all’equilibrio pare giusto in sé e anche perché, se è vero che l’insorgenza cattolica e «nazionale» del 1809 è un elemento centrale del radicamento identitario tirolese, è altresì vero che la lotta dei popoli contro la Rivoluzione ― che allora ha il volto dell’Imperatore dei francesi ―, non è solo patrimonio dei tirolesi ma di decine di migliaia di altri uomini e donne: di svizzeri, d’italiani ― veneti, napoletani, toscani, umbri, lucani, calabresi, liguri, emiliani ―, di francesi, di tedeschi, di spagnoli ― soprattutto ―, perfino di maltesi, che hanno perso la vita a migliaia scagliandosi con le loro falci e i loro antiquati archibugi contro la fucileria e la cavalleria di Napoleone nell’intento di riconquistare le loro libertà e, non di rado, di ripristinare la «propria» dinastia esiliata.

Apprezziamo dunque il non comune gesto di commemorazione dei presuli delle province già tirolesi, ma teniamo anche conto dei loro saggi e attuali ammonimenti.

Oscar Sanguinetti

 

 

«Volgeranno lo sguardo a colui che hanno trafitto» (Gv 19,37)

Lettera pastorale per la festa del Sacro Cuore di Gesù 2009
in occasione della commemorazione degli eventi del 1809


Cari fedeli delle Diocesi dell’antico Tirolo!

La festa del Sacro Cuore di Gesù

Nel 1796, di fronte alla minaccia di invasione da parte delle truppe di Napoleone, le rappresentanze dei ceti del Tirolo riuniti a Bolzano hanno fatto il voto di celebrare solennemente ogni anno la festa del Sacro Cuore di Gesù, cosa che è avvenuta per la prima volta il 3 giugno 1796 nella chiesa parrocchiale di Bolzano (un tempo appartenente alla diocesi di Trento). È cosa buona e giusta che anche noi fedeli, in continuità con i nostri predecessori, vogliamo rinnovare pubblicamente la nostra fedeltà all’amore di Dio manifestato nel Cuore di Gesù. Il passo tratto dal capitolo 19 del Vangelo di Giovanni, previsto per la festa del Sacro Cuore di Gesù, termina con una citazione della Sacra Scrittura: «Volgeranno lo sguardo a colui che hanno trafitto» (Gv 19,37). «Nella sua morte in croce si compie quel volgersi di Dio contro se stesso nel quale Egli si dona per rialzare l'uomo e salvarlo - amore, questo, nella sua forma più radicale» (Papa Benedetto XVI, Deus caritas est, 12). Il cuore salva quando si apre, si sacrifica e si dona. Così nel Cuore di Gesù troviamo il centro del cristianesimo. E questo Cuore fa appello al nostro cuore: ci invita ad aprirci, ad amare e a donarci a lui, nostro Dio, e con lui trovare la pienezza dell’amore e della vita.

Il vero senso della libertà

Possiamo interpretare gli eventi del 1809 nel segno della libertà: come tentativo di conquistare la libertà politica dalla Baviera, che era alleata con i francesi, e anche come protesta contro la repressione illuministica delle più amate tradizioni religiose. In questo contesto ci vogliamo interrogare su che cosa possa voler significare libertà nel ventunesimo secolo. Libertà non significa fare e lasciar fare tutto quello che uno vuole. La libertà individuale trova in primo luogo i suoi limiti nella libertà e nei diritti delle altre persone. In secondo luogo la libertà si rapporta sempre con la domanda sul senso della vita umana. Come può realizzarsi veramente questa vita? Come può l’uomo raggiungere la sua felicità?
Saremo veramente felici e contenti dopo aver sperimentato tutto, dopo che ci siamo concessi tutto? Oggigiorno non si stanno forse facendo strada nuove forme di consumismo? È veramente desiderabile una libertà così «vuota»?
La vera libertà non consiste nel tenere aperte sempre tutte le possibilità, ma essa deve essere pronta a «riempirsi» di opere significative e deve saper assumersi degli impegni. In ultima analisi la libertà è orientata dall’amore: dalla risposta d’amore all’amore originario di Dio, dai rapporti d’amore con il nostro prossimo, da un sano amore di sé, nel quale sviluppiamo le nostre capacità; è orientata sul rispetto per il creato e per l’ambiente in cui viviamo e di cui siamo responsabili.

Libertà religiosa

A partire da queste premesse ci dobbiamo interrogare circa l’esperienza della libertà religiosa e circa la libertà politica nella nostra terra. Sicuramente la nostra Costituzione garantisce il libero esercizio della religione. Ciò non significa che vada tutto bene. Sta serpeggiando una pressione per eliminare la realtà religiosa dalla vita pubblica, oppure per renderla ridicola e sorpassata. Posizioni laicistiche presentano pure un aspetto di intolleranza, che spesso sfrutta la presenza di altre religioni per eliminare tradizioni religiose, simboli corrispondenti o festività, ad esempio dalle scuole o dagli asili.
Il riconoscimento della libertà di religione come diritto fondamentale di tutte le persone richiede anche che noi permettiamo la professione di altre religioni e che in tal senso ne creiamo le premesse, sempre rispettando le esigenze di tutti e le leggi dello Stato. Libertà di religione significa anche consentire alla Chiesa di impegnarsi, a servizio del bene comune, per i diritti di tutte le persone, compresi i bambini non nati, i diversamente abili, i malati e coloro che hanno bisogno di assistenza.

Libertà politica

La libertà politica non può essere ridotta solamente all'appartenenza a un determinato territorio. Bisogna prendere in considerazione la situazione globale del ventunesimo secolo con il faticoso sforzo dei popoli dell’Europa di unirsi gradualmente insieme e di abbattere le varie barriere. La collocazione della nostra regione ci chiama ad essere ancora più impegnati nella costruzione dell’unità europea a beneficio del mondo intero. Inoltre, non possiamo scordare l’avvento della globalizzazione economica, che è attraversata in questo periodo da una grave crisi che fa aumentare il divario tra i pochi che possono essere considerati ricchi e i molti che vivono in povertà, e questo a livello mondiale ma anche nei nostri paesi sviluppati.
La politica è a servizio della giustizia sociale, della pace e della tutela dell’ambiente anche per le generazioni future.

Il Sacro Cuore di Gesù, la patria e la pace

Torniamo ancora una volta al Sacro Cuore di Gesù, a cui sono molto legati i tirolesi in ragione della loro storia. L’amore di Dio, che si è rivelato nel Cuore di Gesù, chiede a noi una continua conversione all’amore che si dona. «Fa’ che il nostro cuore sia simile al tuo», preghiamo nelle Litanie del Sacro Cuore di Gesù. Dobbiamo tenere sempre presente che la devozione al Sacro Cuore di Gesù non è un privilegio delle popolazioni tirolesi di lingua tedesca e ladina. Il Sacro Cuore di Gesù appartiene a tutti i popoli e a tutte le lingue. Anche altri popoli hanno una lunga tradizione nella devozione al Sacro Cuore.
Il concetto di «Heimat» (patria) è molto importante, è collegato con la nostra identità e la nostra cultura ed entra nel profondo dei nostri sentimenti. Nel nostro mondo pluralistico questo concetto ha subito una trasformazione e assume un significato diverso a seconda delle epoche storiche e dell’età delle persone. Dobbiamo fare in modo che anche persone di lingua e cultura differenti possano sentirsi «a casa» in questa nostra terra e dobbiamo pure essere grati che essi desiderino impegnarsi per la nostra terra.
In quanto cristiani sappiamo che la nostra vera patria è nei cieli (vedi Fil 3,20; Eb 11,14), dove entreremo nell’amore di Dio, che si è rivelato a noi nel Cuore di Gesù. Per questo la patria e tutte le cose terrene non hanno un valore ultimo. Nel medesimo tempo è tuttavia importante che con il nostro impegno assicuriamo alla nostra patria un futuro, affinché anche coloro che vengono dopo di noi possano trovare un ambiente di vita adeguato. Questo comporta l’impegno per la pace e per la tutela del nostro ambiente. La pace è opera della giustizia, frutto dell’amore, come ci ha insegnato il Concilio Vaticano II (vedi Gaudium et spes, 78).
Comunque è Cristo la nostra pace (vedi Ef 2,14), perché Egli, attraverso la sua offerta di amore sulla croce, ha tolto tutte le barriere dell’inimicizia e attraverso la sua persona ci ha aperto la possibilità di diventare uomini nuovi. Tutto è stato creato per Cristo, e in Lui tutto si deve rinnovare e ricapitolare, affinché Dio sia tutto in tutti e tutto si compia nell’amore eterno di Dio.

In questo senso pregano per voi e vi benedicono i vescovi dell’antico Tirolo:
Mons. Alois Kothgasser, arcivescovo di Salisburgo
Mons. Luigi Bressan, arcivescovo di Trento
Mons. Manfred Scheuer, vescovo di Innsbruck
Mons. Karl Golser, vescovo di Bolzano-Bressanone



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