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a cura dell’Istituto Storico dell’Insorgenza e per l’Identità Nazionale |
Il carattere degli italiani
«Ho già scritto a Monsignor Scavini ch’io nulla trascuro, quant’è da me, ciò che può promuovere l’unione o la conoscenza almeno tra loro de’ buoni italiani; non perché la bontà o la verità sia italiana anziché francese o tedesca o inglese, ma perché mi sta altamente fitto nell’animo, che dove si mettesse fra gli italiani vera concordia, stima reciproca, interesse de’ scambievoli lavori, e di proposito prendessero a trattare le grandi questioni che interessano la Religione e l’umanità collettivamente, e quasi direi nazionalmente, si vedrebbe ben presto sorgere da tali discussioni una dottrina imponente e di una dignità forse nuova, d’un vantaggio all’umanità incalcolabile. Cotale stima ho io delle menti italiane! capaci per mio avviso di tutta la celerità e chiarezza francese, di tutta l’esattezza e solidità inglese, e di tutta la profondità tedesca; ma oltracciò dotate di una nobile pacatezza, tutta loro propria che conservano anche nel maggior fervore, giacché la stessa fantasia degli italiani è ordinata, e che lascia loro tempo di pervenire a tutta quella pienezza e perfezione nella risoluzione delle questioni, dove solo la verità riposa, e la questione termina per cominciare la scienza. Non si faccia meraviglia di questa grande stima che ho io degli ingegni e degli animi de’ miei connazionali, per non vedere que’ frutti che io accenno; perciocché troppe cause mettono fin’ ora impedimento a quella unione che sola ingigantisce gli ingegni individuali, i quali finché stanno isolati e solitari sono necessariamente fiacchi, ed hanno una potenza chiusa e invisibile: paulum [sepultae] distat inertiae celata virtus [«Tra il valore ignorato e la viltà sepolta la differenza è minima» (Quinto Orazio Flacco (65 a.C.-8 a.C.), Le odi, Libro IV, Ode 9 (ndr)]. Ma ove gli uomini di bell’ingegno, e sopra tutto di animo gentile e religioso entrassero in questo pensiero di unirsi amicamente fra loro, cercando insieme quel bene, che pure cercano concordemente, ma separati e senza quasi saperlo; io vedrei in questa tendenza un seme di grandi beni, e un principio della realizzazione di quella speranza che porto nel mio seno, e ivi la alimento siccome la mia stessa vita».
beato Antonio Rosmini Serbati (1797-1855) |
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