Una interpretazione delle società segrete cinesi fra paradigma esoterico, politica e criminologia
Comunicazione al XXVII Convegno della Società Internazionale di Sociologia delle Religioni (SISR), Torino, 22 luglio 2003
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ià nel 1993, David Ownby affermò che la bibliografia sulle società segrete cinesi era talmente importante da diventare «oppressiva» (Ownby 1993, 3). Dopo il 1993, parecchie opere importanti vi si sono aggiunte. Storici e sociologi, tuttavia, non hanno trovato un accordo sull’interpretazione da dare di tale fenomeno. Cominceremo con il riassumere i punti sui quali sotto il profilo storico e sociologico pare manifestarsi un certo accordo, mentre in una seconda parte esamineremo le interpretazioni più importanti e controverse di essi, prima di proporre alcuni elementi per una nuova possibile interpretazione. Le nostre fonti comprendono la letteratura pubblicata nei secoli 19° e 20° in inglese e francese; i documenti giudiziari e di polizia, ivi comprese sentenze recenti dei tribunali italiani; interviste con funzionari di polizia in più paesi, inclusi gli Stati Uniti, la Cina, Singapore e l’Italia. Anche se a partire dal 18° secolo in Cina hanno visto la luce decine di società segrete, ci limitiamo che alla più conosciuta, la Tiandihui o Società del Cielo e della Terra, anch’essa a sua volta divisa in parecchie ramificazioni più o meno indipendenti.
Tiandihui e società: qualche elemento storico
Gli storici della Cina concordano oggi nel riconoscere che le «società segrete», e la Tiandihui in particolare, appartengono – o, meglio, rappresentano l’evoluzione – di un tipo di «società fraterna» ben presente in Cina a partire almeno dal 7° secolo. Queste società, sotto nome di hui e she, hanno una grande importanza nei villaggi, dove sono riconosciute come parte del tutto legittima dell’organizzazione sociale. Se nel Medioevo si trovano spesso società religiose, a partire dal 16° secolo le società di villaggio più importanti si occupano dei funerali. Siccome questi costano assai caro, i membri delle «società dei funerali» (che troviamo d’altronde già nel 7° secolo) versano una quota a una cassa comune che permette in seguito di pagare le spese per i funerali di ciascun membro al momento della morte. Meno ampiamente diffuse, le società dei matrimoni svolgono una funzione simile. L’elemento comune, che si tratti di funerali o di matrimoni, è la costituzione d’una cassa comune, cosa che permette la formazione di yinqian yaohui ossia di società di mutuo credito, molto importanti presso il mondo contadino cinese a partire dal 18° secolo. Tutte queste società hanno quasi sempre anche una funzione rituale religiosa, in una cultura dove separare religione e società non è d’altronde mai troppo facile. Ma tutto ciò resta all’interno della tradizionale organizzazione di villaggio: anche se l’autorità imperiale talvolta s’inquieta per le spese eccessive dei contadini per tali società, esse rimangono all’interno della struttura sociale del villaggio e non mettono questione l’autorità medesima.
Le «società segrete» del 18° secolo, peraltro, sono considerate quasi subito come qualcosa di pericoloso e che comporta un rischio di contestazione dell’ordine sociale di villaggio. Si attribuisce loro, a torto o (spesso) a ragione, la pratica del «giuramento di sangue» (o «iniziazione di sangue»), cioè un giuramento consacrato dal sacrificio d’un animale il cui sangue viene in seguito bevuto: una pratica che non era sconosciuta in Cina ma che era più spesso associata ai movimenti politici insurrezionali o alle bande di criminali o di pirati, piuttosto che a pacifiche associazioni di contadini.
Che cos’era accaduto? Secondo parecchi storici, nel 18° secolo si produce in Cina una situazione simile a quella del 19° secolo americano. Nuove forme di d’economia e la colonizzazione di nuove terre nel Sud-Est della Cina, e ancor di più a Taiwan, producono una «cultura della frontiera» e perfino una «cultura degli scapoli», nel senso che erano soprattutto dei giovani maschi a lanciarsi nell’avventura spesso pericolosa dell’emigrazione, seguiti da pochissime femmine. Le autorità avevano molta difficoltà a far rispettare la legge in questa «frontiera», soprattutto a Taiwan, e le rivolte erano assai frequenti. In occasione di una di queste, la rivolta di Lin Shuangwen (1787-1788) le autorità imperiali Qing «scoprono» la Tiandihui come problema maggiore. L’indagine sulla rivolta mostra in effetti che Lin Shuangwen era un membro di questa società, che era stata importata a Taiwan da un mercante ambulante di tessuti proveniente dalla regione del Fujian chiamato Yan Yan. A Taiwan la Tiandihui, presentata da Yan Yan come società che si occupava di funerali e di matrimoni, ma anche di protezione dei membri in un ambiente pericoloso, senza trascurare attività di piccola criminalità, aveva trovato un terreno fertile presso gente già impegnata in vendette tra famiglie e fra immigrati provenienti da regioni diverse. Un ramo della società si era, sembra, impiantata nel 1786 sotto nome di «Società per il progresso dei fratelli cadetti» (ugualmente Tiandihui in cinese) a partire da una questione locale sui diritti dei fratelli minori negati da quelli maggiori.
L’indagine, d’altronde assai severa, delle autorità Qing mostra loro che la Tiandihui non era nata in occasione della rivolta di Lin Shuangwen. Gli accusati rivelano loro storie assai stravaganti su una società che sarebbe nata nel 1761 a Gaoxi (Fujian) con un gruppo di vecchi emigrati fujianesi nel Sichuan i quali erano tornati al loro paese d’origine, guidati da un monaco chiamato Wan Tixi. Se si trovano storici convinti che questo Wan Tixi sia un personaggio storico, è meno chiaro se i capi di altre rivolte anti-imperiali del 18° secolo, come Lu Mao e Li Amin, siano anch’essi fra i primi membri della Tiandihui. Sebbene la rivolta di Lin Shuangwen non sia solo politica (il desiderio di una criminalità locale di non essere troppo disturbata dalle autorità vi gioca ugualmente un ruolo importante), le autorità Qing lanciano una repressione massiccia e feroce, che in effetti favorisce la diffusione della Tiandihui (i cui membri prendono il nome di Hong, «rosso», un cognome comune riferito a un colore sacro) al di fuori del Sud-Est e di Taiwan, nella Cina intera e nelle colonie cinesi dell’Asia sud-orientale, dove molti dei membri perseguitati cercano rifugio.
A poco a poco, le autorità imperiali Qing scoprono una storia delle origini della Tiandihui che finisce per persuaderli che si tratta davvero d’un complotto politico. Questa storia risale alla fine della dinastia «di ceppo cinese» Ming (1644) e alla sua sostituzione con la dinastia «straniera» (Manchou) Qing. Una concubina imperiale chiamata Li («pesca», frutto sacro in diverse tradizioni cinesi) avrebbe avuto un figlio nel tempio di Gaoxi: Xiao Zhu (il «giovane signore», ma Zhu è anche il cognome di imperatori Ming). I cinque fondatori della Tiandihui sarebbero stati allo stesso tempo dei monaci in fuga dal monastero di Shaolin dopo il «tradimento» di questo monastero da parte dei Qing (che i monaci di Shaolin, esperti di arti marziali, avrebbero in un primo momento aiutato a resistere a un’invasione straniera) e dei figli del «giovane signore» Zhu. All’inizio del 19° secolo, la polizia imperiale scopre dei rituali dove simboli Ming fanno spesso la loro apparizione, insieme al motto «fan Qing fu Ming» («rovesciare i Qing, restaurare i Ming»), e la parola d’ordine muli doushi zhi tianxia, che può esser interpretata in modi diversi ma che può ben significare «gli Zhu [cioè i Ming] regneranno su tutto ciò che è sotto il cielo» (ter Haar 2000). Le autorità cercano allora d’identificare dei luoghi precisi e delle persone fisiche che confermino questa versione sovversiva, senz’accorgersi che nel mito d’origine della Tiandihui questi riferimenti sono prima di tutto simbolici.
Il rituale della Tiandihui non sarà conosciuto se non nel 19° secolo, soprattutto grazie ad alcuni poliziotti inglesi e olandesi a Singapore e in Indonesia, ma è senza dubbio d’origine più antica. I suoi elementi essenziali sono il ricordo del mito d’origine, il giuramento di sangue, l’iniziazione con comunicazione delle parole e dei segni di passo, il ricordo delle pene che attendono i traditori e dei riferimenti a un «riparo», la «Città dei Salici», una cui mappa viene mostrata all’iniziato. In diverse versioni della cerimonia, gli si dà anche un «certificato» che ha contemporaneamente un ruolo quasi magico di protezione dell’iniziato. Tale certificato ha la sua importanza, poiché si riferisce a due elementi che giocheranno un ruolo sempre più importante nella società: la protezione (Yan Yan avrebbe già promesso ai primi membri taiwanesi che sarebbe bastato esibire il certificato ai banditi così diffusi a Taiwan per sfuggire loro) e attività economiche di dubbia natura (la Tiandihui sarà presto accusata di vendere i certificati per delle cifre esorbitanti a dei contadini alquanto sprovveduti).
Da qui ad attività criminali non c’è che un passo. Ben inteso, questi sviluppi si spiegano in parte come frutto di un classico processo di amplificazione della devianza. Da un lato, poiché l’autorità imperiale si accanisce addirittura contro dei rami della Tiandihui più o meno inoffensivi, questi entrano in clandestinità e si danno sempre più ad attività criminali. A Singapore le autorità inglesi governano a lungo la comunità cinese per il tramite di società segrete. Quando giudicheranno il loro potere ormai eccessivo («un impero all’interno dell’Impero»), proibiranno le società segrete, in teoria nel 1869, con la Dangerous Societies Suppression Ordinance (Legge di soppressione delle associazioni pericolose) che resta largamente sulla carta, e in pratica a partire dal 1890. Ma è anche vero che, con la Tiandihui, gli inglesi avevano tollerato un’attività di gestione privata della prostituzione e del gioco d’azzardo, e anche attività di racket, e che molto prima della repressione Qing la società si era data ad attività criminali a Taiwan e altrove.
A partire dalla fine del 19° secolo l’attività della Tiandihui è illegale quasi ovunque nel mondo. Ciononostante essa si diffonde ovunque vi sia una emigrazione cinese (che proviene spesso in maggioranza dalla Cina sud-orientale), compresi gli Stati Uniti. La Tiandihui (più nota come «le triadi», nome la cui origine è controversa ma che fa probabilmente prima di tutto riferimento all’unione della Terra, del Cielo e dell’uomo) e altre «società segrete» cinesi si occupano soprattutto di prostituzione, racket, gioco d’azzardo, droghe. Ma il rituale rimane importante, soprattutto nell’Asia sud-orientale, almeno fino al 1950, e se ne trovano tracce anche oggi, quando le società segrete si rivelano un problema criminale nelle nuove regioni d’immigrazione cinese, compresa l’Italia (dove i tribunali hanno applicato alle «triadi» leggi create per combattere la mafia).
Resta un problema. Perché diverse migliaia di cinesi hanno rischiato la repressione feroce delle autorità imperiali per farsi iniziare alla Tiandihui, se, dopo tutto, avrebbero potuto diventare membri di altre società confraternali (e anch’esse criminali) le quali a un primo sguardo avrebbero garantito loro dei vantaggi simili, senza esporsi automaticamente alla pena capitale riservata ai membri delle «società segrete» considerate come anti-Qing? Questa domanda può forse spiegare come e perché la Tiandihui è diventata, da quella che era alle origini, una grande società criminale internazionale? Ma, «alle origini», la Tiandihui che cos’era precisamente?
Cinque interpretazioni
La polizia Qing non ha veramente cercato d’«interpretare» la Tiandihui, e i gendarmi imperiali non s’interessavano molto a questioni di origine e di rituale. Caso del tutto diverso è per i funzionari inglesi, francesi e olandesi che hanno incontrato le società segrete ovunque essi esercitavano il loro potere coloniale su comunità cinesi in Asia sud-orientale (quasi tutte le loro opere sono raccolte nei sei volumi diretti da Bolton e Hutton 2000). A loro dobbiamo la raccolta e la pubblicazione dei rituali, con un interesse che non era solo poliziesco, e che spiega anche le grandi collezioni private di insegne, bandiere, certificati e altri ornamenti delle «logge» della Tiandihui, che si possono vedere oggi nei musei, soprattutto a Singapore (Lim 1999; Lim 2002). In effetti, diversi di questi funzionari sono massoni, e tutti conoscono bene la massoneria europea. Talora, hanno anche una certa simpatia per la Tiandihui, che interpretano secondo un paradigma di «società segreta» elaborato a partire dalla massoneria. Questi autori pensano che la massoneria e la Tiandihui (che chiamano talora «massoneria cinese») non siano altro che due rami di una proto-società segreta originaria, probabilmente egiziana, e che le differenze fra loro si spieghino con il trasferimento di questa stessa tradizione rispettivamente in direzione Ovest e in direzione Est. In effetti, questa letteratura giunge a ritrovare similarità significative fra le cerimonie d’iniziazione della Tiandihui e alcune cerimonie massoniche. Ben inteso, ci si può domandare se queste similarità siano davvero reali o si non derivino piuttosto dalla mentalità di autori che guardano alla Tiandihui attraverso occhiali massonici. Ciononostante questa «scuola» ha salvaguardato dei documenti di capitale importanza, e la sua ricostruzione delle cerimonie è generalmente considerata assai fedele. Quello che qui si rivela obsoleto è l’idea di una «proto-massoneria» egiziana, che la scuola «autentica» di studi massonici ha rifiutato nel 20° secolo. Con la mitologia delle origini massoniche, cade anche l’idea di un’origine comune della massoneria e della Tiandihui. D’altronde, queste speculazioni non interessano più i massoni delle colonie a partire dalle fine del 19° secolo, allorché le società segrete cinesi sono sempre più associate alla criminalità.
Nei premi decenni del 20° secolo, una seconda interpretazione della Tiandihui emerge nell’ambiente di Sun Yat-Sen (1866-1925.) Secondo questo padre del moderno nazionalismo cinese, le società segrete sono un proto-nazionalismo che si erge contro il potere «straniero» dei Qing in nome della nazionalità cinese. Per di più, per il repubblicano Sun Yat-Sen, l’importante nella divisa della Tiandihui è l’idea di «rovesciare i Qing», che egli interpreta come un’aspirazione al rovesciamento di un potere imperiale anti-nazionale e corrotto. «Restaurare i Ming» sarebbe solo utopico se si dovesse prendere alla lettera, e deve dunque essere interpretato in modo simbolico come «restaurare un potere cinese autenticamente nazionale». Diversi autori hanno tentato di dare una base accademica a queste «intuizioni» di Sun Yat-Sen, e questa interpretazione ha ancora corso a Taiwan. Se l’alleanza di Sun Yat-Sen e di alcuni dirigenti della Tiandihui in Cina e nell’emigrazione non è priva d’interesse storico, l’interpretazione «proto-nazionalista» della Tiandihui è alquanto anacronistica e ideologica, ed è stata oggi largamente abbandonata.
Se Sun Yat-Sen ha letto le «società segrete» con occhiali nazionalisti, Mao Ze-Dong (1893-1976) è stato per un momento tentato da una lettura almeno di alcune società come manifestazione, certo primitiva, di uno «spirito rivoluzionario» cinese. Queste parole «spirito rivoluzionario» si trovano nell’appello che Mao indirizza, nel luglio del 1936 (Chesneaux 1965, 262), a nome del Comitato centrale del Partito comunista, alla Gelahui (Società dei Maggiori e degli Anziani), che la letteratura precedente aveva considerato sia un ramo, sia una «società segreta» concorrente della Tiandihui (cfr. Jacobson 1993), chiedendole di sostenere la sua lotta. In effetti, le «società segrete» avranno le posizioni più diverse nei confronti del regime comunista che, quanto a lui, si sforzerà di sopprimerle dopo la sua vittoria con risultati d’altronde assai dubbi, anche se la versione ufficiale oggi in Cina è che le «triadi» siano sopravvissute solo a Hong Kong e a Taiwan (da dove cercherebbero ora d’infiltrarsi di nuovo in territorio cinese). Una interpretazione dei membri delle «società segrete» come «rivoluzionari primitivi» (nel senso di Eric Hobsbawm [1959]) è stata elaborata in Occidente da Jean Chesneaux (1965; 1970) e dai suoi allievi. In una prospettiva vicina a quella marxista, tanto le «società segrete» quanto la Tiandihui, quanto ancora i movimenti religiosi messianici come il Loto Bianco, fanno parte di una anti-società che si oppone all’oppressione e allo sfruttamento dei contadini. «Rovesciare i Qing» per Sun Yat-Sen significa rovesciare gli stranieri in nome del nazionalismo; per questa scuola, significa piuttosto rovesciare l’oppressione sociale in nome dell’ideale hobsbawmiano di una «rivoluzione primitiva» che s’ignora. Ben inteso, tale lettura – come la precedente – rischia l’anacronismo, dal momento che legge fenomeni del 18° secolo alla luce delle grandi rivoluzioni cinesi del 20°.
La letteratura accademica degli anni 1980 e 1990 è stata dominata dalla «scuola degli archivi», che fa seguito da condizioni politiche favorevoli che hanno permesso lo studio accurato degli archivi tanto in Cina quanto a Taiwan. Questa scuola – legata ai nomi degli storici Cai Shaoqing e Qin Baoqi in Cina, e Zhuang Jifa a Taiwan – nega il primato dell’elemento dinastico e politico nazionale («rovesciare i Qing, restaurare i Ming») nell’origine e nello sviluppo della Tiandihui. Situandola nel contesto della Cina sud-orientale e di Taiwan, questi autori giungono a vedere nella Tiandihui una società di mutuo soccorso e una evoluzione delle società fraternali di villaggio. Se gli storici cinesi restano dei marxisti e spiegano le «società segrete» con il contesto sociale (cosa che fa anche, in una prospettiva differente, Zhuang Jifa), essi mettono avanti la solidarietà e la protezione scambievole piuttosto che la rivoluzione, e qui sta la loro differenza con un Sun Yat-Sen o un Chesneaux. Uno dei più importanti interpreti occidentali, David Ownby, costruisce la sua interpretazione a partire da quella della «scuola degli archivi», leggendo la Tiandihui nel contesto e nell’evoluzione di queste società e associazioni cinesi che si formano presso i contadini senza la guida, e talvolta senza l’autorizzazione, delle élites tradizionali (Ownby 1996). Anche l’opera, di capitale importanza, di Dian H. Murray, sulle origini della Tiandihui, che pur tiene conto di alcune suggestioni di Chesneaux, è largamente fondata sulla «scuola degli archivi» ed è stata d’altronde scritta in collaborazione con Qin Baoqi (Murray e Qin Baoqi 1994).
La «scuola degli archivi» non s’interessa troppo degli elementi religiosi o esoterici, sia a causa dell’adesione degli autori a una sociologia che considera la religione come un prodotto secondario delle tensioni sociali, sia in quanto rimane legata allo schema tradizionale della storiografia cinese, che vede la dissidenza come religiosa al Nord (i movimenti messianici, fra cui il Loto Bianco) e come culturale o fraternale al Sud (le «società segrete», fra cui la Tiandihui.) Al massimo, si concederà che la Tiandihui, dove la religione non avrebbe avuto all’origine molta importanza, ha assunto un tono apocalittico e religioso nel 19° secolo in alcune regioni dove essa ha assorbito elementi messianici buddisti o taoisti preesistenti.
Proprio questo è stato messo in forse da una quinta interpretazione, proposta specialmente da Barend J. ter Haar (1993, 2000.) Secondo ter Haar, autore di un’opera monumentale sul rituale della Tiandihui, la ritualità ha una grandissima importanza in questa società e rivela che si tratta davvero di una forma di messianismo, che ha certo le sue particolarità ma che mette in dubbio la distinzione classica fra un Nord «messianico» e un Sud «fraternale» nella tipologia delle associazioni cinesi che s’oppongono al potere imperiale Qing. L’idea di «restaurare i Ming», lungi dall’essere secondaria, per ter Haar è rivelata dal rituale in tutta la sua centralità. Tuttavia, non si tratta veramente di un legittimismo Ming. In effetti, lo studio comparato dei messianismi cinesi mostra che è quasi consuetudine, per i fondatori dei nuovi movimenti religiosi ed esoterici, di presentarsi come discendenti «segreti» d’imperatori, quindi in epoca Qing come discendenti dei Ming. In più, la fusione del buddismo e della religiosità popolare cinese preconizzava l’arrivo per salvare l’umanità dai disastri apocalittici del Budda Maitreya assistito da un Giovane Principe Chiaro di Luna e da un «Re di Luce». Questa tradizione è più antica dei Ming, ma questi se ne sono appropriati. In effetti, il fondatore dei Ming, l’ex monaco Zhu Yuanzhang (1328-1398), aveva seguito il movimento messianico di Han Lin’er († 1366), il «Giovane Re di Luce» al quale era restato sempre leale. Dopo la morte di Han, Zhu e i Ming avevano rivendicato per loro la sua eredità e il suo carisma messianico. I riferimenti a un «Re di Luce» e a dei fondatori figli di «Zhu» nel rituale della Tiandihui non avrebbero dunque necessariamente una relazione con una restaurazione dei Ming, ma con l’avvento di un messia «Re di Luce», quindi con una tradizione messianica che allo stesso tempo era utilizzata e utilizzava il simbolismo imperiale dei Ming.
Conclusione
Ciascuna interpretazione apporta degli elementi utili per rispondere ai quesiti sul ruolo e l’evoluzione della Tiandihui e delle «società segrete» in Cina. Se determinati elementi sono legati a contesti ideologici o politici obsoleti, bisogna dunque considerare le interpretazioni come talora complementari piuttosto che come sempre e necessariamente alternative.
La società fraternale, la confraternita religiosa, il movimento di contestazione politica sono tutti antecedenti della «società segreta» cinese del 18° secolo. Essa presenta, ciò non di meno, degli elementi di novità reali, che derivano in larga misura dal contesto sociale particolare di determinate macro-regioni cinesi dell’epoca. In tal senso, se si vuol parlare di «società segreta», bisogna farlo anzitutto nel senso di Georg Simmel (1858-1918) (1996): la società segreta come epifenomeno della società (e che ha successo nonostante le opposizioni e le persecuzioni, in tanto in quanto risposta a dei problemi e delle esigenze reali di questa stessa società). Ma, come fa notare Jean-Pierre Laurant (1991, 67), nella società segreta vi è di più. Mentre assicura il «funzionamento intellettuale» di une società, il segreto esoterico può avere «la funzione essenziale di farvi entrare, d’altro canto, una tradizione che la oltrepassa». La Tiandihui delle origini è una società segreta «simmeliana» in tanto in quanto strettamente legata a un contesto sociale che la «scuola degli archivi» ha chiarito nei dettagli. Ma nello stesso tempo il segreto esoterico che ter Haar rinviene nel suo rituale inserisce la Tiandihui in quel «qualcosa» che oltrepassa la sua funzione strettamente sociale e che fa parte allo stesso tempo della tradizione dei nuovi movimenti religiosi messianici cinesi e di un «paradigma esoterico» (Zoccatelli 2000.)
Resta da vedere come una società segreta (nel senso simmeliano del termine) perda molto della sua ritualità in un processo che dura da quasi due secoli, e si riduce infine a un’associazione di malfattori con degli elementi rituali che non sono talvolta più capiti dagli stessi membri che continuano a conservarne qualche elemento. Abbiamo già menzionato le teorie dell’amplificazione della devianza: la Tiandihui è stata «criminalizzata» dalle autorità anche in contesti in cui essa non era forse criminale. Ma l’applicazione di tali teorie al nostro caso si scontra, lo si è visto, con un limite evidente nel caso in cui la Tiandihui si è data ad attività criminali ancor prima che le autorità Qing scoprissero la sua esistenza e il suo nome. Questa criminalità «originaria» smentisce anche le teorie politiche secondo le quali la Tiandihui si sarebbe «criminalizzata» una volta che la sua funzione proto-politica era cessata, con il successo delle rivoluzioni cinesi del 20° secolo.
Il problema resta aperto. Chesneaux (1965, 52) pensa che – una volta che le funzioni politiche della Tiandihui erano state assunte da altri attori sociali (i partiti politici) – non le restassero se non le sue attività criminali, che sono co-esistite con le altre dell’origine. Chesneaux, qui, vede i partiti come concorrenti della Tiandihui. Ma non s’interessa che alla concorrenza politica, e trascura il contesto religioso ed esoterico. Bisognerebbe dunque abbordare il problema della deriva criminale della Tiandihui alla luce di quella che Rodney Stark (2003, 4) chiama una «sociologia degli dei». Gli scambi con gli dei in un contesto come quello della Tiandihui sono particolari più che generali: gli dei garantiscono certi vantaggi in cambio di certi rituali, ma non offrono un disegno generale di salvezza. È nota l’avversione delle «società segrete» per il cristianesimo. Ma sarebbe interessante domandarsi se la concorrenza di diversi sistemi globali di salvezza – il cristianesimo, il comunismo, ma anche diversi modi nuovi di proporre la religiosità cinese – non abbia progressivamente indebolito la capacità del rituale Tiandihui di fungere da rituale religioso ed esoterico e di trasmettere un «segreto» nel senso evocato da Laurant, non lasciandone sussistere che l’elemento criminale, d’altronde presente dalle origini.
Riferimenti
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