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a cura dell’Istituto Storico dell’Insorgenza e per l’Identità Nazionale


inserito il 14 dicembre 2007


Matteo Masetti


Il «dossier Mitrokhin» e l’ombra del Cremlino sull’Europa della Guerra Fredda



1. Premessa

«È mia ragionata e ragionevole convinzione, suffragata da fortissimi indizi, che Aldo Moro [(1916-1978)] fosse stato rapito da Brigate Rosse guidate dal KGB [(1)], convinzione divenuta certezza dopo aver raccolto presso la Procura di Budapest le prove materiali della relazione organica fra servizi sovietici e brigatisti italiani» (2). Queste parole si riferiscono a uno dei filoni del lavoro, svoltosi nel quasi totale silenzio della stampa italiana, della Commissione parlamentare d’inchiesta concernente il cosiddetto «dossier Mitrokhin». Presidente di questa Commissione — di cui facevano parte rappresentanti della maggioranza e dell’opposizione — è stato il giornalista e senatore Paolo Guzzanti.
Quando i lavori della Commissione si conclusero, la stampa internazionale e soprattutto le televisioni dedicarono più di duemila servizi ai riscontri contenuti nella relazione finale, mentre in Italia ne parlarono solo pochi giornali.
Il fine istituzionale della Commissione era di «[…] accertare la veridicità e l’affidabilità delle notizie contenute nel dossier Mitrokhin, senza alcuna strumentalità e propaganda di parte, ma con l’obiettivo di cercare di ricostruire quello che è avvenuto in Italia in anni cruciali che hanno interessato straordinari cambiamenti politici e sociali; anni funestati da stragi, terrorismi, assassinii, ma anche anni caratterizzati da una straordinaria ripresa economica e da una grande partecipazione popolare alla vita politica del paese» (3).
Inoltre si segnalava che dal dossier Mitrokhin «[…] emerge chiaramente che il KGB era presente in Italia con contatti nella politica, nella pubblica amministrazione, nell’imprenditoria, nel giornalismo e nella Chiesa. Partendo proprio da questo ultimo dato e da quanto scritto nell’ultimo libro del Sommo Pontefice Giovanni Paolo II [(1978-2005)] dal titolo “Memoria ed identità” — in cui per la prima volta parla dell’attentato alla Sua persona come “una delle ultime convulsioni delle ideologie della prepotenza scatenatesi nel XX secolo” — la Commissione ha ritenuto opportuno avviare un ciclo di audizioni al fine di verificare l’eventuale ruolo svolto dal KGB e dai Servizi segreti dei Paesi dell’ex Patto di Varsavia nell’attentato del 13 maggio 1981» (4)
La Commissione ha inoltre effettuato missioni in Francia e in Ungheria al fine di acquisire materiale documentale nell’ambito dell’inchiesta.

2. Mitrokhin, il suo dossier e il Sismi (5)

Ma vediamo ora di analizzare la figura di Mitrokhin e come viene alla luce il suo famoso dossier.
Vassilj Nikitich Mitrokhin nasceva nel 1922 nel distretto di Ryazan (Russia Centrale) e partecipa alla Seconda Guerra Mondiale (1939-1945) come ufficiale dell’esercito. Nel 1944 si laurea in diritto e inizia la carriera nell’intelligence esterna sovietica. Alla fine del 1956, a seguito di sue moderate critiche riguardanti il modo in cui era stato diretto il Kgb, viene rimosso dalle operazioni all’estero. La svolta in quella che sarà presto la sua «odissea intellettuale», come lui stesso la definì, avvenne però nel 1968 a seguito della repressione della «Primavera di Praga», da cui Mitrokhin capì che il sistema comunista era ormai irreformabile. Da allora egli cominciò a maturare l’idea di compilare un archivio che documentasse le operazioni del Kgb all’estero, come tentavano di fare coraggiosi dissidenti con la stampa clandestina — il cosiddetto «samizdat», cioè «edito in proprio». Per una curiosa e fortunata coincidenza nel giugno del 1972 Mitrokhin divenne responsabile dell’archivio centrale del Kgb a Mosca e per dodici anni, cioè fino al suo pensionamento avvenuto nel 1984, riuscì a trascrivere a mano una enorme quantità di documenti top secret che poi ribatteva a macchina e riordinava nella sua dacia di campagna nei fine-settimana. Con la sua scelta, ovvero quella di trascrivere documenti segretissimi, Mitrokhin rischiò la vita assieme a quella della sua famiglia, in quanto, se fosse stato scoperto, sarebbe stato di certo fucilato senza tanti processi.
Dopo la fine, nel 1991, dell’Unione Sovietica Mitrokhin riuscì l’anno successivo a trasferire la sua documentazione fuori dal Paese. Infatti, nella notte fra il 23 e il 24 marzo 1992, proprio come in una perfetta spy story, Mitrokhin riuscì a raggiungere in treno Riga, capitale della Lettonia ormai indipendente, portando con sé una parte del suo archivio opportunamente selezionato e nascosto in una valigia: lì riuscì ad avere un incontro presso l’ambasciata britannica dopo un fallito tentativo con quella americana. I diplomatici inglesi capirono subito di avere di fronte del materiale scottante che si sarebbe rivelato una fonte di informazioni d’importanza straordinaria. Verso la fine di quell’anno autorizzarono pertanto l’ingresso in Gran Bretagna di Mitrokhin, che portò con sé, assieme alla sua famiglia, anche tutto il prezioso archivio. Mitrokhin visse così in una località segreta fino alla morte, avvenuta nel 2004.
Il prodotto del lavoro svolto da Mitrokhin era composto da quasi trecentomila schede, che vennero decodificate, tradotte e classificate da personale del servizio segreto inglese sotto l’attenta e pignola supervisione dell’archivista russo. Le schede vennero poi consegnato ai governi di ciascun Paese cui i report si riferivano: all’Italia, in un arco di tempo dal 1995 al 1999, vennero recapitate 261 schede.
Però il Sismi, il servizio segreto militare italiano, evitò accuratamente di incontrare e di ascoltare il teste «Impedian», ovvero Mitrokhin, nonostante gli fosse stata offerta questa opportunità dal servizio inglese «[…] per ottenere tutti i chiarimenti che avrebbe potuto dare sulle identità, le attività, il ruolo e l’importanza delle persone» (6).

3. La fase del terrorismo e il «caso Moro»

Come emerso da fonti ufficiali tedesche, austriache e ungheresi, nonché dai verbali dei ministri della Difesa del Patto di Varsavia, dagli anni 1950 fino alla metà degli anni 1980 il blocco sovietico aveva allestito dei piani di invasione dell’Europa occidentale.
Una osservazione molto attenta ci permette di notare fra l’altro di notare come le direttrici di invasione nel nord Italia previste dai piani sovietici coincidessero inquietantemente con le città che videro la nascita, lo sviluppo e il radicamento delle Brigate Rosse comuniste. E queste esaurirono la fase della lotta armata verso la fine degli anni 1980, proprio — e forse non è un caso — con la crisi e con la fine del comunismo in Europa.
Il piano di attacco al nostro Paese prevedeva la conquista del Nord Italia con l’impiego di circa trecentomila effettivi: eppure, nonostante l’entità di questa massa umana che sarebbe stata scatenata al nostro confine orientale, l’invasione non sarebbe stata possibile — in primo luogo l’attraversamento delle Alpi —, se a tergo delle linee italiane non si fosse organizzato un caos incontrollabile mediante l’eliminazione di centri strategici di reazione tramite assassini, sabotaggi e attentati (7).
Il delitto Moro si inserisce in questo contesto, in quanto «è un dato di fatto accertato che durante la sua prigionia furono sottratti i piani segreti della difesa da un’invasione, contenuti nella cassaforte del Ministro della difesa» (8) e in particolare i piani di quelle operazioni dietro le linee amiche, denominato «Stay behind», che avrebbe dovuto scattare come risposta all’invasione delle forze del Patto di Varsavia.
«La cattura dell’ostaggio cartaceo rappresentato dai piani militari durante il rapimento Moro è probabilmente la ragione stessa del rapimento» (9). «L’obiettivo del Gru [(10)] consisteva nell’ottenere da e tramite il presidente Aldo Moro preziose informazioni militari per scavalcare i confini italiani senza ritardi e senza perdite» (11).
Il ruolo delle Brigate Rosse si può pertanto inquadrare in questo contesto internazionale, come strumento necessario al compimento di vaste azioni di sabotaggio e di destabilizzazione in coincidenza con un’invasione sovietica. Simili paino coinvolsero anche la Francia e la Germania, che furono scosse a loro volta in quegli anni «da forme di terrorismo simili a quello italiano e tra loro strettamente collegate e correlate» (12).
Riguardo al sequestro e all’assassinio dell’onorevole Aldo Moro, segretario della Democrazia Cristiana (Dc), c’è da notare innanzitutto il modo con il quale avvenne il sequestro: «Aldo Moro fu catturato con una vera e propria operazione di commando, l’unica messa in atto dopo la seconda guerra mondiale. Tutta la scorta fu assassinata ed era presente anche un tiratore scelto straniero che non fu mai preso e del quale non si è mai parlato» (13). Questo «tiratore scelto» viene citato nel report n. 83 del dossier Mitrokhin con il nome di Sergej Sokolov. Secondo il racconto del professor Franco Tritto, al tempo assistente universitario di Moro, Sokolov ebbe modo di frequentare i corsi tenuti da Moro all’Università di Roma. Moro, sebbene insospettito dall’atteggiamento del giovane, «[…] voleva poterlo controllare dappresso, invitandolo alle manifestazioni culturali» (14) da lui promosse. Pochi giorni dopo il sequestro dello statista, Sokolov lasciò improvvisamente l’Italia. Tre anni più tardi sarà di nuovo nel nostro Paese come parte attiva dei servizi sovietici in occasione degli sviluppi giudiziari del fallito attentato a Papa Giovanni Paolo II (15).
Inoltre, «Aldo Moro fu l’uomo che strutturò i Servizi segreti italiani e che partecipò attivamente a tutte le fasi della costruzione della difesa dell’Alleanza atlantica» (16); per di più era l’uomo che stava traghettando il Partito Comunista Italiano (Pci) nell’area di governo secondo la logica del famoso «compromesso storico», seguito allo «strappo» del segretario comunista Enrico Berlinguer (1922-1984) — ma non di tutto il Pci — nei confronti di Mosca. Berlinguer dichiarò allora, per evidenti calcoli politici, di sentirsi «più protetto dall’ombrello della NATO» (17) che non al di fuori dell’Alleanza. E tutto ciò era quindi in palese e aperto contrasto con la pianificazione di una conquista militare dell’Europa da parte dell’Unione Sovietica, inclusa l’Italia del Nord.

4. Via Gradoli e il ruolo di Romano Prodi

Il 2 aprile 1978, mentre era in corso il sequestro dell’on. Moro, il professor Romano Prodi — allora non parlamentare — avrebbe partecipato in casa di amici in provincia di Bologna a una seduta spiritica, nella quale un piattino, mosso dallo spirito del defunto sindaco cattolico di Firenze Giorgio La Pira (1904-1977), richiesto dell’ubicazione della prigione di Moro, avrebbe composto il nome «gradoli». Trasmessa l’informazione al Viminale, il 6 aprile venne organizzata dalla polizia una retata nel paese di Gradoli (Viterbo) a caccia del luogo dove Moro era rinchiuso. In modo «casuale» il successivo 18 aprile venne rinvenuto al n. 96, interno 11, di via Gradoli a Roma un «covo» delle Brigate Rosse abbandonato di recente, dove era stato probabilmente detenuto il presidente della Dc.
Questa versione è sempre stata trattata con grande cautela dagli organi d’informazione. Invece il senatore Guzzanti sostiene che Prodi, ascoltato dalla Commissione Mitrokhin abbia mentito «sapendo di mentire» e che quella di Prodi sia stata una «[…] falsa seduta spiritica, grazie alla quale [Prodi] ancora protegge il suo segreto» (18). Per questo motivo Guzzanti presentò una denuncia in data 23 dicembre 2005 al Procuratore Capo di Roma, accusando pubblicamente Prodi «[…] di essere un mentitore non avendo mai voluto dire la verità sull’identità di chi gli ha fornito l’indirizzo, nome della strada, numero civico e dell’interno, dove il quartier generale dei rapitori di Aldo Moro si erano stabiliti durante l’interrogatorio del prigioniero, e anzi di non aver voluto comunicare la preziosa informazione alle autorità dello stato, agendo in modo tale da far giungere alla fine le forze dell’ordine al paese di Gradoli anziché in via Gradoli a Roma, cosa che permise ai rapitori di eclissarsi» (19).
Voglio soltanto ricordare che, «per una curiosa coincidenza, pochi mesi dopo la seduta spiritica, Prodi avvia la sua “vera” carriera politica diventando ministro dell’industria nel quarto governo Andreotti» (20).
Sul conto di Romano Prodi esiste un’interrogazione al Parlamento Europeo del deputato inglese Gerard Batten — visitabile sul sito <www.paologuzzanti.it > —, il quale chiede all’ex-presidente della Commissione Europea di chiarire la sua posizione rispetto al Kgb. Tale richiesta venne fatta in seguito alle rivelazioni ricevute da Batten da parte di un ex-colonnello del servizio segreto russo rifugiato a Londra, Aleksandr Val’terovič Litvinenko (1962-2006), il quale era anche in contatto con Mario Scaramella, consulente della Commissione Mitrokhin. Purtroppo Litvinenko, che fra l’altro aveva scritto un libro accusando apertamente la politica del presidente Vladimir Putin in Russia, è morto in seguito ad avvelenamento da polonio-210, una sostanza radioattiva letale, in un ospedale di Londra nel novembre del 2006 (21).
Comunque, le accuse contro Prodi sono state rilanciate anche dall’ex presidente della Lituania Vytautas Landsbergis sul giornale The Baltic Times del 25 gennaio 2007.
Dunque nessuno di questi elementi prova che Prodi fosse un uomo del Kgb, ma neppure lo assolve con certezza dal sospetto.

5. L’attentato a Papa Giovanni Paolo II

«[…] Il Gru sovietico ebbe l’ordine dal ministero della Difesa a Mosca, il quale a sua volta aveva avuto ordine direttamente da Leonid Breznev [(1906-1982)], di liquidare Wojtyla per sgombrare la Polonia a fini militari» (22). È ormai chiarito al di là di ogni ragionevole dubbio che i vertici dell’Urss abbiano preso l’iniziativa di eliminare Karol Wojtyła e che tale decisione si sia basata su necessitŕ militari prima che ideologiche. Esso venne organizzato con la complicitŕ dei servizi segreti bulgari e di quelli della Repubblica Democratica Tedesca (Ddr), ingaggiando per l’esecuzione il terrorista nazionalista turco Mehmet Alì Agca. Sia che l’attentato riuscisse o sia che fallisse, la Stasi (23), il servizio tedesco-orientale, doveva poi occuparsi delle operazioni di disinformazione necessarie al caso, nel quadro della cosiddetta «operazione “Papst׆». Sappiamo oggi che in quel periodo il Patto di Varsavia era impegnato nell’enorme sforzo economico, logistico e strategico di mantenere in posizione offensiva la più grande armata di tutti i tempi e che la Polonia in questo contesto strategico-militare rappresentava il teatro centrale di una guerra-lampo. «La causa lontana e diretta dell’attentato […] è militare. […] La soppressione del Papa polacco che manteneva la Polonia in uno stato di rivoluzione permanente e dunque di inagibilità […] avrebbe dovuto rendere di nuovo quel grande territorio di manovra agibile, come è sventuratamente accaduto per secoli» (24). L’inagibilità della Polonia con la imprevista vitalità del sindacato cattolico operaio Solidarnosc (Solidarietà) — il cui leader Lech Wałesa era il secondo obiettivo da affidare al killer turco (25) — e la sua connessione con il noto ex-arcivescovo di Cracovia, fu per i piani sovietici un duro colpo che portò all’ipotesi di un’invasione del Paese, come già avvenuto in Ungheria nel 1956 e in Cecoslovacchia nel 1968. Il problema fu poi risolto con un auto-colpo di Stato militare da parte del generale polacco Wojciech Witold Jaruzelski, attuato il 13 dicembre 1981, che fece sciogliere tutte le organizzazioni politiche e sindacali compresa Solidarnosc.

6. Qualche considerazione finale

In questa esposizione ho cercato di mostrare come un vero e proprio «filo rosso» unisca gli avvenimenti della storia recente in Europa e che questo sia attestato anche e soprattutto dalle rivelazioni del dossier Mitrokhin e dai lavori della Commissione parlamentare presieduta dal senatore Guzzanti.
Se mi è lecito guardando alla storia di quegli anni in una prospettiva di fede cristiana, mi ha colpito quanto Antonio Socci ha scritto di recente: «Gli esperti di questioni politico-militari sostengono che il 1984, con il duro scontro sui missili che mettevano alle corde il sistema sovietico, fu il momento di massima tensione tra Est ed Ovest. […] Il fatto che mise ko il potenziale militare sovietico […] fu l’esplosione dell’arsenale di Severomorsk, nel Mare del Nord. Senza quell’apparato missilistico […] l’URSS non aveva più alcuna speranza di vittoria" (26). È singolare constatare che la data di questo fatto è il 13 maggio 1984, festa della Madonna di Fatima e terzo anniversario dell’attentato in Piazza San Pietro contro il Papa; così come va ricordato che proprio il 25 marzo 1984, festa dell’Annunciazione a Maria, il Papa aveva consacrato il mondo al Cuore immacolato di Maria, come richiesto dalla Madonna a Fatima (27).
«Senza sapere nulla di tutto questo — scrive Socci —, né delle segrete cose del Cremlino, Lucia [dos Santos (1907-2005)], l’ultima delle veggenti di Fatima, in una delle sue rarissime interviste dichiarò candidamente: “La Consacrazione del 1984 ha evitato una guerra atomica che sarebbe accaduta nel 1985”» (28).

Matteo Masetti


Note

(1) «Kgb» è la traslitterazione dell’acronimo russo «Komitet Gosudarstvennoj Bezopasnosti» (Comitato per la Sicurezza di Stato).
(2) Agi (Agenzia Giornalistica Italia), 3-10-2006.
(3) Commissione parlamentare d’inchiesta concernente il «Dossier Mitrokhin» e l’attività d’intelligence italiana, istituita con legge nr. 90 del 7-5-2002 e Documento conclusivo sull’attività svolta e sui risultati dell’inchiesta, doc. n. 374, prot. n. 4208 del 15-3-2006, pp. 1-2, consultabile su Internet all’indirizzo: <http://www.parlamento.it/Bicamerali/mitrokhin>.
(4) Ibid., p. 9.
(5) Sismi è la sigla del Servizio per le Informazioni e la Sicurezza Militare, cioè il servizio segreto militare italiano.
(6) Documento conclusivo sull’attività svolta e sui risultati dell’inchiesta, cit., p. 16.
(7) Cfr. ibid., p. 173.
(8) Ibid., p. 96.
(9) Ibid., pp. 210-211.
(10) Gru è la traslitterazione dell’acronimo russo «Glavnoe Razvedyvatel’noe Upravlenie» (Direttorato Principale per l’Intelligence), il servizio informazioni delle forze armate russe.
(11) Documento conclusivo sull’attività svolta e sui risultati dell’inchiesta, cit., pp. 210-211.
(12) Ibid., p. 97.
(13) Corriere della Sera, Milano, 1°-12-2005.
(14) Ibid., p. 216.
(15) Cfr. ibidem.
(16) Ibid., p. 96.
(17) Ibid., p. 102.
(18) Agi, 3-10-2006.
(19) Adn Kronos, 30-11-2006.
(20) Documento conclusivo sull’attività svolta e sui risultati dell’inchiesta, cit., p. 239.
(21) Cfr. il Giornale, Milano, 25-11-2006. «Trofimov [superiore di Litvinenko, ndr] seguitava a fargli pervenire [l’interlocutore è Litvinenko, ndr] le sue valutazioni e fra queste […] che Romano Prodi, Presidente dell’Unione Europea [l’anno è il 2004, ndr], avrebbe avuto “relazioni molto segrete con le strutture dell’ex KGB”, cosa per me non del tutto nuova, considerato che durante i lavori della Commissione Mitrokhin avevo già scoperto che la sede della società Nomisma [fondata a Bologna da Romano Prodi, ndr.] a Mosca era in joint-venture con l’“Istituto Plehanov”. E che questo istituto altro non era che il nome di copertura della sezione economica del Kgb».
(22) il Giornale, Milano, 19-1-2006.
(23) Stasi è l’abbreviazione di «Ministerium für Staatssicherheit» (Ministero per la Sicurezza di Stato).
(24) Documento conclusivo sull’attività svolta e sui risultati dell’inchiesta, cit., p. 267.
(25) il Giornale, Milano, 19-1-2006.
(26) Cfr. Antonio Socci, Mistero Medjugorie, Piemme, Casale Monferrato (Alessandria) 2005, pp. 141-143.
(27) Cfr. «In modo speciale Ti affidiamo e consacriamo quegli uomini e quelle nazioni, che di questo affidamento e di questa consacrazione hanno particolarmente bisogno» (Giovanni Paolo II, Atto di affidamento e consacrazione alla Vergine, Roma, 25-3-1984).
(28) Cfr. A. Socci, op. cit., p. 144.

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