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a cura dell’Istituto Storico dell’Insorgenza e per l’Identità Nazionale


inserito il 23 luglio 2008


Giuseppe Brienza

L’«eredità» del 1968 nella cultura, nella società e nella Chiesa italiana


I n occasione del 40° anniversario del «maggio francese», il 28 maggio scorso a Roma, nella Sala convegni Don Umberto Terenzi del Santuario della Madonna del Divino Amore, organizzato dal Centro Culturale Amici de il Timone «Fides et Ratio», si è tenuto un convegno dal titolo: L’«eredità» del 1968 nella cultura, nella società e nella Chiesa italiana (1). Presentati dal sottoscritto hanno svolto relazioni il prof. Marco Invernizzi, docente di Storia dei partiti e movimenti politici all’Università Europea di Roma e presidente dell’Istituto Storico dell’Insorgenza e per l’Identità Nazionale (Isiin) e don Giovanni Poggiali, sacerdote dell’Opus Mariae Matris Ecclesiae e collaboratore della rivista il Timone. Mensile di informazione e formazione apologetica. Il senatore Gaetano Quagliariello, ordinario di Teoria e Storia dei Partiti Politici e di Storia Comparata dei Sistemi Politici Europei presso la Luiss-Guido Carli di Roma nonché presidente della Fondazione Magna Carta, convocato fra i relatori e impossibilitato all’ultimo momento a partecipare al convegno per motivi istituzionali, ha fatto pervenire all’organizzazione un suo qualificato messaggio.

In esso lo storico e parlamentare napoletano, dopo aver denunciato le responsabilità dei rivoluzionari di quarant’anni fa rispetto alla profonda crisi educativa «[…] di cui le cronache dei giornali e la pratica di vita quotidiana ci offrono tuttora spaccati significativi», si è chiesto metaforicamente, a proposito del rapporto fra il Sessantotto e l’egemonia culturale che ha condizionato il nostro Paese per decenni, «[…] se sia stato il primo a rafforzare la seconda, o invece sia stata proprio quell’egemonia ad agevolare l’affermazione del movimento del Sessantotto e la sua eccezionale durata rispetto ad analoghe esperienze maturate in altri Paesi occidentali».

Focalizzando il suo intervento sulle conseguenze dannose della Rivoluzione sessantottina nel mondo ecclesiale, don Poggiali, citando il sociologo delle religioni Massimo Introvigne, ha stigmatizzato invece l’idea, diffusa non solo in ristrette cerchie di teologi ma anche in buona parte del mondo culturale-mediatico, per cui «[…] dopo il Concilio Vaticano II i cattolici – o almeno, per usare un’espressione non solo italiana, i “cattolici adulti” – possano scegliere fra il magistero del Papa e il “magistero parallelo” dei teologi (un’espressione che sarà ripresa nel 1990 dall’Istruzione Donum Veritatis della Congregazione per la Dottrina della Fede sulla vocazione ecclesiale del teologo). I teologi, in quanto più “progressisti” e avanzati, anticiperebbero semplicemente oggi quanto il magistero finirà fatalmente per accettare domani, e quindi potrebbero e dovrebbero essere seguiti con fiducia dai fedeli più maturi. Dal momento che – per dire il meno – il Papa e la gerarchia non condividono questo punto di vista, ecco che nell’organizzazione Chiesa cattolica ci sono due fonti di autorità (da una parte il Papa, dall’altra i gruppi di teologi che riescono a farsi percepire come maggioritari, lo siano o no), le quali certamente non sono sullo stesso piano dal punto di vista della dottrina insegnata dalla Chiesa stessa (e dal Concilio Vaticano II) ma sono presentate come se lo fossero». Entra così in profonda crisi il concetto di autorità nella Chiesa e la Rivoluzione culturale del 1968 lascerà, anche da questo punto di vista, strascichi di cui siamo testimoni ancora oggi, come ha concluso il sacerdote milanese citando ampi stralci dall’ultima importante opera dello studioso, nonché esponente di Alleanza Cattolica a Milano recentemente scomparso, Enzo Peserico (1959-2008) (2).

Il prof. Invernizzi, curatore di un recente volume dedicato alla «svolta» rappresentata dalle elezioni del 18 aprile 1948 e ai vent’anni che ne «tradirono» le radici cattoliche e popolari preparando la «Rivoluzione culturale» del Sessantotto (3), ha ricordato nel suo intervento come la maggior vittima della contestazione organizzata durante tutto questo «annus horribilis» sia stata Papa Paolo VI, il quale, nell’enciclica Humanae vitae del 25 luglio 1968, non solo ribadiva l’illiceità per i cattolici della contraccezione artificiale, ma poneva soprattutto il problema della mutazione antropologica in atto, allora visibile in uno dei più delicati fenomeni umani, riguardante appunto lo svolgersi dei rapporti affettivi anche nel loro risvolto sessuale. «La gravità del caso Humanae vitae — ha aggiunto lo storico milanese — è confermata da un dato che riguarda la persona stessa di Papa Montini: dopo la reazione a quel documento, il Pontefice, che pure regna ancora fino al 1978, evidentemente amareggiato, non pubblica per tutta la sua vita alcun’altra enciclica (nessuna enciclica per dieci anni: un fatto del tutto inconsueto per un Papa moderno) dopo che ne aveva pubblicate sette fra il 1964 e il 1968».

Il Sessantotto — secondo Invernizzi — rappresentò insomma «la quarta fase di un secolare processo della storia dell’Occidente rivolto a una profonda ribellione contro le radici di questa civiltà, che nelle sue diverse espressioni si rivolgeva contro Atene, contro Gerusalemme e contro Roma. La rivolta che esplodeva nelle università e nelle scuole, anzitutto e soprattutto, aveva di mira il padre e il maestro e assomigliava alla prima di queste rivolte, quella che nel Rinascimento aveva di mira quell’impasto di culture diverse che aveva dato origine alla civiltà romano-germanica e cristiana nell’Occidente. Allora si trattava di esaltare il passato pagano, glorioso e luminoso, contrapponendolo a un presente ritenuto oscuro e limitato dalla fede e dalla morale cattolica, nel Sessantotto si sarebbe invece contrapposto a un presente meschino e borghese un futuro comunque migliore. In entrambi i casi, la società veniva invitata a ribellarsi contro la tradizione, in un caso preferendole il passato nell’altro il futuro».

Mentre nelle successive rivoluzioni, quella francese e quella socialcomunista, l’obiettivo erano principalmente alcune istituzioni, lo Stato e l’assetto sociale, nel Sessantotto come nel Rinascimento si è puntato soprattutto a modificare l’uomo e la sua cultura: «Una Rivoluzione “culturale” dunque, avendo cura di non intendere con “cultura” qualcosa di libresco e di limitato agli intellettuali, ma qualcosa che orienta le decisioni più importanti nella vita degli uomini e ne condiziona profondamente l’esistenza. In questo senso il Sessantotto è penetrato in profondità nel modo di vivere e di pensarsi dell’uomo occidentale e cristiano, alterando le sue relazioni con Dio, con gli altri uomini e con le cose materiali, e con se stesso, secondo uno schema contenuto nell’esortazione apostolica Reconciliatio et paenitentia di papa Giovanni Paolo II» (4).

Come è emerso anche dagli interventi del pubblico, dal Sessantotto ad oggi in tutti i settori e ceti sociali è evidente la profonda penetrazione del processo di secolarizzazione. Tuttavia, è lecito anche parlare di una «vittoria parziale» del Sessantotto perché, ora come allora, questa fase rivoluzionaria ha prodotto e sta producendo una reazione del corpo sociale «di senso contrario». Contro la nostalgia dei sessantottini, per un futuro ispirato dai valori senza tempo calpestati proprio dal Sessantotto, sta infatti partendo un «anti-’68» in nome del merito, della gerarchia, della concorrenza e delle libertà, di cui le ultime elezioni politiche in Francia ed Italia costituiscono, fra le altre cose, significativa testimonianza.

Giuseppe Brienza


Note

(1) A testimonianza della necessità di una rivisitazione «non conformistica» di questo periodo si può citare la eco che il convegno ha riportato in diversi mass media cattolici «non progressisti»: cfr., per esempio, Antonio Gaspari, I cattivi frutti del ’68 a distanza di 40 anni. Riflessione sulla cultura che ha generato la «mutazione antropologica», in Zenit. Agenzia Internazionale di notizie, Roma 3-6-2008; Sara Deodati, Quaranta anni ma non li dimostra. Convegno a Roma sulla rivoluzione del Sessantotto ed i suoi esiti nella società e nella Chiesa, in Il Corriere del Sud, anno XVII, n. 7, Crotone 1°/15 giugno 2008; Maurizio Brunetti, L’«eredità» del 1968 nella cultura, nella società e nella Chiesa italiana, in Il Settimanale di Padre Pio, anno VII, n. 26, Frigento (Avellino), 29-6-2008.
(2) Cfr. Enzo Peserico, Gli anni del desiderio e del piombo. Sessantotto, terrorismo & Rivoluzione, Sugarco, Milano 2008.
(3) Cfr. Marco Invernizzi e Paolo Martinucci (a cura di), Dal «centrismo» al Sessantotto, Ares, Milano 2007.
(4) Cfr. Esortazione apostolica post-sinodale Reconciliatio et poenitentia di Giovanni Paolo II all’episcopato, al clero e ai fedeli circa la riconciliazione e la penitenza nella missione della Chiesa oggi, promulgata il 2 dicembre 1984.


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