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a cura dell’Istituto Storico dell’Insorgenza e per l’Identità Nazionale





Marco Invernizzi



ALLE RADICI DELL’IDENTITA’ ITALIANA: I COMITATI CIVICI


La presenza politica dei cattolici dopo la costituzione del Regno d’Italia conosce diverse modalità operative: anzitutto il tentativo di organizzare il paese reale contro quello legale senza una diretta partecipazione alla competizione politica, con l’Opera dei Congressi e dei Comitati Cattolici, dal 1874 al 1904; poi gli accordi con i liberali moderati in funzione anti-socialista attraverso l’UECI, l’Unione Elettorale Cattolica Italiana, dal 1906 al 1919; quindi la costituzione di partiti politici — prima il PPI, il Partito Popolare Italiano, fondato da don Luigi Sturzo (1871-1959), nel 1919; poi la DC, la Democrazia Cristiana, sorta nel 1944 — con le caratteristiche dell’aconfessionalità e dell’indipendenza nei confronti del mondo cattolico e con un’ambiguità di fondo circa l’impegno a costruire una civiltà cristiana; infine la fondazione nel 1948 dei Comitati Civici), allo scopo di svolgere un’opera di formazione civica, prevalentemente nell’ambito della cultura politica, e di costituire uno strumento di pressione e di controllo sulla DC.
   I Comitati Civici nascono in vista delle elezioni politiche del 18 aprile 1948, per volontà di Papa Pio XII (1939-1958) e per iniziativa del vicepresidente dell’ACI, l’Azione Cattolica Italiana, Luigi Gedda (1902-2000), al fine di fronteggiare il pericolo dell’astensionismo e d’impostare la campagna elettorale nel senso di una scelta di civiltà. L’esigenza di un organismo che contempli e contemperi l’impegno religioso e quello partitico-parlamentare, che sciolga le incertezze manifestate dalla DC nella contrapposizione alle forze socialcomuniste e che funga da portavoce degl’ideali del mondo cattolico nei confronti del partito d’ispirazione cristiana si manifesta durante i lavori dell’Assemblea Costituente (1946-1948) e dopo i preoccupanti risultati delle elezioni regionali siciliane del 20 aprile 1947, che segnano un incremento del blocco socialcomunista e un regresso della DC. Inoltre, il malessere verso la DC, espresso dagli elettori cattolici con la preferenza accordata ai partiti di destra, in particolare al Movimento dell’Uomo Qualunque — fondato nel 1946 dal commediografo e regista, poi giornalista e uomo politico Guglielmo Giannini (1891-1960) —, era presente anche fra i dirigenti dell’ACI e in una parte del clero, e riproponeva il dilemma che aveva diviso la curia vaticana, dopo il 1944, fra quanti volevano l’unità dei cattolici intorno alla DC, come il sostituto alla segreteria di Stato monsignor Giovanni Battista Montini (1897-1978) — poi Papa Paolo VI (1963-1978) — e quanti auspicavano la neutralità della Santa Sede di fronte all’ipotesi di diversi «partiti cattolici», come i cardinali Domenico Tardini (1888-1961) e Alfredo Ottaviani (1890-1979). Fra i sostenitori di quest’ultima soluzione vi è chi pensa a un partito cattolico conservatore — i componenti di quello che è stato indicato come il «partito romano» — e chi desidera la costituzione di «blocchi», come dice Gedda alla prima riunione della giunta centrale dell’ACI, il 18 marzo 1947: «un blocco di uomini più che di partiti, mettendo in lista, a seconda delle regioni, uomini di specchiata fama e capacità». Gedda auspica inoltre «la creazione di una unione cattolica-elettorale» nella quale avrebbero dovuto trovare posto, accanto ai democristiani, candidati indipendenti.

   La nascita

   L’idea di Gedda incontra resistenze all’interno dell’ACI, soprattutto da parte del presidente generale Vittorino Veronese (1910-1986), dell’assistente generale monsignor Giovanni Urbani (1900-1969) e della vicepresidente generale Armida Barelli (1882-1952), tutti convinti della necessità dell’unità politica dei cattolici attorno alla DC. Ma Papa Pio XII scioglie gl’indugi e chiede a Gedda di costituire l’organismo che prenderà il nome di Comitati Civici. L’intenzione non è né di sostituire la DC, né di affiancare a essa un altro partito cattolico, ma anzitutto e soprattutto quella di portare al partito un incremento elettorale che da solo non avrebbe potuto procurarsi. I risultati daranno ragione a chi aveva voluto i Comitati Civici, perché la DC guadagna quasi cinque milioni di voti rispetto alle elezioni politiche del 1946, passando da 8.101.004 a 12.741.299. Il 7 marzo 1975 l’arcivescovo di Genova, card. Giuseppe Siri (1906-1989), si rivolgerà agli attivisti del Comitati Civici zonale con queste parole: «[…] chi è che ha salvato l’Italia nel 1948? Il Comitato Civico. Direte tutti i cattolici italiani e il partito che più di tutti gli altri li rappresentava! D’accordo. Ma tutti i cattolici italiani hanno avuto modo di essere orientati e il partito che più li rappresentava ha potuto essere vittorioso perché c’è stata dietro questa armatura, che si è dimostrata inattaccabile».
   Fondati l’8 febbraio 1948 e costituitisi nel giro di due settimane con una semplice articolazione che va dal Comitato Civico Nazionale a livello centrale a quelli zonali e locali, corrispondenti alle diocesi e alle parrocchie, i Comitati Civici attivano subito oltre ventimila comitati di base, che riescono a drammatizzare la campagna elettorale, impressionando soprattutto i comunisti — che devono affrontare un contendente attivo sul territorio, in grado di contrapporre alla cellula del Partito Comunista Italiano il Comitato Civico Zonale — e riuscendo a portare fisicamente alle urne centinaia di migliaia di anziani e di ammalati, che altrimenti non avrebbero potuto votare.

1. Il Collegamento dei comitati civici

Un utile strumento per capire meglio le caratteristiche principali dei Comitati Civici è Collegamento dei comitati civici, il giornale mensile che esce a Roma a partire dal mese di giugno del 1948. E’ un «giornalone», cioè di grande formato, maggiore anche rispetto ai quotidiani attuali, con molte fotografie. Collegamento serviva per tenere appunto collegati i numerosi comitati locali, ma non era soltanto rivolto all’interno perché affrontava temi di politica estera e interna che avrebbero potuto interessare anche lettori comuni. Il primo numero usciva dopo la «grande vittoria» elettorale. Nell’editoriale di Gedda emerge la consapevolezza di una realtà appena nata, anche se già molto affermata, e quindi bisognosa di favorire la reciproca conoscenza fra i diversi comitati locali, di scoprire in un certo senso «che cosa è» il Comitato Civico, anche per giustificare il suo mantenimento di fronte ai molti che avrebbero voluto ringraziare e accomiatare i Comitati Civici.
    In effetti, sfogliando il giornale ci si accorge della volontà degli estensori di spiegare, forse anzitutto a loro stessi, la natura di questo organismo anomalo, sorto improvvisamente e immediatamente balzato agli onori della cronaca, qualcosa che aveva a che fare contemporaneamente con l’impegno elettorale, la formazione religiosa e culturale, l’educazione civica e politica, ma che non era riducibile a nessuna di queste espressioni della vita pubblica, come dirà precisamente Papa Paolo VI nel 1965, in un discorso rivolto ai dirigenti dei Comitati Civici che forse coglie meglio di ogni altro la specificità dell’organismo fondato da Gedda.
   Tuttavia Gedda non è uomo che si limiti alla riflessione. Appena usciti da una battaglia, i Comitati Civici verranno chiamati a combatterne un’altra, quella sindacale, per appoggiare la scissione della componente cattolica dall’unità sindacale, analoga alla rottura dell’alleanza di governo che fino al 1947 aveva tenuto insieme DC e i partiti della sinistra, il PCI e il PSI.
   Ma prima ancora, i Comitati Civici vengono sollecitati a un’altra cosa, molto indicativa della mentalità di Gedda, dello spirito del suo modo di concepire la battaglia per un «mondo migliore». Già nel primo numero, infatti, auspica la conversione degli avversari e invita i suoi militanti a «collegarsi con i nostri avversari, con quelli che abbiamo combattuto e che combattiamo perché hanno in testa delle idee sbagliate ma che amiamo come uomini perché Gesù benedetto ci ha insegnato ad amare i nostri nemici». Nel modo di pensare di Gedda era questa la vera guerra, di cui il 18 aprile era stata solo una battaglia.
   Questa considerazione aiuta a capire la natura dei Comitati Civici, il loro interesse primario per l’apostolato nella prospettiva della trasformazione in senso cristiano della società, attraverso la formazione dei singoli – come accadrà con i corsi che cominceranno nel novembre 1951 nella casa di Casale Corte Cerro, in provincia di Novara — e per mezzo di interventi pubblici, politici e umanitari, sempre a metà strada fra l’intervento partitico e quello sociale, fra l’attenzione alla battaglia delle idee e la concreta azione a sostegno delle persone in difficoltà.
   I Comitati Civici si ritenevano in qualche modo come un pezzo nella storia del movimento cattolico e già nel primo numero di Collegamento Alceste Bozzuffi ricorda la storia dei cattolici italiani dall’Opera dei Congressi fino alla riforma del 1905, quando con l’enciclica Il fermo propositopapa san Pio X faceva nascere accanto all’Unione popolare e all’Unione economico-sociale una Unione elettorale che «può considerarsi quindi l’antenata degli attuali Comitati Civici».

2. «Perché celebrare i funerali dei Comitati Civici?»
   Questo interrogativo esprime la domanda che Luigi Gedda e molti con lui si fecero dopo il 18 aprile, a cominciare dal Pontefice. Infatti vi era chi voleva porre fine a un’esperienza che avrebbe potuto creare dei problemi alla DC e mantenere un clima di elevata conflittualità coi socialcomunisti, e chi invece riteneva utile ed efficace la struttura creata per le elezioni e quindi sbagliato disfarsene. Fra questi vi era Pio XII, il cui parere a favore del mantenimento si può ragionevolmente ritenere decisivo per la loro sopravvivenza. Con il Papa vi erano molti vescovi, più di cento dirà Gedda, semplici fedeli, che espressero il loro incoraggiamento a non smobilitare inviando decine di migliaia di lettere alla sede del Comitato Civico Nazionale.
   Molti però erano ostili alla continuazione dei Comitati Civici e non soltanto all’interno della DC, ma anche nell’ambito dell’Azione Cattolica e questo spiega l’ostilità che i Comitati Civici incontreranno già negli anni Cinquanta del secolo scorso. Intanto però il loro principale problema era quello di chiarire anche a loro stessi, ai dirigenti e agli attivisti, così come erano chiamati i militanti dei Comitati Civici, che cosa fossero.
   Organismo di quadri e non di massa, nato senza statuti, senza regolamenti, nella disciplina di una direttiva generale, i Comitati Civico non mira ad avere una propria base associativa, ma propone ai dirigenti delle organizzazioni già esistenti di collaborare alla formazione civica e alla mobilitazione elettorale dei cattolici. Il Comitato Civico «è un’organizzazione di quadri e solo straordinariamente una organizzazione di base. Vale a dire: il Comitato Civico non è un’organizzazione di masse, di tesserati», così si legge in un articolo di Giovanni Moruzzi (1890-1966) sul primo numero di Collegamento, che ricostruisce la storia della presenza dei cattolici italiani dopo il 1870, un po’ approssimativamente da un punto di vista storico, ma con la coscienza che i Comitati Civici erano parte di quella storia. I Comitati Civici avevano vinto una battaglia importante e da questa volevano partire. Questo sembra essere il senso dell’invito ad analizzare il voto, contenuto già dal primo numero di Collegamento, per valutare la situazione sociale paese per paese, meglio in ogni parrocchia che fosse sede di un Comitato locale. Nascevano già le prime iniziative, come quella di un inno dei Comitati Civici, scritto da Franco Turri e con musica di Mario Ruccione, mentre soltanto nel 1951, in novembre, sarebbero cominciati i primi corsi di formazione, quasi tutti tenuti nella Casa Getsemani di Casale Corte Cerro, fatta costruire dallo stesso Gedda, ai quali parteciperanno in venti anni circa cinquemila persone, di cui un terzo donne. Dati relativi a questi corsi possono essere consultati nell’Archivio Luigi Gedda conservato per decenni nella stessa casa di Casale Corte Cerro e oggi raccolto presso la Fondazione Vittorino Colombo di Milano. Si tratta di numerosi faldoni contenenti soprattutto informazioni sui corsi, i nomi dei partecipanti e dei docenti, i temi e gli orari. La documentazione contiene anche lettere di Gedda e scritte a Gedda da diversi esponenti dell’Italia dell’epoca, i manifesti dei Comitati Civici e anche notizie relative ai Circoli Mario Fani, costituiti sempre da Gedda a partire dal 1970, e alla Società Operaia, l’organismo prediletto da Gedda e a lui sopravvissuto, fondato nel 1942 per sostenere la vita spirituale degli associati fondandola sulla spiritualità di Gesù agonizzante nel Getsemani. Dalla lettura di Collegamento emerge anche l’intenzione dei Comitati Civici di contribuire alla soluzione della questione sociale, assai sentita nel dopoguerra, quando la povertà colpiva tanta parte della popolazione e i poveri, i disoccupati per mancanza di offerta di lavoro erano moltissimi. Nascevano anche un ufficio psicologico, quello che avrebbe ideato i manifesti famosi ed efficaci delle campagne elettorali, composto da Gedda, Turi Vasile e Dino Bertolotti, un giornale murale quindicinale, Il cittadino, mentre dal 1952 al 1974 uscirà anche un mensile, Azione.
   Il 15 giugno 1948 il dubbio circa il futuro dei Comitati Civici appariva già risolto e la conferma definitiva: i Comitati Civici avrebbero continuato a operare, dirà Gedda agli ispettori regionali riuniti a Roma, come forma di collegamento fra le diverse forze cattoliche operanti nel campo civile. La notizia verrà ripresa sul primo numero di Collegamento. La presenza di una figura definita, l’ispettore regionale, indicava che la fase di incertezza era superata e già avviata quella dell’organizzazione. Una struttura che poneva una grande attenzione a quanto accadeva nel paese, ai problemi della ricostruzione, alla disoccupazione, agli emigrati, alla necessità che i più benestanti si accollassero dei sacrifici per migliorare la condizione del paese, per migliorare lo stato del debito pubblico, tutti temi popolari che i Comitati Civici non volevano lasciare alla propaganda delle sinistre (cfr. Collegamento, n. 2, luglio 1948).
   Come già aveva notato il giornalista inglese Arnold Lunn (1888-1974) durante la campagna elettorale, i Comitati Civici usavano spesso l’ironia come forma di propaganda e il giornale era ricco di vignette che cercavano di mettere in ridicolo le posizioni dell’avversario, offrendo agli attivisti strumenti efficaci di propaganda.
   Tuttavia, questa forma di propaganda non impediva la drammatizzazione delle grandi battaglie, come quella per rompere l’unità sindacale e aiutare la costituzione di un sindacato ispirato ai principi della dottrina sociale della Chiesa, che poi diventerà la CISL. Questa campagna cominciava già sul numero di agosto di Collegamento, in un editoriale di Gedda, e continuerà fino alla realizzazione dell’obiettivo, già annunciato nel numero di dicembre. Intanto, il 7 novembre, si riuniva la prima assemblea dei Comitati Civici, quando ancora non avevano celebrato il primo anniversario della nascita.

  3. I corsi di formazione a Casale Corte Cerro

   Costruita dopo il 18 aprile al fine di assicurare un luogo dove poter garantire una formazione costante, la Casa Getsemani di Casale Corte Cerro, il piccolo paese nel novarese dove Gedda aveva trascorso l’infanzia e iniziato l’itinerario nell’associazionismo cattolico, diventerà il luogo principale dove si realizzeranno i corsi di formazione degli attivisti nazionali, gli «a», come verranno chiamati. Saranno una delle iniziative più significative dei Comitati Civici e certamente una delle più seguite e curate sia da Gedda sia da padre Lucio Migliaccio, l’assistente nazionale. La documentazione raccolta e custodita nella casa di Casale Corte Cerro, fino a quando nel 2004 verrà ritirata dalla Fondazione Vittorino Colombo di Milano e inventariata sotto la direzione della Sovraintendenza, conferma la grande attenzione posta nell’organizzare questi corsi e l’importanza che venne loro attribuita. Cominciarono appunto nel 1951 con un Corso intitolato al Presidente ecuadoriano Garcia Moreno (1821-1875), assassinato per volontà della massoneria, e si conclusero nel giugno 1972, quando fu organizzato l’ultimo corso di cui l’archivio fornisce notizia.
   I Corsi Nazionali erano una cosa seria, sia per la durata sia per le modalità. Duravano circa quindici giorni, prevedevano quattro lezioni giornaliere sui diversi argomenti politici e propagandistici (anche se la documentazione disponibile sul punto è lacunosa perché dice molto sui partecipanti, dei quali esistono fotografie e generalità, e poco sul contenuto dei temi trattati e sui relatori), messa e meditazione quotidiane, riunioni dei partecipanti divisi in gruppi ai quali forse venivano richieste esercitazioni orali e senz’altro scritte, in quanto di molti corsi esistono «i compiti» svolti dai partecipanti. Questi ultimi erano cercati preferibilmente fra gli universitari e lo scopo della formazione era di preparare persone disponibili ad animare le più diverse situazioni, parrocchiali, elettorali, ma anche dettate da battaglie episodiche come saranno la scissione sindacale, il ritorno di Trieste all’Italia, la battaglia a sostegno della Chiesa del silenzio nei paesi comunisti, il ritorno in Italia dei soldati italiani reduci dai campi di prigionia in URSS, il sostegno all’insurrezione ungherese nel 1956 e tante altre battaglie propagandistiche e di animazione che i Comitati Civici sostennero, come si evince dalla lettura della loro stampa periodica. Né bisogna trascurare gli interventi cosiddetti umanitari, come per esempio le alluvioni, a cominciare da quella del Polesine, una vera e propria tragedia che si verificò nel novembre 1951 e che vide il primo intervento pubblico dei Comitati Civici. I candidati venivano scelti accuratamente fra quelli segnalati dai responsabili dei Comitati Civici locali (Comitati Civici-L) o zonali (Comitati Civici-Z); questi ultimi inviavano alla sede romana le schede di presentazione dei candidati, con fotografia, presentazione del parroco, spesso certificato di buona condotta. Di ogni singolo corso verranno accuratamente compilati gli elenchi dei partecipanti e anche degli esclusi, sia per motivi di opportunità sia per esaurimento dei posti e in alcuni casi verranno mantenuti anche gli elaborati dei partecipanti.
   Nel 1955 verrà spedita una lettera ai vescovi italiani che spiega la natura e gli scopi dei corsi; vale la pena riportarla integralmente perché permette di comprendere il significato degli stessi:    «Eccellenza reverendissima, il Comitato Civico Nazionale dall’anno 1951 ha organizzato l’Unione Nazionale Attivisti Civici (UNAC) allo scopo di preparare giovani con particolari doti morali ed intellettuali alla importante missione civica. I Corsi Nazionali si svolgono al Getsemani di Casale Corte Cerro (Novara), ed a tutt’oggi ne sono stati tenuti 16 della durata di circa 15 giorni ciascuno, con la partecipazione di elementi segnalati da tutte le Regioni d’Italia, ed accuratamente selezionati in considerazione della serietà impegnativa dei Corsi stessi, al termine dei quali si procede ad una triplice classificazione: Attivisti idonei – Attivisti a disposizione – Attivisti locali. Gli idonei passano alle dirette dipendenze dell’U.N.A.C. che li impiega a disposizione degli Ispettorati Regionali, o li destina a compiti speciali fuori Regione. Di qui le preferenze per studenti universitari o neolaureati, ai quali si offre la possibilità di rispondere a una vocazione per l’attività civica, attraverso una indipendenza economica che il Centro corrisponde loro, agevolandoli talvolta per continuare gli studi, oltre a non farli gravare sul bilancio famigliare. I nostri Attivisti per lo spirito di sacrificio e la generosa dedizione hanno raccolto unanimi consensi nei molteplici impegni finora assolti a servizio delle organizzazioni Cattoliche, specialmente nelle campagne elettorali amministrative e politiche, nelle azioni di emergenza dall’alluvione del Polesine — che fu il loro battesimo – sino all’ultima alluvione del Salernitano, oltreché nei servizi specifici della organizzazione e nel compito precipuo della propaganda capillare. Numerose, infatti, sono le richieste che ci provengono da Eccellentissimi Vescovi e dirigenti cattolici per avere a disposizione gli Attivisti che dinamizzino le organizzazioni esistenti o addirittura crearle. Il Comitato Civico considerando le sempre crescenti esigenze dell’Organizzazione, ha deciso di tenere nel 1955 – ad iniziare dal prossimo gennaio – Quattro Corsi Nazionali, di cui tre maschili ed uno femminile, della durata ciascuno di 15 giorni. Desideriamo, pertanto, rivolgere all’Eccellenza Vostra la preghiera di volerci segnalare i nominativi dei migliori giovani della Diocesi che posseggano i requisiti accennati al fine di dare loro la preparazione specifica per svolgere la delicata missione, che S.S. Pio XII si è degnata mirabilmente illustrare nel discorso che ci pregiamo allegare alla presente, rivolto agli Attivisti nel 1° Convegno di Roma dell’aprile 1953. Confidiamo nella benevola considerazione di questa sentita richiesta, e ci è gradita l’occasione per dirci a disposizione dell’E.V. ed inviare i più deferenti ossequi; chini al bacio del S. Anello».
   Il documento si trova presso l’Archivio Gedda; è senza data, trattandosi di una copia dell’originale, scritto a macchina, copiata con la carta a carbone...

4. L’«operazione Sturzo»

   Il 25 maggio 1952 si svolgevano a Roma le elezioni amministrative. In previsione di esse, a causa dell’incertezza del risultato, che se fosse stato favorevole alle sinistre avrebbe portato un’amministrazione comprendente il PCI a governare la capitale della cristianità, ambienti vicini al Pontefice decisero di proporre alle forze politiche di centro-destra una lista comune, senza contrassegni di partito, per sconfiggere più facilmente l’alleanza di sinistra guidata dall’anziano leader Francesco Saverio Nitti (1868-1953). La proposta prese il nome di operazione-Sturzo perché il sacerdote fondatore del PPI avrebbe dovuto guidarla. Secondo Carlo Falconi (1915-1998), Gedda avrebbe assunto una parte preponderante nel progetto, incaricato di tenere i contatti con i monarchici e con i missini. Il fondatore dei Comitati Civici invece, nelle sue memorie, nega di aver avuto l’idea dell’operazione-Sturzo, anche se non nega di aver ricevuto dalla Santa Sede l’incarico di contattare, al fine di spiegare e chiedere l’adesione all’iniziativa, sia i partiti di destra sia l’Azione Cattolica. Proprio quest’ultima fornì le maggiori sorprese perché, appunto convocati da Gedda i vertici dell’associazione, cioè Carlo Carretto (1910-1988) della Gioventù italiana di Azione Cattolica, Maria Badaloni dell’Associazione italiana dei maestri cattolici, Alda Miceli della Gioventù femminile e Carmela Rossi dell’Associazione donne cattoliche come pure la Fuci (Federazione degli Universitari Cattolici Italiani) e i Laureati Cattolici, tutti diedero parere contrario all’iniziativa, con l’eccezione di Agostino Maltarello, che guidava gli uomini cattolici. La vicenda si consumò in pochi giorni, nel mese precedente la data elettorale, durante i quali la contrarietà della DC e dell’ACI, le incertezze degli stessi partiti di destra che sembra avessero avanzato pretese eccessive, consigliarono don Luigi Sturzo (1871-1959) a dichiararsi indisponibile a causa dei contrasti che l’iniziativa aveva suscitato. Poi le elezioni verranno egualmente vinte dalla DC apparentata con i partiti laici (41,9%), mentre le sinistre ottennero il 34,3% e le destre il 22,6% sempre dei votanti. Ma in seguito rimase il malessere che si manifestò all’interno dell’ACI e che anticipò esplicitamente le dimissioni di Carlo Carretto del 17 ottobre successivo, un malessere che si manifestava con motivazioni politiche, il rifiuto di allearsi con le destre, ma che aveva livelli più profondi, e che si esprimerà nel diverso percorso che Carretto compirà nei decenni successivi. La tristezza si impadronì del Papa e la manifestò a Gedda nel corso della prima udienza dopo l’accaduto, il 17 giugno dello stesso anno, quando a proposito dell’ACI arriverà a dire «che l’Azione Cattolica collabora non con la Chiesa ma con la Democrazia Cristiana».
   Probabilmente il fallimento segnò l’inizio, almeno a livello politico, di quel processo verso l’accordo della DC con le sinistre che si concretizzerà negli anni 1960. Indicherà anche la forza dei dirigenti della DC, capaci di impedire la realizzazione di un progetto che faceva capo al Papa, in ultima analisi, e gli appoggi potenti che il partito doveva avere in ambiente vaticano. Segnerà una sconfitta per Gedda e per i Comitati Civici, la cui stampa indica abbondantemente come la loro linea politica fosse chiaramente orientata a far capire agli italiani che il pericolo per la libertà della Chiesa e della nazione veniva da sinistra. Rimane il dubbio sull’origine dell’idea che portò a tentare l’operazione Sturzo, che Gedda attribuisce, come pura supposizione per semplice congettura, a mons. Roberto Ronca (1901-1977), fondatore di Civiltà Italica. Indubbiamente, fu un fatto rilevante, anche senza voler esagerare come fa Falconi, quando sostiene come le elezioni fossero, nell’intenzione della Santa Sede, l’occasione per sperimentare il grande progetto per un «mondo migliore» di riconquista cristiana della società preparato dal padre gesuita Riccardo Lombardi (1908-1979).

5. La battaglia elettorale del 1953

   L’irruzione sulla scena politica della Repubblica Italiana di una inusuale forza politica non partitica è indubbiamente una delle principali novità del secondo dopoguerra. E della vocazione dei Comitati Civici parla papa Pio XII il 14 aprile 1953 ricevendo in udienza un folto gruppo di appartenenti e di dirigenti.
   Un fatto nuovo e importante era avvenuto al vertice dei Comitati Civici, in quanto Luigi Gedda, diventato Presidente nazionale dell’Azione Cattolica Italiana nel 1952, aveva dovuto trasferire buona parte del suo impegno nel nuovo incarico ricevuto. Il fondatore non avrebbe certamente abbandonato i Comitati Civici e ne rimase presidente, mentre i Comitati Civici avranno un nuovo direttore generale, Ugo Sciascia (1911-1992), e sempre più rilevante diventerà l’impegno dell’assistente ecclesiastico, padre Lucio Migliaccio.
   Nel 1953 i Comitati Civici dedicheranno un grande impegno in occasione delle elezioni politiche dell’8 e 9 giugno, quelle della cosiddetta «legge truffa». Quest’ultima era una legge approvata dal Parlamento dopo una lunga battaglia contro l’opposizione socialcomunista, che attribuiva un premio di maggioranza alla coalizione vittoriosa nella competizione elettorale, in modo da favorire la governabilità del paese. Ma i partiti della coalizione governativa non superarono il 50% dei voti e il premio di maggioranza non scattò, seppure per pochi voti e nonostante l’affluenza record alle urne, del 94%, grazie anche alla mobilitazione dei Comitati Civici.

6. I rapporti con la DC

   I Comitati Civici sosterranno sempre, da un punto di vista elettorale, il partito di ispirazione cristiana, la cui classe dirigente, tuttavia, non li amò mai, perché temeva che potesse costituirsi in partito alternativo alla stessa DC, perché si sentiva controllato, perché in sostanza non condivideva la fermezza anticomunista e il desiderio di costruire una civiltà cristiana che animava l’azione di Gedda e dei Comitati Civici. Semmai erano altre le realtà che operarono per la costituzione di un altro partito «cattolico», come il movimento Civiltà Italica guidato da mons. Roberto Ronca, amico di Gedda anche se le due realtà operarono sempre in completa autonomia. Fra coloro che speravano e operavano per impedire l’unità dei cattolici in un solo partito non sembra che vi fosse Gedda, che invece operava, anche attraverso i Comitati Civici, su un piano diverso. Forse, a differenza di Civiltà Italica, i Comitati Civici hanno sempre sostenuto la DC nella convinzione che per contrastare il partito comunista più forte d’Occidente bisognasse votare uniti per un solo partito anticomunista e che un pluralismo di partiti anticomunisti avrebbe indebolito l’azione anticomunista invece di rafforzarla, come invece pensavano coloro che volevano costituire un’alternativa conservatrice alla DC che, fra le altre cose, avrebbe costretto quest’ultima a posizione meno aperturiste verso le sinistre (su questo punto cfr. Giuseppe Brienza, Mons. Roberto Ronca e l’alternativa alla DC negli anni del secondo dopoguerra, in Annali Italiani, Rivista di studi storici, anno II, n. 4, luglio-dicembre 2003, che riprende e analizza i principali studi disponibili di e su mons. Ronca. Almeno così pare da quanto scrive Ugo Sciascia (Collegamento, anno IX, n. 2, febbraio 1956):    «[...] in Italia al comunismo estremamente pericoloso [...] non si può contrapporre un mosaico di partiti oggi concordi e domani discordi ma occorre, al grado di imperativo categorico, contrapporre un solo forte partito.
   «Sarà doloroso negare possibilità di sviluppo a minoranze talvolta sane, sarà non perfettamente democratico indebolire le sole opposizioni democratiche, ma chi non senta come il grado di anormalità della presente situazione italiana questo giustifica, manca di sensibilità politica»
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   Leggendo Collegamento si nota come gli attivisti fossero impegnati in tante e diverse battaglie, fra cui quelle elettorali avevano certamente un ruolo centrale, ma non appariranno mai candidati da sostenere. I rapporti con gli uomini politici e di governo erano, con alcuni, molto buoni, per esempio con il Presidente del Consiglio Giuseppe Pella (1902-1981), amico e sostenitore anche finanziario dei Comitati Civici, presente ad alcune iniziative dei Comitati Civici.
   «L’Italia vi abbraccia commossa» era scritto su uno striscione appeso alla stazione di Udine, firmato dai Comitati Civici, per accogliere con gioia il rientro dalla Russia di 72 reduci dalla campagna militare e successivamente rimasti prigionieri dello Stato comunista addirittura per circa dieci anni (Collegamento, gennaio 1954). Fra questi reduci vi erano anche i due cappellani don Giovanni Brevi (1908-1998) e padre Pietro Alagiani SI, che il successivo 12 marzo avrebbero visitato il Civico di Roma, accolti da Gedda e da mons. Arrigo Pintonello (1908-2001), ordinario militare dell’esercito italiano.

7. La vocazione civica in un discorso di Paolo VI

   Forse le parole che meglio di tutte hanno delineato la vocazione dei Comitati Civici sono quelle pronunciate da Papa Paolo VI (1963-1978) nel discorso tenuto ai dirigenti dei Comitati Civici il 30 gennaio 1965, in cui il Pontefice delinea l’identità dell'organismo: «[...] «e i Comitati Civici che cosa sono?». Nasce uno strano dialogo: «“Siete un Partito politico?”. Risposta: “No, non siamo un Partito politico”. “Una corrente sociale?”. Risposta: “Nemmeno”. Allora: “Siete un’associazione cattolica?”. La risposta è ancora negativa: “Non siamo un’associazione cattolica, nel senso proprio della parola”. Che cosa siete allora: un Comitato elettorale? un blocco sociale? una agenzia “doxa”? una compagnia di pubblicità? un’espressione spontanea e momentanea di opinione pubblica? Chi siete?”». Nello stesso discorso, il Pontefice fornisce una risposta definitoria: «Oggi la vita pubblica riconosce ai cittadini molti diritti; e fra tutti importante è quello di scegliersi col voto i propri rappresentanti nelle magistrature amministrative e politiche, l’esercizio dei quali diritti dev’essere illuminato, libero ed ordinato; ed è opera di non piccolo merito educare e guidare il cittadino a tale esercizio. In pratica sarà vostro programma svolgere azione informativa e formativa fra le varie categorie sociali circa i problemi della vita civica; non sarete soli a far questo, concorrendo allo scopo molti altri fattori; ma laddove questi fattori (come la scuola, la stampa, i partiti) si diffonderanno a illustrare gli aspetti tecnici, economici, politici, giuridici di tali problemi, voi, senza trascurare questi aspetti stessi, avrete cura di metterne in evidenza gli aspetti superiori, che sono quelli morali; e vi farete onore e dovere di collegare tali insegnamenti con la dottrina sociale della Chiesa, da cui tanta luce, tanta sicurezza, tanto vigore possono scaturire per chi l’accoglie con attenzione e fiducia».
   Parole importanti, purtroppo pronunciate quando i Comitati Civici sostanzialmente non occupavano più un ruolo rilevante nella vita pubblica italiana. Come mi dirà Luigi Gedda, erano stati «silenziati» dalla DC, e nel mondo cattolico venivano visti come un ostacolo all’«apertura a sinistra» in corso a livello politico, culturale e governativo dopo le sommosse di piazza promosse dal PCI a Genova e nel resto d’Italia nel luglio 1960, che avevano provocato la caduta del governo guidato da Fernando Tambroni (1901-1963), che si avvaleva del voto favorevole dei partiti di destra, e di fatto segnato l’inizio del coinvolgimento nel governo del Partito Socialista Italiano. La documentazione disponibile nell’archivio Gedda non segnala particolari atteggiamenti assunti in quel frangente dai Comitati Civici – che peraltro non avevano mai operato sul piano direttamente politico — ma una busta intitolata «Ordine Civile» riporta la promozione che i Comitati Civici fecero per diffondere la rivista diretta da Gianni Baget Bozzo, nata nel 1959 come espressione di un movimento che voleva appunto opporsi all’apertura a sinistra da parte del mondo cattolico.

8. La decadenza e il «silenzio» coatto

   In assenza dell’eventuale riscontro della documentazione archivistica, restano molti dubbi sulle cause della decadenza dei Comitati Civici, i quali — secondo un’espressione dello stesso Gedda già ricordata, che continuava ad avere l’appoggio di Papa Pio XII e fu presidente generale dell’ACI dal 1952 al 1959 — verranno «silenziati» dalla DC. Non è ancora chiaro perché tale partito, almeno nella prima legislatura, non abbia manifestato un forte atteggiamento favorevole verso l’azione dei Comitati Civici, sebbene molti deputati eletti nel 1948 provenissero dalle file dell’ACI e le loro candidature fossero state concordate dallo stesso Gedda con i massimi dirigenti del partito stesso. Probabilmente il vertice della DC aveva una «sponda» ecclesiastica molto forte, tale da contrastare anche l’influenza del Pontefice, e comunque con la segreteria dell’on. Amintore Fanfani (1908-1999), a partire dal 1954, il partito riuscirà a dotarsi di una struttura interna e di strumenti di sostegno che consentiranno a esso di poter fare largamente a meno dell’attività propagandistica e di mobilitazione degli organismi del mondo cattolico e quindi pure dei Comitati Civici. Senza dubbio anche l’elezione di Gedda alla presidenza generale dell’ACI toglie ai Comitati Civici gran parte del tempo del loro ispiratore e principale leader, riducendone le potenzialità e lasciando di fatto all’ACI il compito di esercitare una pressione politica sul partito di maggioranza.
   Al fine di rispondere a queste domande s’impone agli storici il compito di studiare, fra l’altro, le caratteristiche dei corsi di formazione promossi dai Comitati Civici, anche per verificare il fondamento dell’accusa, rivolta a Gedda e alla sua conduzione dell’ACI, che tocca indirettamente anche i Comitati Civici, di curare soltanto gli aspetti «di massa» dell’apostolato — come le manifestazioni oceaniche al cospetto del Pontefice in piazza San Pietro o l’enfasi posta sulla continua crescita del numero degl’iscritti —, a scapito della formazione personale e spirituale. Gedda ha fornito alcune risposte sia nelle Memorie pubblicate in occasione del cinquantesimo anniversario della fondazione dei Comitati Civici e della vittoria elettorale del 18 aprile 1948, sia in altra sede, precisando che «[...] la divergenza di fondo con i democristiani dipendeva dalla loro convinzione che il comunismo avrebbe ineluttabilmente conquistato il potere e che il problema dunque era quello di cercare fin da subito forme di coesistenza con il futuro vincitore».

   Per approfondire: forse l’unica opera di carattere generale sul ruolo svolto dai Comitati Civici nelle elezioni del 18 aprile è l’ampio lavoro di oltre 500 pagine di Mario Casella, 18 aprile 1948. La mobilitazione delle organizzazioni cattoliche, Congedo, Galatina (Lecce) 1992; sempre dello stesso autore Per una storia dei rapporti tra Azione Cattolica e Democrazia Cristiana nell’età del centrismo (1947-1953), in AA.VV, De Gasperi e l’età del centrismo (1947-1953), Cinque Lune, Roma 1984, a cura di Giuseppe Rossini, pp. 271-293; cfr. anche Gianfranco Maggi, voce Comitati Civici, in Dizionario storico del movimento cattolico in Italia 1860-1980, vol. I/2, I fatti e le idee, Marietti, Casale Monferrato (Alessandria) 1981, pp. 207-209. Vedi pure Luigi Gedda, 18 aprile 1948. Memorie inedite dell’artefice della sconfitta del Fronte Popolare, Mondadori, Milano 1998; e i miei Democrazia Cristiana e mondo cattolico nell’epoca del centrismo (1947-1953), in Cristianità, anno XXVI, n. 277, maggio 1998, pp. 19-23; e 18 aprile 1948. Memorie inedite dell’artefice della sconfitta del Fronte Popolare, ibid., anno XXVI, n. 281, settembre 1998, pp. 13-16. La sede cui faccio riferimento in fine è una conversazione che ho avuto con il professor Gedda, a Roma, presso l’Istituto Gregorio Mendel, nel 1991. Utile strumento per conoscere storia e caratteristiche dei Comitati Civici è il mensile Collegamento dei comitati civici, uscito a Roma dal giugno 1948 al 1971, del quale sono disponibili alcune annate presso la biblioteca dell’Università Cattolica di Milano. Utile mi è stata la consultazione dell’Archivio Gedda della casa Getsemani di Casale Corte Cerro, attualmente riordinato e disponibile alla consultazione presso la Fondazione Vittorino Colombo di Milano. Tuttavia questo non può essere l’unico archivio esistente su Gedda e sui Comitati Civici. Un’opera ricca di informazioni, sempre da verificare trattandosi di un libro fortemente astioso nei confronti del fondatore dei Comitati Civici è quella di Carlo Falconi, Gedda e l’Azione Cattolica, Parenti, Firenze 1958.

APPENDICE

  A. Cosa sono i Comitati Civici?

«L’esistenza e l’azione dei Comitati Civici hanno recato un insegnamento fondamentale ai cattolici italiani impegnati ad assolvere un dovere elettorale: non è sufficiente l’esistenza di uno o più partiti di ispirazione cristiana, ma è necessario che esista una struttura politica non partitica in ogni diocesi, cioè che esistano un Comitato nazionale e dei Comitati diocesani composti da cattolici autentici e non interessati a una candidatura personale, Comitati intesi ad eseguire con scrupolo le direttive del proprio Vescovo, a vagliare e proporre agli elettori candidature conformi a tali direttive, le quali ovviamente sono dettate in prima istanza dal Primate d’Italia» (Luigi Gedda, Memorie, pp. 126-127)

B. Il tipo di lavoro svolto dai Comitati Civici

«Il cittadino cui manchi una coscienza civica tende a sottrarsi ad un’azione formativa perché ovviamente non ne apprezza l’importanza. Per rompere tale circolo vizioso, cioè per somministrargli le prime dosi di “formazione” occorre cogliere le occasioni che creano, nel calore di una “competizione”, il clima necessario al superamento della specifica inerzia. Da tale punto di vista la campagna elettorale acquista per noi particolare valore ed in tale senso i dirigenti devono sentirla ed impegnarvisi. Il carattere fondamentale della nostra azione in questa già accesa vigilia, si può sintetizzare in una espressione: “Diffondere la verità” [...]
Della propaganda, o diffusione della verità, noi dobbiamo potenziare soprattutto le forme capillari, il contatto di uomo a uomo, il solo capace di creare delle convinzioni. La propaganda «di massa», pur insostituibile nelle sue varie forme, raggiunge ben presto dei limiti di saturazione, anche perché costretta a scegliere tra l’impostazione di convincimento dell’avversario ed il tono polemico e forte adatto ai dubbiosi o per accentuare la necessità di coesione di fronte alla gravità del comune pericolo»
. (Ugo Sciascia, Esame di maturità civica, in Collegamento, anno VI, n. 3, marzo 1953)

[Pubblicato il 7-2-2005]

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