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a cura dell’Istituto Storico dell’Insorgenza e per l’Identità Nazionale


inserito il 1 dicembre 2010


Marco Invernizzi


Le origini della nuova evangelizzazione negli anni Cinquanta del secolo scorso?


L’istituzione, lo scorso 12 ottobre, del Pontificio Consiglio per la Promozione della Nuova Evangelizzazione ha riportato l’attenzione su questo termine "nuova evangelizzazione", così frequente nel magistero di Giovanni Paolo II (1920; 1978-2005), e sul suo significato.

Che cosa significa "nuova evangeliz­zazione"? Quando comincia a essere utilizzato il termine?

Sappiamo che papa Wojtyła ne illustrň il significato durante il suo primo viaggio apostolico in Polonia, nel 1979, in particolare quando parlò a Nowa Huta, la "nuova città operaia" fondata nei pressi di Cracovia, che doveva diventare un modello per il mondo comunista, e doveva essere senza chiesa, perché la religione non era più necessaria nel "nuovo mondo", mentre invece diventò il luogo dove appunto emblematicamente venne annunciata una nuova azione evangelizzatrice.

Sappiamo anche che il tema è stato illustrato nell’esortazione apostolica Christifideles laici del 1988, nell’enciclica sulla missionarietà Redemptoris missio del 1990, senza dimenticare che appare anche in documenti precedenti al papa polacco. Ne parlano infatti il primo discorso del beato Giovanni XXIII (1881; 1958-1963) all’inaugurazione del Concilio Vaticano II, l’11 ottobre 1962, nonché l’esortazione apostolica Evangelii nuntiandi di Paolo VI (1897; 1963-1978), emessa nel 1975. Questi documenti, nonostante il termine non vi appaia letteralmente, possono essere considerati come anticipatori del significato che vi darà papa Giovanni Paolo.

Se guardiamo agli anni 1950, vediamo tuttavia che già allora vi è qualcosa d’inerente al tema.

Il 1950 è un anno importante per la Chiesa. È un Anno Santo, innanzitutto, che segue solo di due anni la vittoria elettorale cattolica del 18 aprile 1948 in Italia, che fu la vittoria di una civiltà, prima ancora che di un partito politico. Si tratta di un periodo ambiguo, nel quale in diversi Paesi europei sembra di assistere a un ritorno alla fede e addirittura a regimi di "cristianità", dopo l’ubriacatura ideologica il cui frutto è stata la Seconda Guerra Mondiale. Contemporaneamente molti cominciano ad avvertire allora in modo esplicito che una grande crisi sta investendo la Chiesa, apparentemente ancora forte e radicata, ma in alcuni Paesi già marginale e spesso incapace di evangelizzare coloro che si sono allontanati dalla fede.

Fra chi avverte la crisi c’è il teologo di Lucerna — e poi, negli ultimi anni, cardinale — Hans Urs von Balthasar (1905-1988), che nel 1952 pubblica il suo celebre scritto Abbattere i bastioni (oggi pubblicato in La percezione dell’amore. Abbattere i bastioni e Solo l’amore è credibile, cura e introduzione di Elio Guerriero, Jaca Book, Milano 2010).

In questi anni, in Italia, il medico e dirigente dei neo-costituiti Comitati Civici Luigi Gedda (1902-2000), l’artefice del successo del 18 aprile, considerato dai più soltanto come un abile organizzatore e persona incapace di cogliere i "segni dei tempi", si preoccupava già di una nuova fase, che mettesse a frutto l’exploit cattolico.

Se ne cominciò a parlare nel suo ambiente intorno al Natale del 1948 e l’iniziativa divenne operativa nel 1949, dopo la nomina di Gedda a vicepresidente nazionale dell’Azione Cattolica (Aci). L’idea era quella di favorire il ritorno alla fede cattolica e alla Chiesa dei comunisti che l’avevano abbandonata oppure l’avevano poco o per niente conosciuta: l’iniziativa prese così il nome di Crociata per il Gran Ritorno e il Gran Perdono. Dopo il 18 aprile, dopo la scomunica comminata il 1° luglio 1949 dal Sant’Uffizio — l’attuale Congregazione per la Dottrina della Fede — ai fedeli che difendevano o propagandavano la dottrina del comunismo, il fondatore dei Comitati Civici si mise all’opera con altri per dar corpo all’idea. L’occasione sarebbe stata il prossimo Anno Santo, appunto quello del 1950. Ottenuto il placet della giunta centrale dell’Aci, Gedda e l’assistente generale mons. Giovanni Urbani (1900-1969) riunirono i dirigenti nazionale dell’associazione per una "tre giorni" che illustrasse l’iniziativa. Il teologo, poi cardinale, Pietro Parente (1891-1986) tenne in quell’occasione tre interventi, rispettivamente intitolati Volto ascetico individuale dell’Anno Santo, Volto apostolico dell’Anno Santo e Il Decreto del S. Uffizio contro il comunismo.

L’iniziativa venne prolungata sino alla fine del 1950. Lo studioso del movimento cattolico Mario Casella ha raccolto dall’archivio dell’Aci e pubblicato molte delle relazioni giunte a Roma dalle sedi locali, aiutando così a comprendere meglio il comune sentire dell’associazionismo cattolico del tempo (1).

Su questa operazione s’impone una prima riflessione. L’artefice del 18 aprile non era soltanto un uomo di organizzazione, come spesso viene riduttivamente presentato, né soltanto un militante impegnato nell’anticomunismo. Il suo progetto e i suoi desideri andavano evidentemente anche in un’altra e più realistica direzione, che per certi versi anticipava esigenze poi riprese dall’appello alla nuova evangelizzazione. E chi allora più dei comunisti — sconfitti — aveva bisogno di essere rievangelizzato?

Importanti sono le due premesse che Gedda espone il 29 ottobre alla riunione della giunta: "1) l’azione non può essere portata alla periferia con i colori sgargianti di altre campagne, questa volta deve essere circondata da un alone di riserva, di grande delicatezza; 2) deve avere una impronta nettamente religiosa, evitando la confusione dei piani (sindacale, politico)" (2).

Noi oggi facciamo fatica a comprendere veramente la continuità che caratterizza la storia della Chiesa. Pensiamo di essere noi contemporanei i soli ad avere desideri di rievangelizzazione, come se cinquant’anni fa queste preoccupazioni non fossero esistite. E ci dimentichiamo che l’idea di una nuova evangelizzazione del mondo occidentale è maturata lentamente e progressivamente, come testimonia la lettura del magistero precedente i documenti del Concilio Vaticano II (1962-1965). Il fatto che allora vi fossero ancora "brandelli" di cristianità che i cattolici dovevano difendere non significa che non fosse già sentita l’esigenza di una seconda azione evangelizzatrice. Così come, al contrario, questa esigenza non ci deve esimere dal difendere quanto di cristiano esiste ancora, nella misura in cui sopravvive, nel mondo contemporaneo.

 

 

(1) Cfr. Mario Casella, L’Anno Santo del 1950, l’Azione Cattolica e la "Crociata del gran ritorno". Lettere e relazioni da diocesi e parrocchie dell’Italia settentrionale e centrale, preceduta da una breve presentazione, apparso in tre numeri della rivista Ricerche di storia sociale e religiosa (rispettivamente, anno XXXVII, n. 74, luglio-dicembre 2008, pp. 203-248; n. 75, gennaio-giugno 2009, pp. 135-173; e n. 76, luglio-dicembre 2009, pp. 211-281); cfr. anche Idem, L’Azione cattolica e l’Anno Santo del 1950: la "crociata per il gran ritorno e il gran perdono", in Rassegna storica lucana, anno XXVII, nn. 45-46, gennaio-dicembre 2007, pp. 77-237; nonché Idem, Religione e politica nell’Azione cattolica di Luigi Gedda (1952-1959), in Bollettino dell’archivio per la storia del movimento sociale cattolico in Italia, anno XLIV

(2) Idem, L’Azione cattolica e l’Anno Santo del 1950: la "crociata per il gran ritorno e il gran perdono", cit., p. 81., n. 2, maggio-agosto 2009, pp. 191-252).


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