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RECENSIONI



PIETRO CALÀ ULLOA, Unione non unità d’Italia, con una prefazione di Corrado Augias e una postfazione di Carmelo Pasimeni, ARGO, Lecce 1998, p. 103.


Pochi giorni dopo la sconfitta di Giuseppe Garibaldi (1807-1882) a Mentana, nel Lazio, (3 novembre 1867) a opera di un contingente formato da soldati pontifici e francesi, il marchese Pietro Calà Ulloa (1801-1879), ufficiale dell’esercito napoletano, magistrato e amico di Francesco II delle Due Sicilie (1836-1894), scrive un agile pamphlet, nel quale prende spunto dalla nuova congiuntura storica per sviluppare alcune riflessioni sulla situazione politico-militare dell’Italia di allora.

Il libretto viene steso in francese ed è indirizzato agli alti vertici del governo parigino, con l’intento non dichiarato, ma facilmente rintracciabile, di sottoporre alla valutazione di Napoleone III (1808-1873) la possibilità di non vanificare la vittoria di Mentana e di imprimere una svolta federalista alla questione dell’unità nazionale italiana, impedendo l’assorbimento dello Stato Pontificio nella compagine del neonato Regno d’Italia.

La scelta seguita dal nuovo governo italiano di procedere all’annessione di Roma manu militari servendosi delle formazioni volontarie di Garibaldi rappresentava infatti l’ennesimo tentativo per eliminare l’ultimo ostacolo frapposto alla realizzazione dell’unificazione della Penisola sotto la monarchia sabauda: Roma, ancora possedimento del Papa. Il fallimento di quel tentativo nelle campagne di Mentana aveva posto il governo italiano in una situazione non facile, dal momento che l’azione militare si era rivelata inadeguata a risolvere un problema rimasto insoluto già a livello diplomatico, attraverso ben cinque tentativi di mediazione portati avanti senza successo da illustri personaggi di area liberale e cattolica.

In questo momento di incertezza politica, secondo il marchese napoletano, proprio la Francia, intervenuta a Mentana con un contingente di soldati per salvare Roma, deve farsi paladina della difesa del Papa dalle pretese annessionistiche italiane. La salvaguardia del potere temporale del Papa, però, comporta come necessaria conseguenza, il mantenimento dell’ultima barriera che impedisce alla monarchia italiana di realizzare l’unità; se decidesse di salvare il papato, la Francia comprometterebbe quindi il compimento del processo dell’unificazione nazionale, favorendo un ritorno allo spirito dell’armistizio di Villafranca (Verona) e del successivo trattato di Zurigo (1859), che stabilivano l’unione della Penisola nella forma di confederazione sotto la presidenza onoraria del Papa che avrebbe conservato i propri Stati.

Una soluzione in senso federalista della Questione Romana, che riporti la politica italiana lungo la strada intrapresa a Zurigo e poi subito abbandonata, sarebbe giustificata anche da ragioni di ordine storico: l’Italia, scrive Calà Ulloa, «[...] è cresciuta all’ombra del soglio di Pietro» (p. 37) e la compagine di popoli diversi presente al suo interno trova un collante di unità soltanto nell’appartenenza alla religione cattolica e nel comune riferimento alla vicina Roma, capitale della cristianità.

Ma, al di là delle ragioni storiche, nella contingenza politica del momento, un intervento francese a favore del Papa si renderebbe più che mai necessario perché, secondo il marchese, il governo italiano «[...] esiste solo a condizione di essere il braccio della rivoluzione» (p. 61) e, di fronte alla sconfitta garibaldina di Mentana, si orienta sempre più verso la conquista di Roma.

Non solo: secondo Calà Ulloa, la monarchia italiana, per raggiungere questo obiettivo, starebbe ormai guardando con favore a un’alleanza con la Prussia di Otto von Bismarck (1815-1898), in funzione anti-francese. Per questo, se l’Impero francese ponesse fine al disegno di casa Savoia di unificare la penisola italiana in un’unica monarchia e restaurasse i legittimi sovrani, eliminerebbe dalla scena politica internazionale un possibile alleato della Prussia in caso di guerra sul confine del Reno e si assicurerebbe l’amicizia con l’Impero e con tutti gli Stati della penisola italiana.

Napoleone III ha letto le riflessioni di Calà Ulloa? Non lo sappiamo. è certo comunque che l’imperatore francese, se mai si è interessato alle soluzioni prospettate dal marchese napoletano, deve averle abbandonate nel giro di pochi anni, visto che, come è noto, la politica internazionale francese, dopo Mentana, correrà su binari completamente diversi. Infatti, nell’imminenza dello scoppio della guerra con la Prussia, per rafforzare la Francia in funzione anti-prussiana, Napoleone III non cerca l’amicizia del Papa e dei principi spodestati della penisola italiana, ma cede alle pressioni del governo italiano, ritirando da Roma la guarnigione di cinquemila unità, in cambio della promessa dell’appoggio da parte di centomila soldati italiani sulla frontiera del Reno.

Lo Stato pontificio, abbandonato dalla Francia, resta così alla mercé dell’esercito italiano al comando del generale Raffaele Cadorna (1815-1897) che il 20 settembre 1870 irrompe in Roma, determinando di fatto l’annessione dello Stato della Chiesa al Regno d’Italia. Intanto Napoleone III, che non ottiene i centomila soldati che gli erano stati promessi in cambio dell’abbandono di Roma, osserva da estraneo le vicende della Città Santa e concentra i suoi sforzi bellici in una guerra dalla quale uscirà sconfitto.

Il marchese Pietro Calà Ulloa muore nel 1879 e quindi fa in tempo a verificare che lo sviluppo degli equilibri internazionali e della situazione politica della Penisola avviene in netto contrasto con quanto da lui auspicato nello scritto del 1867. Tuttavia non ci sembra possibile consentire con Corrado Augias quando, nella prefazione al libro, definisce «ingenua» la valutazione fatta da Calà Ulloa delle forze in campo, così come la speranza che il processo unitario possa retrocedere.

Infatti, lungi dal chiudere gli occhi su quanto stava avvenendo, egli intuisce che, all’indomani di Mentana, il governo italiano non solo non intende rinunciare a Roma, ma ritiene che il modo migliore per impadronirsene sia quello di giungere a un accordo diplomatico con la Francia. Del resto, scrive, «[...] a Firenze si crede che la Francia col suo intervento ha voluto soltanto impedire una soluzione rivoluzionaria, ma che la vorrà risolvere diplomaticamente nel senso delle aspirazioni e delle cupidigie italiane» (p. 66).

Alla luce di queste chiarificazioni, come valutare il pensiero di un autore che da un lato auspica un’Italia federata sotto la presidenza del Papa, ma che dall’altro lato sa che gli orientamenti politici della Francia compromettono un ritorno allo spirito del trattato di Zurigo?

Forse a rendere vive le pagine del marchese napoletano non è tanto la prospettata soluzione federalista della questione dell’unità d’Italia — peraltro ampiamente e diversamente teorizzata da autori come Antonio Rosmini Serbati (1797-1855), Vincenzo Gioberti (1801-1855), Giuseppe Ferrari (1811-1876) e Carlo Cattaneo (1801-1869) —, quanto la percezione della «posta in gioco», che Calà Ulloa ritiene stare alla base del progetto di casa Savoia di unificare l’Italia sotto la propria dinastia e di far scomparire il potere temporale del Papa: se il Regno d’Italia nella sua fisionomia voluta dai Savoia non crolla, scrive Calà Ulloa, «[...] sarà la rivoluzione a intonare l’inno del trionfo. E l’Europa deve aver compreso ormai che la rivoluzione italiana è cosmopolita. Se non si dissolve questa unità innaturale di elementi eterogenei, si scriverà la parola fine alla sovranità dei papi e con questa alla civiltà e alla libertà. Sarà la rivolta luterana nel suo sviluppo finale, che, con la distruzione del potere temporale, farà concentrare le forze sociali nelle mani del solo potere politico» (p. 85).

La questione della federazione italiana, quindi, non attiene soltanto alla sfera politica, ma investe prima di tutto la sfera religiosa e civile. Proprio in difesa di un ordine civile che trae dalla religione cattolica la sua linfa vitale, Pietro Calà Ulloa ha voluto scrivere un ultimo accorato appello.


Giuseppe Bonvegna



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