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a cura dell’Istituto Storico dell’Insorgenza e per l’Identità Nazionale


inserito il 9 maggio 2010



RECENSIONI


MIKE RAPPORT, 1848. L'anno della Rivoluzione, trad. it., Laterza, Roma-Bari 2008, 580 pp., € 24,00.


Il centocinquantesimo anniversario delle rivoluzioni del 1848-1849 è stato occasione per riprendere gli studi su un periodo significativo della storia europea. Fra questi va segnalata l’opera di sintesi di Mike Rapport, storico inglese, docente al Dipartimento di Storia dell’Università di Stirling, in Scozia, e buon conoscitore della storia francese, essendo stato segretario della Società per gli studi della storia francese dal 2000 al 2005 e redattore della rivista French History.

La rivoluzione del 1848 viene affrontata sia analiticamente, Stato per Stato, sia con considerazioni generali che consentono una valutazione complessiva degli avvenimenti. Le cause delle sollevazioni vengono individuate in una serie complessa di fattori, fra cui una recessione commerciale a carattere ciclico, che si somma a una stagione di scarsi raccolti, innescando una fase che avrebbe preso il nome della "fame degli anni Quaranta"; la percezione che i sistemi politici esistenti non fossero in grado di rappresentare le esigenze e di tutelare gli interessi di alcuni gruppi sociali, come gli artigiani e i fabbricanti, e degli esponenti dei ceti medi istruiti, quali gli avvocati e i funzionari, i quali, pur temendo le sollevazioni, alla fine avrebbero condiviso alcuni obbiettivi dei rivoluzionari; la diffusa richiesta di riforme avanzata soprattutto da settori privi di un’adeguata rappresentanza politica. Tutto ciò determina — nonostante le differenze economiche regionali e la variegata tipologia della struttura sociale e delle istituzioni politiche del continente — un diffuso senso di angoscia, anche per l’incapacità dei governi di contrastare la crisi generale —, e la sensazione che si aprisse la possibilità di un cambiamento politico. Probabilmente non furono i rivoluzionari a creare le condizioni delle sollevazioni popolari, ma al momento opportuno essi erano pronti e in grado di mobilitare un congruo numero di attivisti per l’azione insurrezionale.

"La rivoluzione europea del 1848 fu essenzialmente policentrica, e si espresse in una serie di varianti locali del liberalismo, tenute insieme da estese e significative somiglianze per quanto riguarda gli obiettivi perseguiti, le modalità con cui le rivoluzioni stesse si svolsero e i problemi che i nuovi regimi liberali dovettero affrontare" (p. 518).

La coesione iniziale verrà meno a causa soprattutto della questione nazionale, dal momento che i liberali avrebbero sostenuto presto le aspirazioni delle rispettive nazionalità, e della questione sociale, "[…] vale a dire la povertà e il dissesto provocati dalle dolorose trasformazioni economiche che stavano avvenendo" (p. 42), che avrebbe spaventato i conservatori, la cui carta vincente sarà la tranquillità delle popolazioni rurali e la loro ostilità, in alcuni casi decisiva, alla rivoluzione.

Francesco Pappalardo

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