Come...  contattarci | contribuire |associarsi |acquistare libri | iscriversi alla newsletter 

oggi è  


a cura dell’Istituto Storico dell’Insorgenza e per l’Identità Nazionale





RECENSIONI



Massimo Introvigne-J.[ames] Gordon Melton, L’ebraismo moderno, Elledici, Leumann (Torino) 2004, pp. 240; Massimo Introvigne, Cattolici, antisemitismo e sangue. Il mito dell’omicidio rituale, in appendice il voto del cardinale Lorenzo Ganganelli, O.F.M. (poi papa Clemente XIV) approvato il 24 dicembre 1759, Sugarco, Milano 2004, pp. 144.


Massimo Introvigne ha il raro dono di conciliare l’abbondanza della produzione saggistica con un rigore scientifico fuori dal comune. Questo giudizio trova conferma nella lettura di due suoi recenti lavori, uno scritto in collaborazione con lo storico americano James Gordon Melton, l’altro da solo, che si possono vedere come frutti di un unico sforzo di accostamento al problema spinosissimo dell’ebraismo. Mentre il primo saggio tenta una descrizione dell’ebraismo moderno come fenomeno generale, l’altro è dedicato a un aspetto del fenomeno principale, ovvero al rapporto fra cristianesimo ed ebraismo, così come si può leggere alla luce di una delle accuse più infamanti rivolte da cristiani ad ebrei, cioè di essere questi ultimi dediti all’uccisione di cristiani, per lo più bambini, per berne ritualmente il sangue, praticando così il cosiddetto «omicidio rituale». L’ebraismo, ossia «[…] la cultura — e la religione, ma le relazioni fra i due termini andranno precisate — del popolo ebraico» (p. 5), è una realtà multiforme, connotata da una lunghissima storia e che per più di un aspetto si rivela di non facile penetrazione, sì che non pochi sono gli aspetti di esso ancora da illuminare adeguatamente. In più le problematiche a esso inerenti hanno la particolarità non trascurabile di non essere meramente teoriche, ma di avere forti implicazioni sul piano storiografico e religioso — un esempio: la beatificazione di Pio XII —, come pure politico — per esempio, il giudizio sullo Stato d’Israele —, nonché, dopo l’Olocausto, su quello emotivo.

Su tutta questa complessa materia — non è facile distinguere, per esempio, fra talmudismo e toraismo, oppure dire qual è la differenza fra askhenaziti e sefarditi, o, ancora, che cos’è l’hassidismo o chi sono i khazari o i falascià, i caraiti o i cabalisti, che cosa distingua l’anti-giudaismo dall’anti-semitismo, dall’anti-sionismo — l’analisi di Introvigne non pretende, come da statuto della disciplina sociologica, di dare un giudizio. Essa si limita a descrivere con dovizia e rigore di termini, la vastissima gamma di realtà, che va sotto il nome di ebraismo, dando conto della identità delle sue singole componenti, individuandone le peculiarità culturali — «misticismo» piuttosto che legalismo, talmudismo piuttosto che toraismo, «cabalismo» piuttosto che razionalismo, carisma piuttosto che istituzione —, la presenza territoriale e geografica dei gruppi che a esse si rifanno, il disuguale stadio di sviluppo e la prevista evoluzione di ciascuna, il peso, le dinamiche di azione e il grado d’incidenza di ciascuna aggregazione nella società odierna, nelle varie derive, infine, neo-religiose e movimentistiche, cui si trovano esposte.

Dopo un’ampia introduzione, che prende in esame le vicende dell’ebraismo dalla Diaspora in poi, Introvigne si sofferma sull’evento epocale costituito dalla pur disomogenea e non sempre definitiva emancipazione — l’Haskalah — delle comunità ebraiche europee e occidentali, che si verifica in Europa occidentale — nella parte orientale vincoli giuridici alle comunità ebraiche si rinverranno fino ai primi decenni del 1900 — nella seconda metà del secolo XVIII, in conseguenza delle riforme illuministiche e del trionfo delle idee rivoluzionarie francesi. Questo evento, in sé positivo, influenza in maniera determinante la genesi e la fisionomia dell’ebraismo moderno, innescandone nel contempo la problematicità di cui soffrirà fino in epoca recente.
Dall’impatto, in fasi successive, di questa apertura-confronto con la modernità, in seno al mondo ebraico, secondo il sociologo torinese, si verranno a creare in sostanza cinque grandi aree (e una deriva neo-religiosa). In primo luogo, la secolarizzazione della società e la caduta di ogni protezione comunitaria, fa sì che nel tempo un gran numero di ebrei conservino ancora un certo senso di appartenenza all’ebraismo, ma abbandonino ogni vincolo e pratica religiosi. Fra quelli religiosi si possono invece identificare una corrente di ebrei cosiddetti «riformati», cui si oppone una «destra» religiosa, rappresentata dai cosiddetti «ortodossi», che rifiuta in forme diverse, la modernità religiosa introdotta due secoli fa. Fra queste due linee si situa da qualche tempo una corrente cosiddetta «conservatrice», in un certo senso intermedia fra le due. Infine, anche il mondo ebraico, come quello delle denominazioni religiose più diffuse, secondo Introvigne, risentirebbe negli ultimi decenni di tendenze analoghe a quelle dei nuovi movimenti religiosi, che assumono nel caso dell’ebraismo connotati originali. Ciascuna di queste realtà, di cui Introvigne fornisce un identikit storico-sociologico dettagliatissimo e aggiornato, è a sua volta ricchissima di sfumature e di articolazioni, con frequenti intrecci di elementi fra le diverse aree, sì che l’identificazione delle appartenenze risulta tutt’altro che facile. Non è ovviamente possibile segnalare in questa sede tutte le diverse tessere del mosaico che Introvigne ricostruisce con accurata meticolosità. Particolarmente innovativa e importante pare l’analisi che egli fa di quell’ebraismo «conservatore», soprattutto americano, venuto di recente alla ribalta delle cronache, anche per le sue vedute contro-corrente sulla questione dell’atteggiamento di Pio XII verso l’Olocausto ebraico europeo del 1940-1945.

Nel lavoro che Introvigne dedica invece all’«accusa del sangue» vengono presi in esame i più noti «casi» storici di omicidio rituale avvenuti per lo più nell’area culturale occidentale, dal Medioevo a tempi ancora recenti. Non si tratta anche qui di un argomento facile. Se è difficile ripercorrere il vero andamento di fatti ormai lontani, sottolinea Introvigne, «sappiamo però con ragionevole certezza storica che cosa non è successo negli episodi» (p. 12) medesimi. E la certezza che non vi siano state uccisioni di cristiani adulti o bambini per utilizzarne ritualmente il sangue discende quasi automaticamente dalla constatazione che per gli ebrei è assolutamente proibito l’assumere il sangue di qualsiasi animale, come rivelano anche le accurate prescrizioni rituali riguardo alla macellazione delle carni destinate all’alimentazione. Né l’attrazione per il sangue di cristiani nell’intento di partecipare in qualche modo ai benefici redentivi pare meglio motivata, se si tiene conto che per l’ebreo la redenzione cristiana semplicemente non ha senso. Peraltro, è sempre esistito storicamente il fenomeno del rapimento di bambini per asservirli o per scopi ignobili, così come omicidi di cristiani possono essere maturati all’interno della plurisecolare frizione fra le due comunità in più di un luogo. In nessuno dei casi studiati si è avuta la certezza che i colpevoli designati dal furor populi fossero i reali responsabili dei delitti. Nel caso dei crimini storicamente registrati come «rituali» si tratta viceversa di un autentico mito che ha preso corpo e si è radicato per lungo tempo — fino oltre la prima metà del XX secolo — all’interno di un certo cristianesimo popolare, riuscendo a far breccia presso alcune autorità civili e religiose locali — in genere scettici e poco inclini alla persecuzione — e culminando in tenaci culti locali, protrattisi in certi casi fino agli anni 1960, di alcuni presunti piccoli “martiri” dell’omicidio rituale, come lo spagnolo Domenichino del Val — antenato medievale del cardinale Rafael Merry del Val (1865-1930), segretario di Stato di san Pio X (1903-1914) —, e Simonino di Trento (1475), inserito nel Martirologio Romano nel 1584, dell’abbandono dei quali la Chiesa si è fatta decisa promotrice dopo il Concilio Vaticano II. Quale atteggiamento ha tenuto la Chiesa di fronte a questo fenomeno? A differenza di quanto si può credere la Chiesa di Roma, pur nella sua secolare contesa con l’ebraismo, non ha mai considerato legittimo, e ha condannato fin dal suo primo manifestarsi questo modus agendi anti-giudaico. Se si sono create isole nel tempo e nello spazio in cui esso è nato e si è sviluppate e conservato, ciò è avvenuto contro le indicazioni delle autorità religiose centrali e quello che resta da spiegare storicamente non è se tali indicazioni vi furono, ma, invece, perché esse sono state in certi casi disattese. Una fra le prime considerazioni che s’impongono è quella che il potere di disciplina intra-ecclesiale, in tempi come quelli in cui si verificano i presunti casi di omicidio rituale, è assai più tenue che non in epoca contemporanea e che se allora un vescovo voleva resistere a Roma, era assai difficile opporvisi. L’esempio più clamoroso sia di questa linea ecclesiale, sia del suo sostanziale rigetto è un ampio e pregevole documento, un «voto» — o parere —, finora ignoto, redatto nel 1758 dal cardinale Vincenzo Ganganelli, il futuro pontefice Clemente XIV (1769-1774), allora consultore del Santo Uffizio, da sottoporre all’assemblea della Congregazione, nel quale suggerisce motivatamente di evitare di dar seguito a qualsiasi tendenza anti-giudaica estrema, che sostenga l’esistenza dell’omicidio rituale o che addirittura ne promuova la contestazione ad ebrei. L’accusa del sangue infatti non solo sopravvive, ma finirà per trovare udienza, anche se con diversa gradazione, all’interno di ambienti intellettuali cattolici otto e novecenteschi, contaminati da tendenze anti-semitiche, assimilate da strati dell’animo europeo fortemente influenzati quanto meno da una certa declinazione della modernità, che non di rado interpretano la Rivoluzione moderna alla luce di una sorta di determinismo complottardo, riducendola a rango di congiura, il cui successo sarebbe visto dagli ebrei come l’adempimento di malintese profezie scritturali e come un arbitrario rovesciamento dell’elezione del popolo ebraico sul mero piano temporale e imperialistico.

La prima importante conclusione che si può trarre dai dati che Introvigne, da sociologo, mette sul tappeto, è che la Rivoluzione del 1789 non è un prodotto dell’ebraismo post-settecentesco, ma colpisce e influenza e divide l’ebraismo stesso, così come attacca e divide le chiese cristiane e il cattolicesimo stesso, recidendone le propaggini socio-politiche. Il 1789 segna sì l’emancipazione delle comunità ebraiche dal diritto comune teologico, ma segna anche l’inizio, soprattutto nelle comunità europee occidentali, di una frantumazione profonda come mai prima. «[…] Tutte le tragedie storiche dell’anti-ebraismo cattolico — osserva Introvigne — derivano dalla sua incapacità di analizzare in profondità il mondo ebraico e di percepire quanto sia radicale il conflitto che la modernità ha creato anche all’interno dell’ebraismo» (p. 79).
In virtù di questa estrema diversificazione e disomogeneità dell’ebraismo moderno — e questo è il secondo punto da considerare — è privo di significato attribuire caratteri e intenzionalità, sia nel bene, sia in senso negativo, all’ebraismo come un soggetto unitario e compatto, così come vederlo come un’entità immune da evoluzioni cronologiche e da contaminazioni. «Fra un ebreo “secolarista” di Manhattan e un Satmar — o anche un Lubavitcher — di Brooklyn, fra una donna d’affari ebrea riformata di Los Angeles che marcia per l’orgoglio lesbico e simpatizza per il New Age e una ebrea di origini yemenite che vive insieme ad altre tre mogli nella casa di un marito cabalista, fra un sionista socialista di Tel Aviv e un harredi di Gerusalemme, fra un militante di origine marocchina del partito Shas e un ebreo russo che in Israele vota Shinui, ipotizzare una solidarietà e un’unità di intenti ultima appare — secondo Introvigne —, più che “complottista”, ridicolo» (p. 219). In questa luce perdono sempre più senso quelle prospettive storiografiche — oggi in Occidente confinate in ambienti di nicchia, ma alquanto in auge nel mondo islamico —, che sul modello del celebre apocrifo intitolato Protocolli dei Savi di Sion continuano a sostenere l’esistenza di un atteggiamento comune e coerente del mondo ebraico moderno, il quale agirebbe nei confronti della società cristiana — posto che esista ancora —, cercando attraverso più di una modalità — da quella della conquista dell’egemonia sociale ed economica a quella della una macchinazione segreta attuata egemonizzando organizzazioni massoniche — di sovvertirne l’assetto e di propiziarne la fine, per colpire in ultima istanza il cristianesimo stesso e la Chiesa. Questo non significa che non si possano vedere alcune figure o alcuni gruppi ebraici leggere le ideologie progressiste e rivoluzionarie come una sorta di messianismo secolarizzato, sul quale trasfondere — più o meno arbitrariamente — elementi dell’escatologia ebraica, e divenirne quindi protagonisti, anche attraverso l’affiliazione massonica. Ma altre realtà sono agiscono eventualmente nella stessa direzione e tutte sono soggette alla legge della varietà e dell’imprevisto che caratterizza la storia. Dall’analisi di Introvigne scaturisce anche una terza considerazione, cioè che, data questa frammentazione, che assume non di rado tratti antagonistici — già prima, ma nel mondo moderno e contemporaneo a maggior ragione —, è dubbio se vi sia qualcuno che ha titolo per parlare, in ultima istanza, a nome di tutti. Così come nell’islam, nell’ebraismo non esiste un organo istituzionalmente deputato a riunire o anche solo a rappresentare — lasciando da parte del tutto l’idea di un magistero comune — l’insieme di coloro che si definiscono ebrei. È Israele? sono le varie obbedienze religiose? sono le organizzazioni ebraiche? Se, per esempio, ancora oggi, dopo sessant’anni, Papa Pio XII, può essere esposto ad attacchi come responsabile unico e finale delle scelte del cattolicesimo degli anni della guerra e della Shoah, che dire del mondo ebraico? Per esempio, con specifico riguardo all’Olocausto, chi può dire se l’azione degli ebrei dei paesi liberi è stata insufficiente oppure adeguata? Quello delle organizzazioni ebraiche è un aspetto che forse lo studio lascia un po’ in ombra: ma il suo orizzonte è deliberatamente religioso. Tuttavia, sarebbe assai utile sapere quale sia stato e sia oggi il reale peso di associative come il World Jewish Congress, l’International Jewish Congress, l’Anti Defamation League, il B’nai Brith, l’Alliance Isräelite Universelle, e tante altre, che in diverse vicende storiche, dal «caso Mortara» all’Olocausto, lo storico le vede in azione.

Più raffinate, se si vuole, e certo più interne al dibattito teorico socio-religioso, le conclusioni che si evincono — e lo stesso studioso evince — dal secondo lavoro di Introvigne, che mette in evidenza il nesso fra diffusione dell’accusa di omicidio rituale e aree dell’Europa dei secolo XVI e XVII in cui la Chiesa cattolica è maggiormente esposta al conflitto con le comunità evangeliche, in un contesto in cui la tolleranza verso le minoranze interne alla cristianità si riduce, e dove si diffondono mitologie analoghe, come la stregoneria e il vampirismo, che la Chiesa si sforza di reprimere anche attraverso i suoi organi giudiziari. Ciò si ripete a maggior ragione dopo la Rivoluzione, quando un robusto schieramento anti-cristiano prende davvero corpo. La figura dell’ebreo ricco ed emancipato difficilmente riesce a sfuggire al novero dei nemici nell’immaginario collettivo e l’accusa del sangue riemerge come motivo nel e del contenzioso che si apre, soprattutto dopo la metà del secolo XIX, fra esponenti contro-rivoluzionari e ambienti rivoluzionari. Una vittima illustre di questa suggestione infiltratasi nel mondo cattolico sarà la rivista dei gesuiti La Civiltà Cattolica, che riprenderà il tema con un articolo del 23 novembre 1899, mantenendolo vivo fino circa al 1930. Se il mito non troverà mai spazio nel magistero teologico e pastorale cattolico e se la vague d’interesse per esso si esaurirà fra i cattolici già all’avvento del nazionalsocialismo, per cadere del tutto ai nostri giorni, il tema non è peraltro morto: si è trasferito armi e bagagli in un certo tipo di propaganda araba e islamica dei nostri giorni. Anche a riguardo di questo tema possono valere alcune delle considerazioni fatte poco sopra: confinata questa realtà nel mito, cade un altro dei pilastri della teoria, che riduce la storia moderna a cospirazione «ad agente unico», dalle modalità di sviluppo di tipo meccanico-deterministiche: l’odio atavico contro i «gentili», che trova cristallizzazione strutturale nella criminalità stessa di forme di culto, spinte fino al delitto liturgico. Dietro le correnti rivoluzionarie moderne non si cela in realtà un solo nemico — secondo forme esasperate e volgari di questo schema, l’ebreo, che «piloterebbe» il massone, il quale, a sua volta, «piloterebbe» il liberale e il social-comunista —, ma l’azione — anche, ma non solo quella segreta — di una pluralità di soggetti, mossi dalle motivazioni più disparate e mutevoli nel tempo e nello spazio, accomunati — questo sì — dal medesimo obiettivo di scristianizzare la società europea, mossi però dalla medesima insofferenza per la «sana dottrina» , dalla percezione della croce cristiana come «scandalo» e «follia» e dalla ipervalutazione dei beni terreni — «il cui Dio è il ventre», dirà san Paolo —, ovvero non da gli ebrei, ma da quelle tendenze disordinate, comuni a ogni uomo, che trovano la loro radice in una condizione morale dove prevalgono l’orgoglio egualitario e la sensualità, tendenzialmente «liberale».

In ultima analisi lo sforzo conoscitivo e interpretativo — sul suo terreno — del fenomeno ebraico moderno, svolto da Introvigne, si rivela assai utile anche per lo storico, perché gli evita di sopravvalutare e di sottovalutare determinate realtà, sfuggendo a più di un trabocchetto, come pure lo pone al riparo da suggestioni di troppo rapidi e sempre malaugurati corti circuiti interpretativi.

Oscar Sanguinetti





Recensioni



HOME-PAGE

CHI SIAMO

SAGGI E
RELAZIONI

 •    Insorgenza
 •    Identità nazionale
 •    Risorgimento
 •    Storia moderna
 •    Storia contemp.
 •    Storia della Chiesa
 •    «Cristeros»

IL SENSO CRISTIANO
DELLA STORIA

MEDAGLIONI

RIFLESSIONI
SULLA STORIA

IDEOLOGIE
DEL NOVECENTO

LETTURE

RECENSIONI

SCHEDE BIBLIOGRAFICHE

NORME PER LA REDAZIONE DEI TESTI

MEMORANDA

EDITORIALI

BIOGRAFIE

   •    "Alunni di Clio"
   •    Personaggi

SUSSIDI
DIDATTICI

DIBATTITI

DOCUMENTI

  •    Chiesa
  •    Politica italiana
  •    Politica internaz.

ATTIVITÀ

  •    Progetti
  •    Eventi svolti
  •    Appuntamenti
  •    Note e commenti

"NOTE INFORMATIVE"
ISIN

LIBRI
DELL'ISTITUTO

LIBRI DIFFUSI

VOCI
DELLA STORIA

LINKS

IN MEMORIAM






GIANCARLO CERRELLI e MARCO INVERNIZZI
La famiglia in Italia dal divorzio al gender,

prefazione di Massimo Gandolfini,
Sugarco Edizioni, Milano 2017,
338 pp., € 25.







THOMAS E. WOODS JR.
Guida politicamente scorretta alla storia degli Stati Uniti d'America,

a cura di Maurizio Brunetti, con un invito alla lettura di Marco Respinti,
D'Ettoris Editori, Crotone 2009,
350 pp., € 24,90.







OSCAR SANGUINETTI
E IVO MUSAJO SOMMA,
Un cuore per la nuova Europa. Appunti per una biografia di Carlo d'Asburgo,

invito alla lettura di don Luigi Negri,
prefazione di Marco Invernizzi,
a cura dell'Istituto Storico dell'Insorgenza e per l'Identità Nazionale,
3a ristampa,
D'Ettoris,
Crotone 2010,
224 pp., con ill., € 18,00.





ROBERTO MARCHESINI,
Il paese più straziato. Disturbi psichici dei soldati italiani della Prima Guerra Mondiale,

prefazione di Oscar Sanguinetti,
presentazione di Ermanno Pavesi,
D'Ettoris,
Crotone 2011,
152 pp., € 15,90.





Per ordinare
i volumi recensiti
o segnalati




VAI A   INIZIO-PAGINA           VAI ALLA   HOME-PAGE  
© Istituto Storico dell'Insorgenza e per l'Identità Nazionale 2014