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a cura dell’Istituto Storico dell’Insorgenza e per l’Identità Nazionale


inserito il 3 aprile 2013


RECENSIONI



MARCO INVERNIZZI, Luigi Gedda e il movimento cattolico in Italia, Sugarco, Milano 2012, 142 pp., € 16,00.


Se l’Italia al termine della Seconda Guerra Mondiale non è diventata uno dei tanti Paesi-satellite dell’Unione Sovietica, ovvero l’ultima appendice della Cortina di Ferro, lo si deve anche e soprattutto all’opera e all’apostolato svolto in quegli anni dal professor Luigi Gedda (1902-2000), vera anima e guida indiscussa di quei Comitati Civici che contribuiscono in modo determinante a far stravincere alla Democrazia Cristiana (DC) la contesa elettorale del 18 aprile 1948. Eppure ciononostante — o forse proprio per questo — la sua figura continua a essere una di quelle più rimosse dalle pagine della nostra storiografia contemporanea, anche quella meno ideologicamente orientata. I motivi di questo vero e proprio "oscuramento" generalizzato post mortem vengono ora finalmente spiegati dall’ultimo saggio di Marco Invernizzi che affronta con questo studio sulla figura di Gedda molti dei nodi tuttora aperti relativi alla questione dell’identità nazionale, come pure dell’identità del laicato cattolico e del senso stesso dell'azione cristiana nella vita pubblica.

Il saggio si apre con una prefazione di Giovanni Cantoni, fondatore dell’associazione Alleanza Cattolica, che tratteggia un profilo di due laici cattolici "militanti" nei loro rispettivi Paesi, nei campi dell’apostolato come nella politica e nella cultura: lo stesso Gedda e il pensatore e uomo di azione brasiliano Plinio Corrêa de Oliveira (1908-1995), il quale ultimo è stato nel secolo scorso il più riconosciuto esponente a livello internazionale del cosiddetto movimento cattolico controrivoluzionario, essendo l’autore di quella che è ancora oggi la principale fonte teoretico-dottrinale dello stesso: l’opera, redatta in forma di tesi e pubblicata per la prima volta nel 1959, Rivoluzione e Contro-Rivoluzione. Cantoni ricorda che i due si conobbero nel 1950 in Italia e si stimarono, riconoscendosi vicendevolmente non poche affinità. Infatti, la Sociedade Brasileira de Defesa de Tradiçao, Familìa e Propriedade, meglio nota con l’acronimo di TFP, che Corrêa de Oliveira fonderà in Brasile nel 1960, redigerà il suo statuto organizzativo ispirandosi proprio a quello dei Comitati Civici sorti per volontà di Pio XII nel 1948.

Oltre a questo, Cantoni sottolinea le originali somiglianze delle loro rispettive parabole biografiche, in quanto "nati all’inizio del secolo XX, entrambi lo hanno attraversato per intero. Molto dotati sul piano intellettuale, entrambi hanno messo questo talento al servizio della Chiesa e del prossimo per dar vita a significative realtà associative. Entrambi si sono contrapposti all’ideologia apparentemente vittoriosa nel loro tempo, il socialcomunismo e sono stati accusati di essere filofascisti in un’epoca in cui era facile screditare le persone con quest’accusa. Entrambi in controtendenza rispetto a un’opinione diffusa anche in vasti settori del mondo cattolico, secondo cui il socialcomunismo era il "senso della storia", perciò invincibile, e quindi bisognava rassegnarsi a un compromesso con esso, non hanno mai smesso di sentirsi parte viva e militante del Corpo Mistico di Cristo, anche se in alcune circostanze hanno provato l’amarezza e il senso di abbandono che indubbiamente ha segnato alcuni momenti delle loro vite; ma non si sono lasciati disorientare dagli eventi, ritenuti o percepiti da molti come "fatali", e hanno voluto essere sempre e comunque fedeli al Papa e al suo Magistero" (pp. 8-9). Secondo Cantoni, tuttavia, il merito maggiore di Gedda sta nell’"[…] aver compreso la necessità di un’azione pre-politica che non esclude quella politica, ma costituisce la premessa del suo rinnovamento e della sua qualità" (p. 12).

Seguono quindi sette capitoli che, in ordine cronologico, seguono il "secolo lungo" di Luigi Gedda — che visse infatti ben novantotto anni, spegnendosi proprio nell’anno 2000 — illustrando tutte le sue principali iniziative apostoliche, culturali e politiche.

Medico, padre di famiglia, cattolico militante, attivista politico e scrittore, la vita di Gedda racchiude in sé davvero quasi tutto il Novecento cattolico italiano, almeno nei suoi tratti principali. Era nato a Venezia il 23 ottobre 1902 quando il conterraneo cardinale Giuseppe Sarto (1835-1914) non era ancora salito al soglio pontificio con il nome di Pio X (1903-1914). Erano quelli gli ultimi mesi di Papa Leone XIII (1878-1903), il successore del beato Pio IX (1846-1878), il papa che aveva dovuto affrontare la ferita creata al corpo sociale italiano dal Risorgimento cercando per i cattolici, con notevole fatica, nuove e inedite modalità di espressione e partecipazione alla vita della nazione. Così, l’adolescenza e la giovinezza di Gedda saranno contraddistinte dall’esperienza nella Società della gioventù cattolica — oggi pressochè dimenticata ma che, come spiega Invernizzi — "di fatto sarà la prima e duratura esperienza unitaria del movimento cattolico in Italia dopo l’unificazione del 1861" (p. 19). Il suo scopo era quello di "[…] unire i cattolici italiani nella difesa del Papa e del Cristianesimo di fronte alla Rivoluzione liberale e nazionalista e al nuovo Stato unitario, che appunto era nato senza l’apporto della grande maggioranza dei cattolici e contro la Chiesa" (p. 20). La sua novità va rintracciata nel tentativo di mettere insieme per la prima volta tutti i cattolici italiani al di là delle divisioni regionali e soprattutto nell’avere operato da battistrada rispetto alla seconda espressione unitaria del movimento cattolico italiano, l’Opera dei Congressi e dei Comitati Cattolici "[…] che nasce nel 1874 con il contributo determinante dei giovani cattolici, ma le sopravviverà, dal momento che l’Opera viene soppressa dalla Santa Sede nel 1904, in seguito alla penetrazione ai vertici dell’associazione di idee e figure, in primis don Romolo Murri (1870-1944), vicine alle posizioni del modernismo e comunque non in sintonia con le indicazioni della Santa Sede" (p. 20).

Nella Società della Gioventù Cattolica, dove vive anche i tumultuosi anni della Grande Guerra (1914-1918), riceverà una formazione che lo segnerà e lo orienterà profondamente nelle scelte successive e da cui scaturirà il successivo amore per l’Azione Cattolica, che egli vedrà come una ideale continuazione della militanza apostolica giovanile. Quindi, nel 1934, Gedda — che nel frattempo si è laureato in medicina e si è abilitato all’insegnamento, diventando assistente nella Clinica Medica dell’Università di Torino — viene chiamato a Roma da Papa Pio XI (1922-1939) per dirigere la Gioventù Italiana di Azione Cattolica (GIAC) proprio poco dopo la prima grave crisi nei rapporti fra Chiesa e regime avente per oggetto l’educazione e la formazione delle giovani generazioni e in seguito alla quale il Pontefice scrive — direttamente in italiano — la celebre enciclica Non abbiamo bisogno. A seguire, nel 1944, fonda l’Associazione Italiana dei Medici Cattolici, tuttora esistente, che guiderà fino al 1976 e che rappresenterà uno degli strumenti operativi di evangelizzazione del lavoro e della cultura che lo vedono protagonista e attraverseranno tutta la sua vita. Però soprattutto nella Società Operaia, nata a Roma nel 1942, egli spenderà le sue forze, guidandola fino alla morte: la peculiare associazione — non un istituto religioso, ma un gruppo di laici che vivono e lavorano da laici nel mondo cercando di santificarlo con i loro mezzi abituali e santificandosi così a loro volta — è una iniziativa certo non di massa, ma importante per comprendere come Gedda avesse ben presente che nell’epoca delle grandi ideologie e della scristianizzazione di interi popoli, un tempo missionari, tutto dovesse partire non dall’azione o dalla politica, come molti pensarono allora ma — ancora e sempre — dal primato di Dio e dalla regalità di Cristo, infatti "una sola cosa è veramente necessaria: la preghiera" (p. 47), scriverà anni più tardi in un libro in cui rievoca la nascita della Società.

Invernizzi si sofferma poi a descrivere gli anni della Seconda Guerra Mondiale (1939-1945) e il ruolo decisivo (pure spesso taciuto) che ha svolto la Chiesa in generale per la ricostruzione morale e civile del Paese. "Sono soprattutto i parroci che permettono la sopravvivenza del Paese, che tessono legami che non verranno spezzati oppure saranno almeno in parte ricostruiti. Sono loro, e con essi i sacerdoti in generale, ma anche i laici dell’Azione Cattolica e delle altre associazioni, a mano a mano che tornano a casa dalla prigionia, a tenere insieme un Paese alla deriva e soprattutto dilaniato, almeno da Roma in su, da una feroce guerra civile, che vede non soltanto la contrapposizione fra fascisti e partigiani, ma anche il conflitto all’interno di questi ultimi fra i comunisti e le altre componenti della Resistenza: cattoliche, monarchiche, liberali e azionistiche" (p. 54).

Nel 1946 Gedda viene chiamato a dirigere il ramo maschile nazionale dell’Azione Cattolica, quindi, finalmente, su suggerimento di Pio XII (1939-1958), a gennaio del 1948 quei Comitati Civici che nel campo pre-politico rappresentano ancora oggi un esempio di successo popolare clamoroso, mai più eguagliato. Qui si apre un’altra storia nella storia, tutta da leggere, e impossibile da sintetizzare in poche righe: basti dire che in appena tre mesi la mobilitazione anticomunista ideata da Gedda per salvare la libertà della Chiesa e dell’Italia nelle elezioni più drammatiche dopo la Seconda Guerra Mondiale riesce nell’impensabile: "[…] la DC [infatti] guadagnerà quasi 5 milioni di voti rispetto alle elezioni politiche del 1946, passando da 8.101.004 a 12.741.299" al punto che il futuro presidente della Conferenza Episcopale Italiana, l’arcivescovo di Genova cardinale Giuseppe Siri (1906-1989), anni più tardi, potrà pronunciare le famose parole: "chi è che ha salvato l’Italia nel 1948? Il Comitato Civico [....] questa armatura, che si è dimostrata inattaccabile" (p. 71). Gedda, ovviamente, non realizzò l’impresa da solo e l’Autore ricorda, fra gli altri, i nomi del direttore della Civiltà Cattolica, il gesuita Giacomo Martegani (1902-1981), e di padre Riccardo Lombardi (1908-1979), il celebre "microfono di Dio", anch’egli gesuita.

Che cos’erano esattamente i Comitati Civici? Come organismi di quadri e non di massa, "i Comitati Civici non mirano ad avere una propria base associativa, ma propongono ai dirigenti delle organizzazioni già esistenti di collaborare alla formazione civica e alla mobilitazione elettorale dei cattolici" (p. 75), si trattava insomma di "un organismo di servizio, a favore del mondo cattolico nelle sue diverse articolazioni, a cominciare dalle parrocchie, che non cercava tanto propri militanti, salvo quelli che avessero voluto diventare i cosiddetti "a", gli attivisti civici, quanto di formare una classe dirigente per i diversi settori della vita civile" (p. 77).

E tuttavia, essendo un cattolico che mira anzitutto alla salvezza delle anime e non un ideologo, all’indomani della vittoria sul Fronte Popolare socialcomunista il primo a spendersi per "[…] favorire il ritorno alla fede cattolica e alla Chiesa" (p. 79) da parte degli avversari di poco tempo prima sarà proprio Gedda. Così, poco dopo il decreto di scomunica comminato il 1° luglio 1949 dal Sant’Uffizio contro i fedeli che propagavano o difendevano la dottrina del comunismo, è lo stesso fondatore dei Comitati Civici che si mette all’opera, con un notevole seguito di amici e colleghi, "[…] per dare corpo all’idea del ritorno alla fede dei comunisti, soprattutto in occasione dell’Anno Santo del 1950: l’iniziativa prese il nome di "Crociata per il Gran Ritorno e il Gran Perdono"" (p. 80). L’iniziativa, che aveva il placet del Pontefice, fu un altro evento di mobilitazione di massa "[…] rivolto ad accendere l’entusiasmo dei militanti cattolici e a conseguire il raggiungimento di tre obiettivi" (p. 81): ovvero il dovere e la necessità, improrogabile, per ogni battezzato, dell’apostolato individuale; quindi l’esortazione — rivolta anzitutto alle associazioni ecclesiali — a conservare i cristiani nella fede e nell’appartenenza ecclesiale; infine la speranza di coinvolgere nuovamente i Comitati Civici in quanto strumento strategicamente formidabile "[…] di orientamento dell’opinione pubblica sui temi dell’azione civica, senza tessere, senza distintivi, semplice ed efficace" (p. 82).

A tanti anni di distanza resta ancora difficile riuscire a fare un bilancio complessivo di questa gigantesca "operazione spirituale", ma essa serve comunque all’Autore per mostrare un tratto significativo della personalità di Gedda senza il quale sarebbe difficile riuscire a tracciare un quadro fedele e veritiero dell’uomo pubblico. Il punto è che Gedda rimase sempre un uomo della sua epoca, anzi dell’epoca della sua prima giovinezza, in cui l’educazione andava ancora di pari passo con la virtù e con la vita di fede. Si tratta di qualcosa di molto difficile oggi da cogliere, talvolta — duole ammetterlo — persino in ambienti cattolici, almeno nominalmente.

Dopo questa autentica epopea, la parabola di Gedda, anche a seguito di divisioni interne all’Azione Cattolica, inizia una sfortunata traiettoria discendente in cui vivrà sempre attivamente, ma non più da protagonista, i successivi grandi "confronti di civiltà", a partire da quello sulla legge che istituisce e regolamenta il divorzio (1970) e il successivo referendum abrogativo (1974). È importante, tuttavia, tornare ancora oggi su quei confronti, e quindi anche sulla storia personale di Gedda, perché da quelle vicende si costituiranno — in un senso o nell’altro — le ragioni e le relative obiezioni alla presenza pubblica e quindi anche politica dei cattolici in Italia.

Da una parte, infatti, si avrà uno schieramento che si muoverà — grosso modo —, pur silenziosamente, nell’ottica della "nuova evangelizzazione", che verrà ufficialmente inaugurata da alcuni documenti di Papa Paolo VI (1963-1978) qualche anno più tardi, mentre, dall’altra, si avrà l’incontro — spesso acritico — con paradigmi culturali non più orientati dalla fede ma del tutto intramondani. Così, se da un lato la "lezione" di Gedda non sarà più valorizzata anzitutto dai suoi successori, avviandosi a diventare minoranza all’interno delle stesse "élite ufficiali" delle organizzazioni cattoliche, dall’altra emergeranno proposte e interpretazioni concorrenti anche radicalmente alternative al senso stesso dell’essere cristiani nella società, come quelle promosse dallo storico, poi senatore, Pietro Scoppola (1926-2007) che nel referendum del 1974 si batterà infatti sul versante opposto rispetto a quello di Gedda.

Per fare un esempio particolarmente significativo, Gedda in quella battaglia referendaria sarà affiancato da figure come Augusto Del Noce (1910-1989) e Gabrio Lombardi (1913-1994), mentre l’opposizione divorzista di Scoppola avrà con sé Giuseppe Alberigo (1926-2007), Giancarlo Zizola (1936-2011), Raniero La Valle e un giovanissimo Romano Prodi. Se si considera poi che Alberigo fu a lungo direttore di quell’Istituto per le Scienze Religiose di Bologna fondato da don Giuseppe Dossetti (1913-1996) e attorno a cui ruotano ancora oggi questioni centrali come gran parte del dibattito sulla storia e sull’ermeneutica post-conciliare e quello sulla stessa presenza organizzata dei cattolici in politica — senza dimenticare che Scoppola fu teorico, prima, e ispiratore pratico poi, della nascita di uno dei due principali partiti di maggioranza relativa del nostro Paese alla cui guida giungerà anni più tardi lo stesso Prodi —, si comprende forse meglio il senso della posta in palio e del perché le pagine di Invernizzi non siano né agiografiche, né romanzate ma rappresentino invece un tentativo faticoso — peraltro oggi quanto mai urgente — di comprendere che cos’è stato e che cosa ha rappresentato il laicato cattolico italiano per l’identità di questo Paese.

Riuscire a capire quello che accade in quegli anni all’interno del mondo cattolico, significa quindi porre l’accento in particolare sul fatto che "[…] lo scontro é teologico prima che politico, così come emergerà durante gli anni Cinquanta e poi nel periodo del Concilio Vaticano II e soprattutto dopo, nell’ultimo decennio del pontificato di Paolo VI, nel periodo compreso fra il 1968 e il 1978" (pp. 91-92), perché verte sulla nozione stessa di Chiesa — da interpretare in senso verticale o orizzontale, per dirla con un linguaggio diffuso in quegli anni — e su quella — ancora più contestata — di "Cristianità". Da qui partirà, a tutti gli effetti, la cosiddetta "nuova evangelizzazione" dell’Europa e dell’Italia stessa. In sostanza "Gedda comprese, e non c’è motivo di dubitare che questa suggestione provenisse dallo stesso Papa Pio XII, che la Chiesa non era più il cuore di una società cristiana, anche se questa in Italia resisteva più che altrove, ma doveva diventare missionaria all’interno dello stesso mondo occidentale, prevedendo e anticipando gli effetti devastanti del secolarismo che sarebbero esplosi nel 1968, ma che erano già abbondantemente visibili e verranno denunciati dall’autorità ecclesiastica con la Lettera collettiva dell’episcopato italiano sul laicismo del 1961" (p. 104).

Omar Ebrahime

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