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a cura dell’Istituto Storico dell’Insorgenza e per l’Identità Nazionale





RECENSIONI


Olivier Chaline, La riforma cattolica nell’Europa centrale (XVI-XVIII secolo), Jaca Book, Milano 2005, pp. 135, € 14.




Olivier Chaline (1964), docente di storia moderna presso l’Università di Paris-Sorbonne, è uno specialista dell’Europa centrale, cui ha dedicato, fra l’altro, La reconquête catholique de l’Europe centrale, XVIe-XVIIIe siècle (1998), tradotto in italiano nel 2005, che offre una sintesi sulla ricattolicizzazione dei territori asburgici tra i secoli XVI e XVIII, un pezzo di storia dimenticato come afferma Guy Bedouelle O. P., docente presso l’Università di Friburgo, in Svizzera, nella Prefazione (pp. 7-10) a causa di vari «[…] pregiudizi ideologici» (p. 7) di carattere prima nazionalista e poi marxista, convergenti nell’ostilità verso la monarchia asburgica e i gesuiti.

Il primo capitolo, Riconquiste (pp. 15-50) narra gli eventi chiave e le differenti iniziative volte a riportare alla fede cattolica i territori soggetti alla dinastia asburgica, che a metà del secolo XVI sono diventati in gran parte protestanti. La riconquista cattolica inizia nella Boemia hussita e poi anche luterana , dove l’imperatore Ferdinando I (1503-1564) promuove insediamenti di gesuiti e adotta una morbidezza verso gli eretici tale da meritare il rimprovero di sant’Ignazio di Loyola (1491-1556).

La divisione dinastica del 1564 ci obbliga a parlare di «riconquiste» al plurale per le differenti situazioni locali, dal «bastione» cattolico del Tirolo, alla Slesia e alla Moravia, quasi completamente protestanti. Pure qui ci si avvale degli di ordini religiosi gesuiti, cappuccini e Servi di Maria ― e della fondazione di collegi per la formazione del clero, grazie all’aiuto di vescovi riformatori che applicano i decreti tridentini anche in situazioni difficili, come Miklòs Olàh (1493-1568), vescovo di Zagabria e poi arcivescovo di Esterzgom, che agisce in una Ungheria quasi tutta dominata dai turchi, e con un clero forzatamente assente o scarsamente edificante. «La prima ondata della Riforma cattolica tocca allora il suo apogeo in Boemia» (p. 27), ma più per l’interessamento di singoli aristocratici o prelati nei propri territori che come conseguenza del «[…] programma ambizioso di ricattolicizzazione» (ibidem) dell’imperatore Rodolfo II (1552-1612). Infine il ramo stiriano mette in campo «[…] dal 1599 un modello di ricattolicizzazione rapida e forzata» (p. 32), che «[…] non era la sola via possibile, ma le circostanze la resero ampiamente applicata al secolo XVII» (ibidem).

Infatti, dopo il rafforzamento protestante seguito alla sconfitta di Rodolfo a opera dei turchi nel 1606, paradossalmente, «[…] i protestanti obbligano i loro avversari a serrare i ranghi, tanto più che l’erede di Mattia [1557-1619] non è altri che Ferdinando di Stiria [Ferdinando II (1578-1637)]» (p. 35): gli anni successivi alla vittoria cattolica della Montagna Bianca (1620) vedono una serie di azioni coercitive in Boemia fra le proteste dell’arcivescovo di Praga, cardinale Ernst Albrecht von Harrach (1598-1667). «Il modello stiriano conobbe nel secolo successivo alla Montagna Bianca il suo trionfo e i suoi limiti. Esso sradica il protestantesimo austriaco, ribalta la situazione religiosa in Boemia e in Moravia, ricollegando questi paesi alla sfera latina del cattolicesimo. Ma in Slesia, la riconquista dovette percorrere delle vie più temperate. È in Ungheria che essa trova i suoi limiti. Il protestantesimo non è eliminato, ed è anzi riconosciuto. Tuttavia, il cattolicesimo vi ha ritrovato un’importanza inimmaginabile ancora nel 1640. Poiché la lotta contro i Turchi ha fatto di questa riconquista più che una Controriforma» (p. 43).

Lo sfondamento a est seguito al fallimento dell’assedio turco di Vienna, nel 1683, comporta infine il passaggio di ortodossi sotto la sovranità degli Asburgo, che puntano alla costituzione di chiese «uniate», ma «[…] più volte si ripeteva la stessa storia: adesione del vescovo e poi rifiuto dei fedeli» (p. 47), e la lotta con la Russia per l’influenza nei Balcani esploderà nel 1914.

Nel secondo capitolo, Le ragioni del successo (pp. 51-88), Chaline analizza le cause che hanno determinato nel giro di due secoli il ritorno per quanto imperfetto alla fede cattolica di regioni già divenute prevalentemente protestanti. La coercizione non è l’unica azione intrapresa, e del resto da sola non è sufficiente: essa può al massimo spiegare la riconquista, non la conversione: «Le persecuzioni non devono farci dimenticare che la religione cattolica è anche apparsa attraente» (p. 51). Più che la dinastia, a svolgere un ruolo chiave nell’attuazione sistematica e «quotidiana» della Controriforma sono le famiglie signorili, come i Pernštein, cui si deve, fra l’altro, l’arrivo in Boemia, dalla Spagna, della celebre statua del Bambin Gesù di Praga, tuttora oggetto di particolare devozione. Quella che attrae è la Chiesa che ha generato sant’Ignazio di Loyola, santa Teresa d’Avila (1515-1582), san Giovanni della Croce (1542-1591), san Carlo Borromeo (1538-1584) e che produrrà figure di spicco nella stessa Europa centrale. Si aggiungano a ciò l’attrattiva suscitata dall’apostolicità della Sede romana e un’interpretazione escatologica delle vittorie cattoliche a partire dal 1620.

Oltre ai mezzi teologico-culturali, la Chiesa, soprattutto dopo il 1620, fa ampio uso delle arti, dalla musica al barocco delle chiese: «Con le sue feste e la sua maestosità, la liturgia diventa il grande spettacolo dei poveri. È l’immensa riuscita di questo barocco tardivo volgente al rococò. Puntando su tutte le forze del sensibile, esso dà […] l’impressione di essere in cielo, poiché la chiesa, col suo scenario, anticipava l’escatologia» (p. 71). Per non parlare della diffusione di catechismi, del fiorire di confraternite e di devozioni che intaccano direttamente la dottrina protestante: «la Santa Eucaristia è onorata, in particolare attraverso lo sviluppo della pratica delle quaranta ore, ma anche attraverso la costruzione di altari sontuosi sormontati da pale d’altare. […] Gli orefici realizzano dei radiosi ostensori a forma di sole» (p. 73) e del ruolo anche «politico», nel caso del beato Marco d’Aviano (1631-1699) della predicazione.

Certo, «la riconquista dell’Europa centrale, nei suoi stessi successi, fa apparire alcuni squilibri durevoli che si spiegano con le urgenze dell’azione» (p. 78), quali un minore sviluppo delle istituzioni caritative o della formazione del clero secolare rispetto allo slancio degli ordini religiosi, idealmente riuniti nella decorazione del Ponte Carlo di Praga, dove «[…] la ricattolicizzazione si proclama vittoriosa e ad un tempo in perfetta continuità con la storia della Boemia. La Chiesa si rivela capace di conciliare patriottismo e universalità cattolica» (p. 88).

Proprio il rapporto fra La Chiesa, la nazione, l’imperatore (pp. 89-123) è al centro del terzo capitolo, dalle storie nazionali con l’insistenza ungherese sul santo re Stefano I (975-1038), fondatore del Regnum Marianum alla celebrazione della pietas austriaca, visivamente espressa nella chiesa di san Carlo Borromeo a Vienna, sul cui portico l’imperatore Carlo VI (1685-1740) fa iscrivere «[…] Vota mea reddam in conspectu timentium Deum, presentandosi come l’intercessore per i suoi popoli, il loro stesso protettore poiché, come Carlo Borromeo [1538-1584] a Milano, egli aveva rifiutato di lasciare la città durante la peste» (p. 110). Sempre a Carlo VI si deve la diffusione del culto di san Giovanni Nepomuceno (1350 ca.-1393), la cui canonizzazione, avvenuta nel 1729, è festeggiata con grande fasto a Praga. «La sua gloria, simbolizzata dalle sue stelle, attira: la dinastia, i principi cattolici del Sacro Impero, la Compagnia di Gesù vogliono prendervi parte. Il santo diviene un legame tra i cattolici e l’Impero» (p. 121).

Nella Conclusione (pp. 125-127), Chaline afferma la necessità di abbandonare molti luoghi comuni, a partire dal preteso assolutismo degli Asburgo, che invece si trovano a fare i conti con le aristocrazie ungherese e boema. Inoltre il potere signorile svolge una funzione di «schermo» fra individui e monarchia, che spinge a non sovrastimare il ruolo della coercizione, che, del resto, «[…] da sola non sarebbe stata sufficiente ad assicurare l’ampia vittoria del cattolicesimo. In Europa centrale o altrove, la storia della riconquista cattolica è innanzitutto quella di una fede ardente e rinnovata» (p. 127).

Stefano Chiappalone


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